Storie di Lega Pro:Re Giorgio Corona a 40 anni supera il grande Piola tra i vecchi goleador dei campionati italiani. E a Salerno brilla la stella di Nalini, dalla Virtus Verona ai sogni di gloria

Sabato in Lega Pro si è consumato il sorpasso di Giorgio Corona, centravanti del Messina, ai danni addirittura dell’immenso Silvio Piola! Sì, proprio così, la punta siciliana, segnando uno dei 3 gol con i quali la sua squadra ha legittimato la vittoria contro la corazzata Lecce, ha superato l’ex bomber iridato del Mondiale ’38, andando in rete alla veneranda età di 40 anni. Essendo nato il 15 maggio ha superato di poco Pioli, fermatosi a 40 anni, 4 mesi e 9 giorni. Era nell’aria, ma al di là del dato meramente statistico, ciò che colpisce di Re Giorgio è la straordinaria continuità, l’invidiabile forma fisica, la voglia e la passione che è quella che dovrebbe avere ogni ragazzino.

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E anche se da qualche anno un po’ i fari si erano spenti sulla sua avventura calcistica – ma solo perchè era sceso a segnare fra i dilettanti – ora che è tornato in terza serie, le luci della ribalta sono giustamente ancora accese su di lui. Un esempio che non tramonta e che dovrebbe essere seguito da gente tipo Balotelli che, a differenza sua, si è trovato come dice la storia, a poco più di 18 inondato da stipendi milionari, sponsor e Ferrari. Tutto grazie al talento di cui Madre Natura lo ha reso dotato ma al quale non è andato di pari passo la testa, la voglia, la determinazione. Chiaro, sono due storie diverse e auguro a Mario di non sperperare tutto quello che di buono aveva promesso da giovane ma per fortuna il calcio è fatto anche di altro. Come Andrea Nalini, giocatore che conosco bene perchè aveva preso parte al miracolo Virtus Vecomp, terza squadra della mia città, Verona, emanazione di un quartiere (Borgo Venezia) e in grado di issarsi sino alla Lega Pro per poi dignitosamente retrocedere nel finale di stagione scorsa. Nalini, giovane centrocampista, quest’anno è fra i protagonisti – inattesi alla vigilia, vista la forte concorrenza di quotati giocatori in rosa – di una Salernitana che punta a vele scoperte verso la serie B. E lui che ha sempre lavorato duramente, oltre che a giocare e ad allenarsi, a 24 anni può finalmente ambire a fare della sua passione una professione ma non solo… può verosimilmente, con le qualità e la voglia di arrivare che si ritrova, mirare a categorie più alte!

Intervista a Carlo Vicedomini, finalmente tornato a giocare dopo la grande paura. Dopo aver sconfitto un tumore benigno al cervello, in campo non teme proprio nessuno.

Ammetto di non nascondere una certa emozione nel raccontarvi la storia del calciatore Carlo Vicedomini, leccese doc, finalmente tornato a giocare dopo quello che è stato molto più di un semplice infortunio. E’ bello e confortante venire a conoscenza di vicende come la sua, dove il calcio – se vogliamo – in questo caso fa solo da sfondo, perché in gioco è entrata prepotentemente in scena la vita, quella Vera, che non si vive solo all’interno di un rettangolo verde, inseguendo un gol.

Una lunga e piacevole chiacchierata telefonica con un giovane ben presto divenuto uomo, capace di trasmettere serenità, pace e soprattutto una grande forza interiore. Quella necessaria per affrontare il grave problema di salute che lo afflisse tempo fa, in un modo tutto suo, attorniato dal calore della famiglia, della compagna poi divenuta moglie (alla quale in un primo momento, per non spaventarla, “mentì” sull’effettivo malessere che avvertiva) e dalla Fede.

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Calciatore già affermato, soprattutto a livello di terza serie, di Lega Pro, dopo i fulgidi campionati giovanili con il Lecce, Carlo a 28 anni sta giocando bene nel Castel Rigone, sorta di “scommessa” del calcio italiano, emanazione di un piccolissimo centro umbro, dove il patron sogna in grande, disponendo di notevoli mezzi economici – essendo universalmente riconosciuto come il “re del cashmere” –  con idee in un certo senso “rivoluzionarie” quanto semplici. Un miracolo calcistico per una squadra giunta tra i professionisti meritatamente la stagione precedente (e quindi matricola assoluta per la seconda divisione della Lega Pro) ma che, dopo un inizio difficile, compensato da una grande risalita a metà campionato, si ritrova impelagata nella lotta per non retrocedere. Cominciamo l’intervista proprio da lì, rievocando quei tristi giorni: via il dente, via il dolore.

“A Castel Rigone, calcisticamente e anche umanamente, mi sono trovato benissimo. Quella domenica di febbraio ero squalificato e mi trovavo a Lecce, nella mia città. Stavo bene, poi d’improvviso ho cominciato ad avvertire un senso di malessere diffuso. Una specie di malore, persi conoscenza. Poi mia moglie mi spiegò che la cosa era durata 5 lunghi minuti. I medici del pronto soccorso di Lecce mi spiegarono che si trattò di una crisi epilettica, di cui io non avevo mai sofferto prima. Alessandra era molto preoccupata, in verità lo ero anch’io perché sentivo che c’era qualcosa che non andava, ero troppo stanco, spossato. Ma non lo davo a vedere per non spaventare gli altri, ho sempre pensato prima al benessere delle persone a cui voglio bene più che a me stesso.”

“In un primo momento quindi fosti curato a Lecce”

“Sì, ma a dire la verità in pratica si limitarono a farmi gli accertamenti, le analisi del sangue, adducendo la causa del malore improvviso ai troppi carichi di stress ma decisi di chiamare subito il medico della mia società, il dottor Trinchese, che mi disse di raggiungere prontamente Perugia per un consulto di un esperto.”

“Fu in pratica la tua salvezza”

“Sì, io credo che le cose non capitino mai per caso. C’è un disegno preciso a tutto. Dio ha voluto che nella mia strada incrociassi il dottor Castrioto, un vero luminare in materia. Entrammo in sintonia, nonostante la mia paura e il sangue che mi ribolliva, dissi che non volevo giri di parole ma solo la cruda verità. Venne infatti subito notato che avevo una specie di “pallina” in testa, vicino all’area del cervello. In quei momenti ti vengono brutti pensieri, è inevitabile. Ma il calcio non esiste, pensi soprattutto a tuo figlio, alla tua compagna, al senso della Vita. Furono quelli i momenti più duri in assoluto da affrontare, quegli attimi che ti dividevano dalla sentenza, dalla diagnosi. Il dottore, come gli scongiurai, non usò infatti giri di parole ma venne al dunque, dicendomi che nella zona dell’encefalo, questa pallina di quasi tre centimetri altro non era che un meningioma. Una cosa comunque rara in un ragazzo della mia età. Quando però riscontrammo che era benigno, mi affidai nelle sue mani e in quelle della Provvidenza, con l’animo in pace. L’operazione andò bene e il medico mi disse quasi subito che avrei potuto anche tornare a giocare a calcio. Fu una liberazione, anche se come detto prima in quei momenti pensi a tutt’altro che a giocare.”

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“Nel frattempo la tua squadra, pur competitiva a livello di rosa e in un certo senso ben assemblata, stava letteralmente precipitando in classifica, dopo essere stata a lungo una delle rivelazioni dell’intero torneo”

“Purtroppo hai ragione, le 11 sconfitte consecutive furono in pratica una condanna per noi, non fummo più in grado di riprenderci”

“Può esserci stato anche un contraccolpo psicologico dettato dalle tue condizioni, la squadra ne ha risentito? In fondo eri uno dei giocatori più quotati, uno che in campo non si risparmia mai”

“Ti ringrazio per le parole ma penso siano state una serie di cause. C’era tutto in teoria per fare bene ma a volte non servono solo i mezzi economici – che per la categoria erano importanti – ma anche gente del settore, non improvvisata in un certo senso. Più uomini di campo magari in grado di gestire le difficoltà. E’ andata così ma resto legatissimo alla squadra e all’ambiente, sono riuscito a coltivare delle amicizie e con mia moglie ci siamo trovati a meraviglia in quei posti.”

