Gemelli emergenti del calcio italiano: da Edoardo e Niccolò Pierozzi a Cristian e Stiven Shpendi, a Lorenzo e Carlo Pirola (e tanti ancora)

Uno degli articoli più letti ancora oggi del mio blog, almeno rimanendo al tema sportivo, è quello che dedicai ormai diversi anni fa ai gemelli nel mondo del calcio e poiché negli ultimi tempi stanno emergendo altre coppie di gemelli nei nostri campionati avevo voglia di passarle in rassegna, dai più noti a quelli che stanno iniziando da poco il loro percorso.
Il riferimento va comunque a calciatori ancora ascrivibili all’area degli “emergenti” (che in Italia comprende una forbice piuttosto vasta rispetto ai parametri europei), ragion per cui non ho trattato ad esempio la storia dei gemelli Matteo e Federico Ricci (classe 1994), grandi talenti cresciuti nel vivaio della Roma e protagonisti in carriera di buoni se non ottimi picchi di rendimento ma la cui stella ha iniziato a declinare, visto che entrambi attualmente sono poco più che comprimari nei rispettivi club (Matteo nella Sampdoria in B, Federico addirittura finito in serie C al Perugia).

I gemelli Ricci ai tempi della bellissima esperienza condivisa nello Spezia – (foto dal sito ufficiale dello Spezia Calcio)

I GEMELLI PIEROZZI

Fatta questa doverosa premessa inizierei la panoramica con i gemelli Edoardo e Niccolò Pierozzi, classe 2001, nati a Firenze e cresciuti entrambi nella Fiorentina.
Nel vivaio viola si sono imposti facilmente garantendo sempre un buon rendimento, giostrando in una zona di campo simile, sulla fascia destra. Più difensivo forse Edoardo; capace di agire anche dalla metà campo in su invece Niccolò.

I gemelli Edoardo e Niccolò Pierozzi - (foto dalla pagina Instagram del Palermo Calcio)

Il primo è quello che ha lasciato la Primavera nei tempi corretti, iniziando il suo percorso da professionista a 19 anni nella stagione 2020/21 in Serie C alla Pistoiese. Edoardo non patì il salto, disputando il torneo da titolare, concluso con 31 presenze e 2 gol che gli sono valse la “promozione” l’anno successivo in serie B in una neopromossa gloriosa come l’Alessandria.
Al termine di un campionato concluso con la mesta retrocessione dei grigi piemontesi, Edoardo comunque non demerita mettendo insieme 21 presenze e 1 gol. Molto peggio va invece l’anno dopo, quando gli viene concessa la possibilità di cimentarsi ancora in cadetteria, ma stavolta le presenze tra Palermo e Como saranno soltanto 5 in tutto, motivo per cui alla vigilia della stagione in corso, matura la scelta di tornare in serie C in un’ ambiziosa compagine come il Cesena.
In Romagna Edoardo sta ritrovando lo smalto perduto e un ruolo di primo piano, stabilendosi principalmente nel ruolo di terzino destro in una difesa a 4 o all’occorrenza spostato di qualche metro più avanti, sulla linea dei centrocampisti.
Diversa la parabola del gemello Niccolò, rimasto un anno da fuoriquota in Primavera, ma avendo poi un impatto importante tra i professionisti in serie C nel campionato 2021/22 con la Pro Patria: furono infatti ben 36 le presenze condite da 8 gol e la sensazione che in quella categoria fosse solo di passaggio.
L’anno dopo il salto in B alla Reggina e un’altra stagione da incorniciare a livello personale ma non solo. Infatti fu titolare fisso da terzino destro (con doti offensive), mostrando grandi qualità tecniche alla corte di Filippo Inzaghi; inoltre ha esordito in Under 21 (in precedenza aveva già assaporato le maglie azzurre della Nazionale giovanile assieme a Edoardo) e avuto la possibilità concreta di rientrare alla base, con la Fiorentina consapevole di trovarsi in casa un giocatore pronto per certi palcoscenici.
Da lì però, e siamo alla vigilia del campionato in corso, l’improvviso stop dovuto in primis a problemi fisici e poi all’esplosione interna del più giovane prodotto locale Kayode, classe 2004 che con l’Italia Under 19 si è laureato Campione d’Europa scalzando di fatto dal ruolo originario di vice Dodò proprio Niccolò Pierozzi (che di fatto deve ancora debuttare in partite ufficiali con la prima squadra).
È molto probabile, quindi, che a questo punto con l’apertura del mercato invernale a gennaio possa cambiare maglia, andando via in prestito con mezza serie B pronta ad accoglierlo.

I GEMELLI SHPENDI

Sugli scudi vi è poi una coppia di gemelli composta da due attaccanti puri: si tratta degli albanesi (ma nati in Italia ad Ancona) Cristian e Stiven Shpendi, classe 2003, entrambi affermatisi a Cesena.