“Una volta fuori pericolo è naturale per te che tornasse forte la voglia di rimetterti in gioco, di tornare a calcare i campi professionisti. Ero convinto di ritrovarti a Taranto, come sono andate in realtà le cose?”

“In effetti a Taranto ho effettuato una buona preparazione, sembrava tutto fatto. Avevo già passato due anni qui, ero sceso pure tra i dilettanti, dopo più di 150 gare tra i professionisti. Non erano convinti potessi riprendermi del tutto fisicamente, a quanto pare. Non mi è rimasto che accettare la loro scelta”

“Eppure l’idoneità l’avevi ottenuta…”

“Sì, quella era arrivata strada facendo, da parte del dottore che mi aveva ben operato alla testa. Mancava in effetti quel riscontro, un’ultima visita alla testa per allontanare ogni ultimo dubbio ma alla fine per fortuna anche questo responso andò bene. Avevo di nuovo tutti i requisiti giusti per giocare. Dovevo solo abituarmi a indossare il caschetto “alla Cech” ma su quello ormai ci scherzo anche con mio figlio Edoardo”

“Non mi pare ci sia stata molta riconoscenza nel mondo del calcio. Magari mi dirai che scopro l’acqua calda, ma possibile che nessuna squadra di Lega Pro fosse interessata ad averti quanto meno in organico?”

No, Gianni, non sbagli a dire della riconoscenza. Non parlo del Taranto in particolare ma più in generale. Credo di aver dimostrato qualcosa nella mia carriera. Ho sempre giocato, come detto, più di 150 partite in Lega Pro, sono quasi un veterano della categoria. Al di là del discorso tecnico, io sono uno che in campo dà tutto, dal primo all’ultimo minuto, e inoltre quest’anno ho un grande senso di rivalsa, di rivincita. Ho troppa voglia di dimostrare che posso ancora dare il mio contributo, che sono ancora il giocatore di prima. Speravo almeno che qualche squadra mi desse l’opportunità di mostrare giorno per giorno, in allenamento, quello che ero ancora in grado di fare. Alla fine ho fatto consapevolmente la scelta di scendere ulteriormente di categoria e di firmare col Nardò, società di Eccellenza”

“Cavoli Carlo, so che il Nardò è una piazza caldissima e che merita altri palcoscenici, ma pensavo che almeno una serie D la potevi tranquillamente trovare”

“Alla fine non posso vivere di rimpianti, credo che tutti abbiamo un destino, una strada e che raccogliamo quello che ci meritiamo. Ad altro non penso, perché per la carriera in sé subentrano sempre tanti altri fattori, alcuni extracalcistici. Io so che sul campo ho sempre dato il massimo e i risultati parlano per me. Posso solo ringraziare la Madonna di Loreto di Surbo, il mio paese, per avermi sempre protetto. Sono molto devoto a lei e una volta guarito ho voluto farle visita. Nel calcio occorre anche avere fortuna e incontrare le persone giuste. In questo momento della mia vita avevo bisogno di trovare gente come quella di Nardò alla quale sarò sempre riconoscente. Il presidente Fanuli, il direttore sportivo Andrea Corallo, fratello dell’ex calciatore Alessandro, mi hanno voluto fortemente, facendomi quasi una corte spietata e sono convintissimo della mia scelta, qui ci sono tutti i presupposti per fare bene.”

“Poi, realisticamente, sei ancora giovane, non hai ancora 30 anni. Credi ancora nel professionismo, magari proprio con il Nardò?”

“Sinceramente sì, perché questo club è davvero attrezzato per il salto di categoria. Siamo in eccellenza ma d’altronde basta poco per tornare su se ci sono tanti fattori positivi come qua: una società serissima e sana, una rosa competitiva, un pubblico incredibile a questi livelli, una grande voglia di calcio. Quella ce la metto sicuramente anch’io: darò il massimo per questa maglia!”

“E a me non rimane che farti un grosso “in bocca al lupo” per questa tua nuova avventura, che sa di vera rinascita dopo il grosso spavento di febbraio scorso. Ma prima vorrei riavvolgere il nastro dei ricordi molo indietro e tornare con la mente a quella squadra splendida, il Lecce Primavera, capace di vincere nei primi anni 2000 ben due scudetti Primavera. Ho intervistato tempo fa anche il tuo ex compagno Alessio Carteni e contattato anche Andrea Rodia. Da grande appassionato di calcio giovanile, mi viene un po’ il magone nel vedere come sia andato sperperato un ciclo così forte, direi unico”

“Beh, Gianni, che dirti? Qui spalanchi un portone di ricordi! Ogni volta che ripenso alla nostra squadra mi viene una forte emozione, inutile negarlo. Hai citato due amici prima di tutto, anch’essi molto sfortunati a livello calcistico. Alessio andò con il difensore Bianco in C/1 ma in rosa erano più di 30 giocatori e perse tutto l’anno. Presto si ritrovò tra i dilettanti, quasi sempre in Puglia. Andrea, che tecnicamente era fortissimo, uno dei nostri gioielli in avanti, ha proprio smesso di giocare. Ed è già da un bel po’ che ha smesso, un vero peccato. E’ che dal calcio giovanile a quello professionistico c’è spesso un abisso e a volte noi giocatori ci troviamo in balia di certe situazioni”

“Pensi che voi di quel ciclo vincente siete stati in qualche modo abbandonati? In fondo credo ci fossero i margini per puntare almeno su alcuni di voi?”

“Abbandonati forse è una parola grossa ma… gestiti male certamente sì! A parte alcuni che esordirono in prima squadra, altri che fecero delle panchine, occasioni ce ne furono ben poche, in una situazione non facile per la prima squadra. Si è puntato sull’immediato, per provare a tornare subito in alto, invece di aspettare con pazienza la nostra crescita. E poi se non fai giocare nessuno, è improbabile che qualcuno si possa imporre. Ricordo che Agnelli ebbe qualche possibilità e se la giocò anche bene, Camisa, mio grande amico, riuscì a esordire ma avrebbero potuto avere un percorso ben diverso”

“Agnelli lo ricordo bene perché venne diciottenne all’Hellas Verona e non sfigurò, però invece di continuare in categoria il Lecce lo prestò altrove e ormai da tempo è tornato nella sua Foggia, dove è leader riconosciuto. Camisa invece, recentemente ripescato in B con il Vicenza resta un mistero per me: gli riconosco tutte le doti del difensore di alto livello, tempismo, velocità, attenzione. E Mattioli che in attacco segnava fior di gol? Giorgino che in mezzo al campo poteva dire la sua in prima squadra e in pratica ha invece legato la sua carriera al Taranto in serie C?”

“Hai ragione, in tanti avremmo potuto fare di più, a volte la responsabilità è pure del giocatore, ci vuole anche la testa giusta magari ma all’epoca tecnicamente eravamo forti, un gruppo unito di amici innanzitutto, quasi tutti ancorati al territorio. Vincemmo 2 scudetti consecutivi, coppa Italia Primavera e Supercoppa, giocando oltretutto sottoetà. Vincemmo ad esempio contro la Juve di Paro e Gastaldello, due ’83, mentre la nostra rosa era composta da tutti ’85 e ’86. Un peccato veramente ma si vede che doveva andare così, anche se a volte mi viene da pensare che se fossimo stati in altri club di prima fascia, forse qualche chances maggiore l’avremmo avuta, almeno di confrontarci in B. Poi, ovvio, è sempre il campo a dare le risposte ma, ripeto, se non ti viene data nemmeno l’opportunità.”

“Anche perché a Lecce era dai tempi di Conte, Moriero, Garzya, Petrachi che non si vedeva una squadra giovanile così forte”

“Verissimo, ma loro furono quasi tutti inseriti gradualmente in prima squadra. Si dimostrarono campioni”

“Beh, un certo Pellè un po’ di strada la sta facendo! Ha però dovuto andar via dall’Italia…”

“Graziano è innanzitutto un grandissimo amico, salentino doc, ma che non ha mai nascosto la sua volontà di andar a giocare fuori dall’Italia, lo diceva sempre che avrebbe voluto andare all’estero. Sono contentissimo per lui, si merita tutto quello che sta raccogliendo, è sempre stato un grande centravanti”

Il nostro lungo colloquio telefonico finisce qui, chiacchierare con Carlo è stato davvero piacevole e le sue parole mi hanno dato tanti spunti. Fuori onda, per così dire, abbiamo condiviso più nel dettaglio le nostre disavventure di salute (visto che anch’io sono stato operato d’urgenza l’anno scorso alla testa per rimuovere un’infezione cerebrale) e pure altre constatazioni sul mondo del calcio che, a volte, per noi inguaribili romantici del pallone, lascia piuttosto delusi.

(a cura di Gianni Gardon)

Dopo due giornate di LEGA PRO ecco i primi commenti: sorprese Pavia e Pro Piacenza, bene Ascoli e Monza, tanto equilibrio nel girone C ma ieri buoni squilli dalle protagoniste annunciate Reggina e Salernitana

Dopo due giornate di Lega Pro, se da una parte è prestissimo per trarre i primi bilanci, dall’altra però è giusto sottolineare quelli che sono i primi exploit e i primi flop. Poche le squadre a punteggio pieno ma tra queste almeno due si possono ritenere delle sorprese. Se nel girone A in qualche senso il cammino del Monza di Pea si poteva pure prevedere alla vigilia, inserendo da subito i blasonati lombardi tra i favoriti per la promozione diretta (ricordiamolo, quest’anno solo la prima classificata di ogni girone accede in B direttamente, le altre 3 dovranno affrontare i playoff, dopodichè onestamente la faccenda si complica, fatto sta che solo una salirà in B dopo gli spareggi multipli tra gironi, a parte le migliori prime classificate), la stessa cosa non si poteva dire del Pavia. La squadra – quest’anno allenata da Maspero – è infatti reduce da due pessime stagioni, soprattutto la scorsa, terminata tristemente nelle ultime posizioni, comodamente e senza affanni, visto che nessuna sarebbe retrocessa. Quest’anno invece, ampiamente rinnovata, la ritroviamo pimpante e molto offensiva, che pensa prima a segnare che a non prenderle. Stanno deludendo nel girone A la Pro Patria, troppo acerba, e il Mantova, battuto in casa nel derbissimo contro la Cremonese (a proposito di nobili decadute). Un Mantova ancora in crisi di identità, nonostante sulla carta la squadra non sia certo male, infarcita com’è di califfi per la categoria (Fortunato, Pondaco, soprattutto Paro e l’esperto Caridi, tornato nella realtà che lo aveva reso celebre ai tempi di Lori). Nel girone B è partito a razzo l’Ascoli, che vuole lasciarsi alle spalle stagioni cadette assai tribolate e puntare su un ritorno fulmineo in categorie che più le appartengono per storia e tradizione. Bene anche il Savona del tecnico rampante Di Napoli, in una piazza dove si ha tanta voglia di calcio che conta. Non mancheranno gli incontri caldi nemmeno in questo girone, visto che tra le protagoniste annunciate ci sono le “nemiche storiche” Pisa e Lucchese, a quota 4 punti ma che hanno dimostrato di possedere le credenziali giuste per salire di categoria (il Pisa sembra aver ben assorbito la delusione per il mancato ripescaggio in serie B). Da applausi l’inizio del Pro Piacenza, in teoria la seconda squadra cittadina ma che già dalla passata stagione ha scavalcato le gerarchie, soffiando il posto promozione al Piacenza. Partito con un forte handicap (-8), con le due vittorie consecutive infilate in apertura di campionato, si è messa quasi in linea di galleggiamento, ma soprattutto ha dimostrato di potersela giocare alla grande con tutti, trascinata dal super capitano Matteassi, a 35 anni leader riconosciuto e uno dei migliori interpreti della categoria a giostrare sulle fasce. Io personalmente sono curioso di vedere all’opera il Prato dei giovani che, nonostante la partenza shock, ieri ha preso 4 gol in casa dalla rivelazione Tuttocuoio, ha allestito con l’aiuto della casa madre Inter una rosa assai promettente e la Pistoiese, che può vantare nomi altisonanti (ma probabilmente ancora da assemblare). Infine il girone C, l’unico dove non ci sono compagini a punteggio pieno. D’altronde questo è il raggruppamento più atteso della categoria, il più equilibrato come sta a dimostrare questo incerto inizio. Ieri c’è stato l’ottimo squillo di una delle favorite d’obbligo: la Salernitana che ha espugnato il campo del Martina allenato dal promettente Ciullo con reti delle star Caetano Calil e Mendicino. Mi ha fatto piacere personalmente rivedere protagonisti nella squadra pugliese due ex promesse del calcio italiano, entrambi provenienti dal fertile vivaio dell’Empoli: i fantasisti Arcidiacono e Pellecchia, ieri autore di un gran gol. Ma, come detto, questo girone del Sud sarà tutto da scoprire gara dopo gara, attendendo di volta in volta gli exploit di Foggia, Cosenza, Casertana, Messina (finora in gran difficoltà, nonostante super bomber Corona, a segno ieri a 40 anni)e Reggina, che ieri è passata in scioltezza sull’ostico campo della Paganese, grazie ancora una volta a Insigne Jr (capocannoniere della Lega Pro con 3 reti), che dopo il deludente anno scorso, il primo da Pro, vuole dimostrare con i fatti di che pasta sia fatto.

A cosa servono realmente i vivai italiani, se in campo giocano sempre più stranieri?

Ieri avevo scritto una breve nota su facebook ma che aveva suscitato reazioni e creato una sana discussione. Notavo che tra Roma e Fiorentina, secondo anticipo del campionato di serie A, in campo su 22 giocatori solo 4 erano italiani (e tutti nella squadra capitolina). Ne nasceva una riflessione a caldo, un interrogativo subito da me posto, cioè se sia normale e credibile, al di là dei discorsi di facciata, scrivere, parlare, auspicare ancora un rinnovamento del calcio italiano che parta dalla valorizzazione dei vivai, cosa in teoria scontata e naturale in qualsiasi campionato professionistico, fosse anche il più quotato e il più ricco. Perché quello è il senso di coltivare un settore giovanile: vedere poi raccolti i frutti, che significa nella fattispecie che in prima squadra vadano a finire di volta in volta i più meritevoli. Ma da noi, rare eccezioni a parte (almeno l’anno scorso sono emersi a buon livello sin da subito il polivalente difensore della Roma Romagnoli, classe ’95, già esordiente un anno prima, e il portiere dell’Udinese, migliore nel suo ruolo al Mondiale Under 17, Scuffett). Poco, davvero troppo poco, quasi nulla, questo è il quadro desolante, preludio a un’angosciante spedizione azzurra ai Mondiali. Qualcosa bolle in pentola? Direi proprio di no, a parte gli inutili proclami che da più parti negli ultimi anni, ci siamo quasi stancati di ascoltare. Parole al vento, eppure giustissime, quelle di tanti addetti ai lavori (memorabile l’invettiva di Fabio Caressa contro l’inutilizzo dei giovani e lo scarso coraggio dei nostri tecnici nel lanciarli). Da appassionato di calcio giovanile, e da giornalista che ne segue i campionati a vari livelli, oltre che le competizioni internazionali, mi rifiuto di credere si tratti di una questione di mera qualità tecnica media che scarseggia nei nostri calciatori. Eppure qualcosa deve esserci, qualche intoppo nella crescita, mancanza di personalità, timore nelle giocate, perché magari al primo errore l’allenatore ti castiga rispedendoti in Primavera. Faccio esempi concreti, non riferendomi a qualcuno in particolare….

Lorenzo Tassi, talento precoce dell'Inter che rischia di perdersi a Prato in Lega Pro

Lorenzo Tassi, talento precoce dell’Inter che rischia di perdersi a Prato in Lega Pro

Però quante volte negli anni, spesso proprio dalle pagine virtuali di questo blog, mi è piaciuto segnalare questo o quel giocatore. E non erano nomi buttati a caso, ma gente che spesso e volentieri facevano la differenza nei loro rispettivi campionati. Va beh, un nome lo butto: Lorenzo Tassi, classe ’95, quindi appena maggiorenne, eppure esordiente nel Brescia a poco più di 15 anni prima di passare, con soldi tonanti, all’Inter. Paragoni ingombranti a parte, paura di bruciarlo, eccessiva tutela, inserimento graduale come giusto che sia.. fatto sta che in prima squadra nei restanti 3 anni e mezzo successivi non si è mai visto, fino all’approdo quest’anno nella società satellite del Prato, lega Pro unica. Chiaro, deve dimostrare sul campo il suo valore, i crediti accumulati nelle giovanili sono terminati ma… una gavetta così lunga implica che difficilmente arriverà in tempi brevi in serie A, se ci arriverà, perché le mie statistiche al riguardo sono impietose. Diventi più facilmente un giocatore “di categoria”,  a meno che non sia palese che tu in campo faccia la differenza a quei livelli. Ma qui spesso ci si scontra pure con le logiche di classifica, di punteggi in campionato, e quindi l’allenatore di una squadra che voglia puntare alla promozione spesso si affida su nomi rodati per la categoria. Troppa carne al fuoco, mi direte, non se ne esce più fuori. Ma allora, e qui sono volutamente provocatorio… a questo punto a che servono i vivai? Se nemmeno in condizioni disagiatissime le nostre squadre decidono di affidarsi ai loro migliori prodotti, pescando piuttosto un nome sconosciuto all’estero, come farà il livello del nostro calcio, della nostra Nazionale, a tornare competitivo? I vivai diventano solo una spesa di fatto, servono a creare “posti di lavoro”, nel senso che un 1% di questi forse vivranno da professionisti del pallone.

Buon esordio del fantasista Coman ieri nella Juve: ma allora i giovani stranieri sono più pronti dei nostri?

Buon esordio del fantasista Coman ieri nella Juve: ma allora i giovani stranieri sono più pronti dei nostri?

Ieri abbiamo visto in campo dal primo minuto, lanciato da Allegri nella Juventus, la punta Coman, classe ’96, prelevato dal Paris St Germain, indubbiamente bravo. Perché ai nostri non vengono date queste opportunità? Quando vengono aggregati alle prime squadre, i nostri giovani vengono realmente considerati al pari degli altri o servono solo a far numero nelle partitelle? Si pongono male agli occhi dei loro allenatori? Si comportano ancora “da bambini”? Non credo sinceramente. Eppure manca sempre qualcosa, e nel frattempo da anni ci si dibatte su come far rifiorire il calcio italiano, fermo nelle sabbie mobili ma col serio, concreto rischio di sprofondare completamente

Lega Pro: festeggiano Pro Vercelli e Frosinone. Infranti i sogni di Lecce (per la seconda volta consecutiva in finale playoff) e Sud Tirol

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Si sono infranti sul più bello i sogni promozione di Lecce e Alto Adige, che sono usciti sconfitte nell’impegno decisivo dei playoff rispettivamente contro Frosinone e Pro Vercelli. Onore ai vincitori, niente da eccepire sulla loro affermazione. I laziali per gran parte del torneo hanno messo in mostra grandi doti, tecniche ma anche agonistiche e uno spirito di gruppo imperniato anche su molti giocatori fatti in casa, protagonisti negli ultimi anni di exploit veri a livello giovanile, con vittorie nel campionato Beretti. Tecnico dei giovani frusinati era proprio Stellone, ex punta di valore, che centrando una storica promozione in serie B, è entrato di diritto tra i grandi del club. Ne ha fatto le spese il più titolato Lecce, che per il secondo anno consecutivo (dopo lo stesso epilogo patito contro il Carpi), deve cedere l’onore delle armi a una matricola. La squadra di patron Tesoro, capitanata in campo dall’enfant du pays, Fabrizio Miccoli, giunto nel suo Salento dopo il brusco allontanamento – più o meno volontario dal mondo del calcio ad alti livelli – seguito alle sue infauste dichiarazioni contro Falcone, nonostante un indubbio tasso qualitativo della sua rosa, non è riuscita a imporre blasone, esperienza e ambizione sui rivali. Nel girone A, ammetto di aver seguito con particolare trepidazione gli esiti di questi playoff, non nascondendo la mia simpatia per i biancorossi altoatesini. La Pro Vercelli però non ha rubato proprio nulla, anzi, ha mantenuto inalterato il gap già evidenziato in campionato non solo con il Sud Tirol, ma pure con le altre compagini, se è vero che la promozione diretta in serie B è sfumata proprio sul filo di lana, anche se a mio avviso era stata più che altro l’Entella a rischiare di buttare una promozione che sembrava quasi acquisita con grande anticipo.

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La Pro torna in B dopo soli due campionati, con un parco giocatori rinnovato ma composto anche da alcune pedine già presenti nella trionfale cavalcata precedente. Vedremo se la permanenza in categoria sarà obiettivo fattibile: gli ingredienti ci sono tutti per stabilizzarsi nel calcio che conta e per far sì che non si tratti di una felice parentesi, di un episodio isolato come accaduto un paio di stagioni fa. Dell’Alto Adige rimarrà comunque impresso nella memoria il formidabile cammino percorso nel girone di ritorno e più in generale un convinto pensiero che si rafforza di anno in anno, al pari di una crescita tecnica e societaria sotto gli occhi di tutti. La squadra altoatesina, con sede a Bressanone, ma emanazione di tutta un’area fino a pochi anni fa incontaminata (anche) a livello calcistico, e non solo naturalistico, è ormai una solida realtà, credibile a questi livelli, e pare che dopo aver raggiunto i playoff, consolidarsi in Lega Pro e, anzi, tentare il grande salto, con ulteriore salto di qualità, possa diventare obiettivo concreto. Quest’anno la rosa allestita per mister Rastelli era di grande qualità, composta com’era in un giusto mix tra “vecchi” (il capitano Hannes Fink, bolzanino doc e Alex Pederzoli, l’ex talento di casa Juve, tornato dopo l’oblio del calcio scommesse es subito leader riconosciuto in mezzo al campo), giocatori “di categoria” (Tagliani, Turchetta, Martin, Bassoli, Iacoponi) e giovani emergenti di sicuro avvenire (da Minesso, grande innesto di gennaio, all’ex palermitano Vassallo, dal difensore Cappelletti al bomber Corazza, una delle rivelazioni dell’intero campionato). Ciò non è bastato per sovvertire i pronostici, che vedevano partire avvantaggiata nel doppio confronto la corazzata Pro Vercelli, ma ha dato il là a un futuro ancora più radioso per la squadra di Bolzano.

Intervista al calciatore veronese Stefano Garzon, esempio di giocatore di successo che ha mantenuto saldi i suoi valori

 

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Una carriera lunghissima la tua, Stefano, che ti ha regalato tantissime soddisfazioni ad alti livelli di professionismo e che ora ti vede impegnato nella natia Cerea in un avvincente campionato di Eccellenza. Partiamo dall’attualità, dall’odierno: siete capitati in un girone di ferro, con tante valide pretendenti alla promozione diretta. Chi vedi come più accreditata tra Rovigo, Arzignano e Villafranca? Voi contate di tenere il passo e di fare il grande ritorno in D?

-Il campionato è stato sicuramente molto avvincente e combattuto fino all’ultima giornata. C’erano squadre allestite per fare un campionato di vertice, importante, e tutte quelle che hai citato tu hanno lottato fino all’ultimo per ottenere la promozione. Per quanto ci riguarda abbiamo fatto un grande campionato, e fino all’ultimo abbiamo dato l’anima per inseguire un traguardo che all’inizio era insperato. Siamo partiti infatti a luglio dopo la delusione dell’anno scorso e ripartire non è stato facile. Tanti giovani bravi si sono messi in luce, noi vecchietti abbiamo cercato di portare la nostra esperienza, dando sempre il massimo dell’esempio e dell’impegno. E’ la società non ci ha mai fatto mancare nulla, mettendoci a disposizione tutto ciò che ci serviva con puntualità.

Qual è la qualità maggiore che emerge nella tua squadra: l’esperienza data da te e altri compagni, penso a Moretto da poco rientrato, o l’entusiasmo dei nuovi, dei più giovani? O è tutto l’ambiente che aiuta a far salire le prestazioni della squadra?

-Come detto sia l’apporto dei più giovani, sia quello dei più vecchi è stato fondamentale. Si è creato un’alchimia veramente bella, che ci ha portato a giocarci il campionato fino all’ultimo. E sia lo staff tecnico che la società ci sono sempre stati vicini in tutto con grande professionalità.

Sei di Asparetto, una piccola frazione di Cerea appunto, che tu lasciasti ben presto per volare al Chievo. Ti ricordi le sensazioni e le emozioni del periodo? I sacrifici per arrivare dove sei arrivato in cosa consistevano, sempre se tu li hai vissuti come tali. O nel tuo caso, la voglia di emergere e di rimanere al Chievo ha superato il resto? C’erano altri tuoi compagni che hanno mollato prima o non hanno completato il loro percorso; nella tua esperienza quali possono essere le maggiori difficoltà che si incontrano lungo il cammino di un giovane calciatore?

-Sicuramente non è stato facile. Ricordo i grandi sacrifici dei miei genitori, che mi accompagnavano ad allenamenti e partite. Ricordo la grande fatica nel far conciliare gli studi con gli allenamenti. Ma la forza interiore, l’entusiasmo mi hanno permesso di superare tutto ciò. Il momento più difficile è stato sicuramente quello dell’adolescenza, ricordo i miei amici che uscivano a divertirsi e io non potevo perchè dovevo andare alla partita, e nel poco tempo libero dovevo studiare. Ma la passione e l’amore per questo sport mi hanno dato la forza per fare questi sacrifici.

Per moltissimo tempo sotto contratto con il Chievo, immagino con molti momenti topici in cui magari pensavi di esordire in prima squadra, cosa che è in effetti accaduta, ma quando ormai eri già quasi un veterano delle categorie inferiori, tra cadetteria e terza serie. Hai sempre messo davanti l’opportunità concreta di giocarti le tue carte altrove, di fare esperienza sul campo o hai rammarico di non essere stato tra i protagonisti di quel Chievo così forte nelle sue prime stagioni in serie A? Che ricordi hai di alcuni compagni di squadra dell’epoca, quelli del “miracolo” di Delneri?

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-Al Chievo sono cresciuto, sono diventato uomo, sono arrivato all’età di 9 anni, ero un bambino. A diciotto ho firmato il mio primo contratto da professionista e dopo tanti sacrifici il mio sogno è diventato realtà. Nessun rammarico, ho avuto la grande gioia di esordire in serie A e di fare esperienze sportive ed umane fantastiche, ho vissuto in tante città d’Italia ed ho conosciuto amici e persone straordinarie. Ho avuto la fortuna di giocare con grandi campioni, che mi hanno insegnato tanto.

La vita da professionista ti ha portato ben presto a maturare esperienza lontano da casa: Pescara, Avellino ma persino Acireale ai tempi del tuo primo prestito. Che tipo di esperienze sono state, non solo da un punto di vista prettamente sportivo? In fondo eri poco più che un ragazzo, immagino tu sia cresciuto in fretta…

-Sono state esperienze bellissime, che porterò sempre dentro il mio cuore. Oltre alla componente sportiva, che mi ha formato professionalmente, ho avuto modo di crescere in fretta, di vivere lontano da casa, di abitare sia con altri compagni di squadra che da solo, di conoscere posti nuovi e come detto prima persone fantastiche. Ogni città in cui ho giocato mi ha lasciato ricordi indelebili nel cuore.

A Cremona hai vissuto una buona stagione, viatico per l’approdo in B. Quali sono state le maggiori differenze che hai riscontrato tra le due categorie?

-A Cremona era il mio secondo anno di serie B. Fino ad allora non avevo avuto grandi infortuni, e fisicamente ero al top. E’ stata una grande stagione, ho giocato con continuita e ho fatto il mio record di goal in serie B. Avevo già giocato a Cremona in serie C, a diciotto anni, e ritornare dopo anni in B è stato molto bello. E’ una città alla quale sono molto legato.

Ripercorrendo la tua carriera, a quali allenatori ti senti più grato? Qual è quello che maggiormente ti ha “capito”, mettendoti nelle condizioni di esprimerti al massimo delle tue potenzialità? E in generale da quale hai imparato di più?

-Ho avuto tanti allenatori…Tutti mi hanno trasmesso qualcosa di importante, e da tutti ho cercato di imparare segreti diversi. A tanti sono ancora molto legato. Ricordo con piacere Galderisi che ho avuto a Cremona ed Avellino, Roselli a Varese, Vavassori ad Avellino e a Verona…Lo stesso Pellegrini…

L’esordio in serie A o l’approdo, seppur in tempi bui, all’Hellas Verona? Quale di questi due momenti tieni maggiormente nel cuore?

-Sono due emozioni completamente diverse, non paragonabili. Solo chi le ha vissute può provare dentro di se le emozioni che danno. L’esordio in serie A è il sogno di un bambino che si realizza, è il massimo, e il Chievo mi ha dato la possibilità di farlo…Vestire la maglia della propria città, e vincere un campionato è un’altro sogno che si è realizzato. Quando vesti qualsiasi maglia, devi farlo con grande onore e rispetto, se la maglia è quella della tua città, rappresenti la tua gente, e il senso di appartenenza ti avvolge. Io ho sempre cercato di farlo al meglio e col massimo impegno.

Sentiamo parlare sempre più spesso dei “mali” che attanagliano il calcio, della mancanza di valori ecc. Tutti coloro che hanno avuto modo di conoscerti sono certi nell’affermare che tu sia rimasto il ragazzo tranquillo di sempre, serio e umile. Ci confermi che è possibile quindi trovare ragazzi semplici, lontani dall’immagine comune che i media mandano quotidianamente? Hai legami di amicizia vera coltivati negli anni con alcuni tuoi colleghi?

-Io sono così, ero così e lo sono rimasto. E sono fiero di esserlo. Questi valori, quelli dell’umiltà, della volontà e del sacrificio sono stati quelli che mi danno la forza di raggiungere i miei obbiettivi, professionali ed umani, e non mi hanno mai tradito. In un ambiente come quello calcistico è più facile montarsi la testa perchè tutto sembra più facile. Ma nella mia avventura ho conosciuto ragazzi splendidi, puliti e veri, è normale poi che le strade si dividano per le esperienze di vita più svariate, ma a tanti di questi sono ancora molto legato.

A Cerea immagino che tu sia visto come uno “che ce l’ha fatta” a far diventare la sua passione, il suo sogno, una realtà. Alla fine della giostra hai dei rimpianti su quella che poteva essere stata una carriera diversa o hai raggiunto tutti gli obiettivi che ti eri posto? Che consigli senti di dare ai tuoi compagni più giovani, alcuni dei quali magari legittimamente ambiscono a un futuro da professionista nel mondo del pallone?

-Nessun rimpianto. Non bisogna mai averne. Tutte le scelte se meditate e ponderate con attenzione non possono essere rimpiante. Purtroppo nella vita ci sono tante variabili impreviste, che non possiamo controllare…é normale che avrei fatto a meno di qualche infortunio scomodo, come quelli alla spalla o alle ginocchia…ma anche questo fa parte della vita, e va superato a testa alta. Ai ragazzi giovani dico solo di essere se stessi, di dare tutto, ma per raggiungere un obbiettivo bisogna essere disposti a fare fatiche e sacrifici. Nulla è facile. Solo dopo aver fatto questo non si ha nulla da rimproverare a se stessi. Ora il calcio offre meno opportunità di un tempo, sfondare è più difficile, per questo è fondamentale costruirsi una strada alternativa con lo studio.

Avrei tante altre cose da chiederti e curiosità da soddisfare, ma immagino che carne al fuoco ce ne sia già tanta e sono sicuro che i lettori saranno ben soddisfatti di poter leggere dalle tue parole il frutto della tua lunga e bella esperienza calcistica.

 

Il punto sulla LEGA PRO seconda divisione. Quanta sofferenza per la Virtus, nel B promosse anche le corazzate Casertana e Foggia

Sta entrando sempre più nel vivo la lotta per la permanenza (salvezza, ma alcuni avventatamente parlano pure di “promozione”: insomma, un bel calderone in vista della clamorosa riforma prevista per inizio della prossima stagione) in LEGA PRO. Una lega pro che diverrà unica, una grande serie C in pratica e chi lo dice che in fondo non sarà meglio così, e non solo per un aspetto meramente economico che non ci compete.

Fatto sta che quest’anno, almeno per me che sono solito seguire con grande interesse le questioni inerenti la terza e quarta serie (ma ci metto dentro pure i Dilettanti, evvai 🙂 ) più che la Prima divisione – che non comportava alcuna retrocessione e i playoff allargatissimi per i medesimi posti delle passate edizioni – mi è parsa molto più avvincente, al di là del cervellotico regolamento, la stagione che sta andando in scena in Seconda divisione. Sali e scendi clamorosi, belle rimonte e altrettante fragorose cadute ma alla lunga i valori stanno emergendo, come si evince dalle matematiche ormai, a poche gare dal termine della regular season, salvezze di piazze importanti quali Monza, Cosenza, Caserta e Foggia, in mezzo a tante altre belle realtà emergenti, come il Real Vicenza, il Santarcangelo nel girone A e le redivive Messina (grandissimo girone di ritorno per i siciliani) e Teramo nel B, per quanto in questi casi citati occorre ancora attendere il verdetto del campo.

una formazione della Virtus, impegnata in una difficile ma possibile rincorsa alla "promozione" nella futura Lega Pro Unica

una formazione della Virtus, impegnata in una difficile ma possibile rincorsa alla “promozione” nella futura Lega Pro Unica

Andando più sullo specifico, e concedendo spazio al cuore… mi spiace che nonostante un girone d’andata giocato con gran piglio e personalità, a dispetto dello status di matricola assoluta, la Virtus, emanazione di un altro quartiere della mia città, Verona, sia ormai risucchiata nella parte media bassa della graduatoria che allo stato attuale significherebbe per gli uomini di mister e patron Gigi Fresco retrocessione con conseguente ritorno tra i dilettanti. Chiaro, non sarebbe una tragedia, i mezzi societari sono solidi e consolidati, ma certo sarebbe un contraccolpo psicologico non indifferente per i veronesi di Borgo Venezia, capaci come detto di giocarsela alla pari con gli squadroni del girone per tutta l’andata ma poi andati in flessione nei momenti topici della stagione. La salvezza è ancora a portata di mano, almeno mediante i playoff (ma di quattro squadre soltanto una otterrà il pass per la Lega Pro Unica); tuttavia al momento a occhio e croce paiono più accreditate sulla carta Mantova, Rimini e Forlì. Il tutto nonostante nelle ultime due partite la Virtus Vecomp non abbia sfigurato per nulla contro due corazzate come Alessandria e Renate, ormai in odor di salvezza matematica, ottenendo però, oltre a una buona dose di meritati complimenti, solo due punti che hanno mosso troppo poco la classifica. E si è giocato pure nella splendida cornice del Bentegodi!

immagini festose di un Foggia che vuole tornare protagonista ai massimi livelli

immagini festose di un Foggia che vuole tornare protagonista ai massimi livelli

Nel girone B invece ammetto di aver seguito – come sempre – con occhio più attento il cammino del Foggia, non solo perchè la squadra della città della mia fidanzata (!) ma perchè, forse per motivi “generazionali” sono legato alle magiche stagioni di Zemanlandia, visto che all’epoca ero poco più che un adolescente in adorazione del gioco spumeggiante messo in mostra dai Satanelli rossoneri pugliesi. L’augurio è che davvero si esca dal pantano della serie C, di stagioni magari esaltanti – come per certi versi proprio l’ultima con Zeman, capace di rilanciarsi alla grande qualche anno fa di nuovo nella sua Foggia, prima di rispiccare il volo verso Pescara e Roma. In quell’improvvisato Foggia il boemo riuscì a far esplodere talenti come le punte Insigne e Sau, il centrocampista Salomon, l’interno Laribi, i difensori Regini e l’attuale perno del Trapani Caccetta. Si spera quindi che dopo una bella stagione come quella di quest’anno ci siano poi anche i presupposti per una lunga permanenza nelle categorie che maggiormente sono consone a una squadra di gran blasone come il Foggia

Serie B: volano le neopromosse Avellino, Latina, Trapani e Carpi

Da appassionato della Lega Pro, l’anno scorso fui tra gli sbigottiti nel vedere sfumare la promozione della corazzata Lecce in favore di una piccola realtà di provincia come il Carpi, emanazione di un calcio, quello modenese, che solo poche settimane prima, aveva brindato a un’altra promozione storica, ancora più prestigiosa, quella del Sassuolo in serie A. Lecce che, partito a razzo, si era poi smarrito clamorosamente,  e quando nelle categorie inferiori, partendo da strafavorita, cominci a perdere la bussola, ecco che inevitabilmente il nome, il blasone e la storia finiscono col contare relativamente.

Si profilava quest’anno in B un roster di neopromosse particolare, con un ritrovato Avellino, la squadra con più esperienza di cadetteria e ben tre matricole assolute ai nastri di partenza: Latina, Trapani e, appunto, Carpi. Tradotto, tre incognite, anche se il recente caso del Lanciano, matricola l’anno prima e messosi in salvo al primo colpo in cadetteria lasciava ben sperare per le quattro compagni in questione, in quello che da sempre è considerato il torneo più imprevedibile e lungo del calcio italiano.

Pur con qualche inevitabile difficoltà, che ha portato ad esempio nel caso del Latina al precoce esonero del tecnico Auteri in favore di un lanciatissimo Breda, le quattro squadre si stanno dimostrando più che all’altezza, scambiandosi nell’immaginario degli sportivi, il ruolo di mina vagante, di outsider. Ruolo che, con l’allargamento della quota playoff, o meglio, la possibilità in base ai punteggi e alle relative distanze tra le posizioni in classifica, di accedere al treno giusto per la promozione, anche arrivando ottavi, potrebbe davvero essere appannaggio di una di loro, se non di più di una, visto l’attuale roulino di marcia.

L’Avellino, quella più blasonata, con molti tornei di A alle spalle, è a ridosso delle corazzate Empoli e Palermo, le vere favorite per la promozione diretta e della sorpresissima Lanciano. Squadra solida, concreta, forse poco spettacolare, quella allenata dal rampante Rastelli, ma capace di mettere in difficoltà chiunque, di impelagare nella sua tela tutte le squadre finora affrontate.

bomber Galabinov

bomber Galabinov

Galabinov e l’esperto Castaldo sono i terminali offensivi, nel contesto di una squadra solida e compatta, dove si stanno mettendo in luce, tra gli altri, il centrale difensivo Izzo e il mediano Arini, entrambi di scuola napoletana, che dopo anni di onorata gavetta, pur essendo ancora molto giovani, stanno dimostrando con i fatti di valere la cadetteria. Il fiore all’occhiello, già ammirato in Lega Pro e destinato a progredire ancora esponenzialmente è pero il terzino fluidificante Zappacosta, già perno della nuova Under 21 di Di Biagio. Corsa, personalità, grinta e buon piede le sue caratteristiche peculiari, ne sentiremo parlare presto ad alti livelli.

Al Trapani avevo già dedicato un post due stagioni fa, (https://giannivillegas.wordpress.com/2012/03/21/non-solo-barcellona-e-calcio-spettacolo-anche-quello-di-borussia-dortmund-swansea-e-trapani/ ) all’epoca della prima scintillante – e sfortunata, visto l’epilogo infausto, con sconfitta in extremis nella finale playoff, dopo aver condotto il girone da capolista per quasi tutta la stagione.

l'attaccante del Trapani Mancosu, uno dei migliori dell'intera cadetteria

l’attaccante del Trapani Mancosu, uno dei migliori dell’intera cadetteria

L’anno successivo però, con una forza e una determinazione encomiabile, i siciliani, guidati da Boscaglia, seppero reagire alla tremenda delusione, ripercorrendo le stesse tappe della precedente stagione, cambiando però in positivo l’epilogo, sospinti da un gioco favoloso e dai gol di un sorprendente Mancosu, giunto alla ribalta troppo tardi, dopo un lungo peregrinare nei campi infuocati del sud, a suon di gol. Il Trapani, a conti fatti, ha mantenuto l’ossatura delle ultime 3 stagioni vincenti, inserendo alcuni mirati elementi di categoria- come Iunco, o Terlizzi –  e buoni giocatori incontrati come avversari in questo biennio di Lega Pro, come il fantasista ex cremonese Nizzetto, che da tempo attendeva una chance dai piani superiori. Inserimenti che tuttavia non sono andati a minare l’equilibrio di una rosa dove gli interpreti si conoscono e giocano a memoria, e dove Mancosu si sta addirittura confermando bomber di razza e alla pari, come realizzazioni a cannonieri navigati come Tavano.  La squadra di Boscaglia anche in B non ha smarrito le sue qualità: manca di esperienza, talvolta ha pareggiato gare in cui aveva dominato ma ora il trend è tornato positivo e ci si aspetta un’ulteriore crescita.

il brasiliano Jonathas del Latina: coi suoi gol sta trascinando la squadra ai piani della classifica

il brasiliano Jonathas del Latina: coi suoi gol sta trascinando la squadra ai piani della classifica

Latina e Carpi francamente sono quelle che maggiormente mi hanno sorpreso, pur riaffermando quanto in B i valori siano davvero difficili da intravedere con certezza. Entrambe partite col freno a mano tirato, una volta partite, non si stanno più fermando. Emblematico il caso del Latina, che dopo l’avvicendamento in panchina tra Auteri e Breda – quest’ultimo reduce da una tristissima stagione al Vicenza, culminata con un’ignobile retrocessione – capace di stravincere addirittura contro il Palermo alla Favorita e di issarsi sempre più nei piani alti della classifica. Giocano benissimo i neroazzurri, sospinti dai gol stranieri di Jefferson e Jonathas, che dopo aver assaggiato la serie A si stanno rimettendo seriamente in gioco, a suon di gol, specie il bisonte ex Brescia e Torino.

Mbakogu del Carpi, attaccante da serie A

Mbakogu del Carpi, attaccante da serie A

E che dire del Carpi? Per molti critici, indicata come la squadra materasso del torneo, sta invece mostrando una forza e una maturità incredibile, una personalità – anche da parte di giocatori poco accreditati tecnicamente – fuori dal comune, in gente come Memushaj, Lollo, Concas, i giovani Letizia e Liviero, sorretti da gente di categoria già vincente come l’ex novarese Porcari o l’esperto difensore Pesoli. Su tutti, da qualche settimana è rientrato nei ranghi l’attaccante Mbakogu, uno con i mezzi da big. Ancora giovanissimo, classe ’92, ha tutte le carte in regola per sfondare ad alti livelli e confermare anche da professionista tutte le meraviglie mostrate da giovane, quando si era meritato l’epiteto di “piccolo Drogba”. Carpi allenato dal quarantaduenne Stefano Vecchi, per alcuni un azzardo alla vigilia, ma che dopo l’ottima stagione alla guida del Sud Tirol, si sta imponendo anche in B come uno degli allenatori più promettenti dell’intero panorama calcistico italiano.

Panoramica sul calcio veronese: dietro al derby tante belle realtà protagoniste quest’anno in Lega PRO e tra i Dilettanti. I casi di Virtus, Legnago, Cerea e Villafranca

Archiviato un derby calcistico in tono minore, almeno a detta di chi scrive, allarghiamo il campo ad altre belle realtà emergenti del calcio veronese, mai come in questa epoca così ricco di interpreti ad alti livelli.

Intendiamoci, la stracittadina – che strano chiamarla così, ma a mio avviso è giusto elevare il derby veronese alla stregua degli altri d’Italia, chè gli snobismi non portano da nessuna parte nel calcio – ha avuto più di un motivo di interesse, ma è stata vissuta in modo particolare, certamente in maniera differente rispetto al primo storico incontro in serie A di 11 anni fa. Una festa sì, a detta di molti cronisti esterni, ma in tono minore, decisa sul campo da una fiammata all’ultimo minuto che ha dato nuova linfa in chiave salvezza alla società della Diga, che con l’innesto di mister Corini, ora sembra davvero avere le carte in regola per centrare una nuova salvezza. E per quanto l’Hellas abbia ristabilito una gerarchia mai messa veramente in discussione, almeno nella percezione locale, il Chievo in serie A rappresenta una scommessa ormai vinta diversi anni fa e che conferisce alla città prestigio. In fondo, tolte le metropoli, nessuna altra città è rappresentata da due compagini nella massima serie.

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Ma dietro a loro, si sta facendo largo, partita dopo partita, con una consapevolezza della categoria e dei propri mezzi sempre più distinti, la Virtus Vecomp dell’allenatore/presidente Gigi Fresco. Emanazione, più ancora rispetto a Chievo, che tutto sommato è una vera frazione, di un quartiere della città, in questo caso Borgo Venezia, dopo anni buoni in serie D, da questa stagione, con umiltà ma con fiera determinazione, si sta disimpegnando alla grande nella seconda divisione della Lega Pro.

Categoria, come ampiamente descritto in altro post, destinata a scomparire ma che permetterebbe alle classificate nella prima metà della graduatoria, di partecipare l’anno venturo alla nuova Lega Pro, una serie C unica come accadeva negli anni ’70, una categoria che al momento vedrebbe inserita alla grande la Virtus, domenica vincitrice sul tosto Renate.

Una squadra affiatata, ben disposta in campo, che non molla davvero mai e che sinora non ha mai dato impressione di soccombere contro nessuna squadra.

In serie D sta faticando la Sambonifacese, che dopo anni ottimi tra i professionisti, sta ancora forse pagando lo scotto di una retrocessione inaspettata due anni fa che l’ha fatta ripiombare tra i dilettanti in forma ridimensionata. Benissimo invece sta facendo il Legnago, prestigiosa società della Bassa Veronese, partita a fari spenti ma che da un paio di mesi ha ingranato la marcia giusta, arrivando davvero a un passo dalle zone di vertice, dove è al momento issata la Pro Piacenza. Nonostante il mezzo passo falso dell’ultima giornata, la squadra capitanata dall’ex promessa delle giovanili del Chievo, Maycol Andriani, sta dando del filo da torcere a tutte le favorite del girone, nel contesto di un raggruppamento di ottimo livello.

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Scendendo di categoria, in Eccellenza, nel girone misto del Veneto, grande ammucchiata in vetta dove stazionano al momento due squadroni come Rovigo e Arzignano, con due veronesi appena un gradino sotto: il Villafranca e il Cerea. Quest’ultimo, il “Piccolo Toro”, reduce da una mesta retrocessione dalla serie D, dopo una partenza un po’ risicata, è risalita alla grande, con un filotto incredibile di vittorie che l’ha portata sino a raggiungere le lanciatissime capolista. Un traguardo raggiunto e poi sfumato domenica, dopo l’incredibile sconfitta subita contro una rediviva e convincente Ambrosiana. Nulla è perduto comunque per il Cerea che, numeri e uomini alla mano, sembra possedere tutte le carte in regola per tornare in serie D al primo colpo. Appena sotto non dà segni di cedimento il Villafranca, dietro solo di un punto e, come il Cerea, protagonista di una lunghissima rimonta nei confronti di Rovigo e Arzignano. Il livello di queste 4 squadre è davvero elevato ed è un peccato che solo due, di cui una dopo spareggi, potranno accedere a categorie superiori. Nel frattempo, godiamoci un campionato mai così equilibrato.

Tutti pronti a Verona per il grande derby tra Hellas e Chievo!

Cresce di giorno in giorno in città l’attesa per il derby veronese tra Hellas e Chievo, in programma sabato alla ripresa del campionato. Un confronto atteso anni, se è vero che gli unici due derby nella massima serie sono stati disputati 11 anni fa, terminati con una vittoria a testa. Pochi però avrebbero razionalmente immaginato che quella prima stagione in A del Chievo sarebbe stata l’inizio di un consolidamento reale nel calcio che conta, intervallato solo da una nefasta stagione (la stessa giunta dopo il culmine dell’anno precedente, quando con Pillon gli uomini della Diga si issarono fino a raggiungere la zona Champions League) e prontamente riscattata l’anno successivo col mister delle promozioni Iachini. Viceversa per la squadra più storica e titolata della città, da lì in poi sarebbe iniziato un vero calvario, costituito da retrocessioni (drammatica proprio quella conseguente il primo derbyssimo), campionati grigissimi in cadetteria, fino al fondo toccato con lo spauracchio C/2 (chiamiamo le cose come stavano, così si… capisce meglio!). Ora le gerarchie sono nuovamente pareggiate, il clima è quello appunto della grande attesa e di uno scontro più “razionale” se vogliamo, meno da “provincia”, sebbene come tutti sanno Chievo altro non è che uno (splendido) esempio di artigianato portato ai massimi livelli negli anni, emanazione di una frazione, più che di un quartiere, altrimenti anche Londra sarebbe piena zeppa di “quartieri” arrivati in Premier!

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Se da una parte l’Hellas si è riappropriato di una supremazia che, sugli spalti almeno, non è mai stata messa in minima discussione, dall’altra è anche vero che il Chievo,seppur in modo graduale, se n’è costruita una più credibile, non più fatta quasi esclusivamente di simpatizzanti, tifosi delle grandi squadre o da città limitrofe (come Mantova e Trento le cui compagini da anni faticano a emergere ad alti livelli, eccezion fatta per i famigerati anni targati Lori) che ne “approfittavano” per vedere all’opera i grandi campioni di Juve, Milan o Inter. Per non parlare di immagini che dilagano su You tube, con le “vecchiette” allo stadio, in “curva” armate di panini imbottiti al salame e torta alle mele, con i propri nipotini. Immagini che sarebbero invero tutt’altro che deleterie se pensiamo al degrado di certi stadi, senza entrare nello specifico di alcune situazioni estreme protagoniste nelle ultime settimane, ma che negli anni hanno suscitato più di qualche ironia.
Dicevo, però, come evidenziato anche da un amico giornalista veronese, Francesco Barana, che negli anni il tifoso medio del Chievo si è avvicinato, se non proprio allineato a quello delle altre squadre, pur mantenendo un alto senso di civiltà, che comporta immancabilmente (ed è un merito spesso sottovalutato) il premio Fair Play di fine anno.. insomma, magari sparuto, ma il pubblico fa anche qui, o lo può fare, la sua parte.

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Nel caso dell’Hellas però questi discorsi sono palesi, evidenti e maggiormente enfatizzati a maggior ragione in serie A, dove forse in effetti mancava da troppo tempo anche agli avversari un paragone simile. Già, perché molti cronisti, giornalisti, specie i più giovani, sembrano quasi meravigliarsi dei cori continui, dei canti incessanti, dei brusii perenni, degli incitamenti in stile inglese (metro di confronto abusato ma che mai come accostato ai “Butei” ci calza a pennello). In realtà bastava si fossero sintonizzati in questi anni anche sulla Lega Pro per capire quanto i “ragazzacci” della Curva Sud non siano solo quelli sprezzantemente dipinti come leghisti, teppisti e violenti. C’è una frangia più estrema, inutile negarlo, come vi è insinuata in ogni latitudine nel calcio, ma la maggioranza di questi tifosi hanno un attaccamento davvero encomiabile ai colori, e seguono la squadra ovunque, in C così come in A, facendo sentire e valere tutto il proprio calore. Quindi, non sarà un derby tra big come Milan e Inter, nella loro storia quasi sempre scontri per il vertice; non sarà una “lotta di classe” come a Torino, dove l’indomito Toro spesso riesce con prestazioni epiche a sovvertire pronostici quasi sempre favorevoli in partenza ai “ricchi”; non saranno le roventi gare di Roma e Genova, quando un derby talvolta funge da volano per dare senso a un’intera stagione e la passione raggiunge livelli di guardia, ma anche il quinto derby dell’anno (mai stati così numerosi e ci auguriamo che possano rimanere così tanti anche negli anni a venire) ha più di un motivo di interesse, e avrebbe meritato alla grande il prime time, anziché venir disputato alle 18, oltretutto creando in città un certo disagio, vista la compresenza di altri eventi importanti nello stesso fine settimana. Ma tant’è, si va verso una sfida da tutto esaurito, e non poteva essere altrimenti, visto il già elevatissimo numero di abbonamenti siglato dall’Hellas Verona.
A livello tecnico, invece, come ogni derby sarà una partita a sé, e certamente la pausa avrà contribuito in entrambi i casi a mettere ordine alle idee, specie in casa Chievo, dove si è consumato il divorzio da Sannino, che aveva raccolto davvero poco in questa prima fase, facendo sprofondare la squadra all’ultimissimo posto in classifica. L’attenuante di una rosa parsa sin da subito più debole rispetto alle precedenti stagioni sta in piedi fino a un certo punto; il fatto è che il tecnico ha saputo con poca convinzione immettere le proprie idee nei calciatori e compito del figliol prodigo Corini, già artefice della squadra miracolo che arrivò in serie A sotto la guida di Delneri, di cui era orgoglioso capitano e della comoda salvezza ottenuta l’anno scorso da subentrato sarà quello di far invertire la rotta. Corini tra l’altro è un ex, avendo giocato – poco causa infortuni – pure con la maglia dell’Hellas.
Hellas che indubbiamente, stando ai numeri attuali, parte favorito. Scivolone col Genoa a parte, che ci si augura rimarginato, rimane la rivelazione del campionato, nel quale da neopromossa, sta mostrando un gioco scintillante, di qualità e ardore, forte di un allenatore che è simbolo stesso della squadra, condottiero nel vero senso della parola: un Mandorlini al top, che sta raccogliendo finalmente anche nella massima serie quanto di ben seminato lungo un’esperienza che l’ha portato anche a vincere oltre confine. Un tecnico che ha messo da parte certe intemperanze, spronato probabilmente anche da una società finalmente impeccabile, seria e competente nelle figure dei pragmatici presidente Setti e direttore sportivo Sogliano, uno dei più giovani e interessanti nel ruolo.
A livello di squadra, il Chievo a mio avviso dovrà recuperare in primis alcuni giocatori parsi l’ombra di sé stessi, specie il francese Thereau, determinante l’anno scorso con i suoi molti gol e assist e far perno su un ritrovato Dainelli (da quando l’ex viola è tornato nei ranghi la difesa è parsa molto solida), oltre che affiancare un uomo di qualità in mezzo al campo a capitan Rigoni, che non può sempre cantare e portare la croce.

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Del Verona ormai si sa quasi tutto, e anche questo fa specie: non si era quasi più abituati a tutta questa attenzione mediatica nei confronti dell’ultima vera provinciale in grado di vincere uno scudetto. Mai come in questo inizio di stagione però titoli ed elogi sono meritati e commensurati al reale valore mostrato in campo dalla truppa di Mandorlini. Un gruppo vero, affiatato, dove elementi di lotta vanno a braccetto con quelli di fioretto. Dove accanto a gente di spessore e qualità vera (il “vecchio” Toni, i giovani Jorginho e Iturbe che tutti ci invidiano, in attesa di vedere all’opera pure Cirigliano), c’è gente da serie A come Romulo, Jankovic e Donati, senza dimenticare l’apporto fondamentale, e in alcuni casi sorprendente, degli elementi protagonisti della grande cavalcata, alcuni addirittura già presenti in Lega Pro (gente come Rafael, Maietta, Albertazzi, Gomez, Cacciatore, Hallfredsson o lo stesso Jorginho). Insomma, un mix che finora, specie tra le mura amiche del Bentegodi, si sta dimostrando vincente, visto che la maggior parte dei 22 punti sono stati incamerati proprio in casa.
Che derby sia allora, e vinca il migliore!

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