I gemelli Shpendi, affiatatissimi in campo e nella vita – (foto dal Corriere Romagna)


Sempre insieme, sempre a emergere sui compagni bruciando le tappe, hanno mosso i primi passi a Fano per poi approdare al San Marino fino alla chiamata del Cesena ai tempi dell’Under 17.
Un’intesa perfetta la loro, dentro e fuori dal campo e l’esplosione che arriva presto, al primo anno di Primavera 2 quando Cristian mette a referto 17 presenze e 15 reti (più 7 assist), mentre Stiven fa ancora meglio con addirittura 23 gol in 20 presenze (condite anch’egli da 7 assist).
Due portenti insomma, di cui si inizia a parlare insistentemente in ottica prima squadra.
È dalla stagione 2022/23 che i due, piuttosto difficili da distinguere di primo acchito in campo (nonostante Cristian sia più un centravanti puro da area di rigore, mentre Stiven è capace di muoversi su tutto il fronte dell’attacco), diventano pedine importanti del Cesena in un campionato che vede per i romagnoli sfumare per pochissimo il sogno della promozione in B mediante i (complicatissimi) playoff.
A livello personale Cristian denota qualche difficoltà iniziale in più, totalizzando nel 2021/22 le prime 5 presenze e trovando il primo gol (in 16 presenze) nel campionato passato. Meglio fece Stiven che dopo l’esordio da 2 presenze nel 2021/22 è esploso già nella stagione successiva, quella appena trascorsa, segnando 12 reti in 29 presenze, quasi tutte da titolare e fungendo da valore aggiunto.
Impossibile a quel punto restare indifferenti dinnanzi a un simile exploit, tanto che come previsto ci fu la corsa ad acquistarlo; alla fine la spuntò l’Empoli, con cui il giovane nazionale albanese sta giocando ora in serie A, e nonostante non sia titolare di fatto sta comunque mettendo insieme quelle presenze che fanno acquisire esperienza e la giusta conoscenza di una categoria così importante. D’altronde il doppio salto non è cosa da tutti i giorni, eppure Stiven ha già evidenziando una buona personalità e la capacità di giocare senza timori reverenziali al cospetto di forti e navigati difensori.
La realtà odierna dice che in compenso Cristian sta ripercorrendo eccome, a un anno di distanza, le orme del quotato gemello, dimostrando potenzialmente di fare pure meglio, visto che a dicembre si trova già in doppia cifra con lo splendido score di 10 reti in 14 presenze!
Insomma, arrivare in A per lui sembra solo una questione di tempo.

I GEMELLI MORETTI

Del 2002 sono invece i gemelli Lorenzo e Andrea Moretti, entrambi cresciuti nelle giovanili dell’Inter (con un passaggio al Novara), giocando più o meno nello stesso ruolo, quello di difensore centrale, anche se Lorenzo sin dalle giovanili si è mostrato capace di ben figurare anche da terzino.

Lorenzo Moretti con la Primavera dell’Inter – (foto dal sito Tutto Avellino)


Proprio Lorenzo, a lungo colonna di tutte le nazionali giovanili azzurre, è quello che è sempre parso più forte, oltre che più completo. E sinceramente mi sarei aspettato di vederlo già protagonista a livelli più alti di una pur dignitosa serie C.
Quello di quest’anno nella competitiva Triestina è il suo terzo campionato di fila in C dopo le precedenti esperienze sempre da titolare prima nella Pistoiese e poi nell’Avellino, e tutto lascia in fondo presupporre che, indipendentemente da come andrà a finire il torneo dei giuliani (comunque tra i favoriti per la promozione in serie B), per lui si possano spalancare le porte di una categoria superiore.
Andrea Moretti invece è rimasto un anno da fuoriquota in Primavera per esordire tra i professionisti nel torneo scorso alla Pro Sesto (18 le presenze in serie C).

Andrea Moretti ai tempi delle giovanili interiste – (dal sito FC Inter 1908)

Sta andando decisamente meglio per lui l’esperienza odierna, alla Pro Patria dove è titolare fisso in mezzo alla difesa, mostrandosi molto affidabile, avendo già eguagliato il numero di presenze della scorsa stagione, oltretutto con 3 reti messe a referto.

I GEMELLI PIROLA

I gemelli Pirola, Lorenzo con la maglia della Salernitana e Carlo con quella della Giana Erminio – (foto dal sito Lecco News)

Un caso ancora diverso è quello dei gemelli Pirola, Lorenzo e Carlo, il primo già affermato difensore in serie A (attualmente alla Salernitana), il secondo un portiere che gioca quest’anno in C alla Giana Erminio, anche se non da titolare (e con anzi uno score sinora da dimenticare, avendo incassato 8 reti in 2 partite).
Lorenzo è sempre stato considerato un predestinato, colonna delle giovanili nerazzurre dell’Inter e di tutte le selezioni azzurre della Nazionale, avendo tra l’altro disputato da titolare e leader un Mondiale Under 17 (dove tra i convocati c’era anche il già citato Lorenzo Moretti, all’epoca suo compagno nell’Inter), mentre ora è il capitano dell’Italia Under 21, monitorato pure dal ct Spalletti.
Anche da professionista sta bruciando le tappe, essendo passato in prestito una prima volta nel forte Monza di Berlusconi e Galliani in B e poi diventando pedina importante della Salernitana nella massima serie, sin dall’anno scorso, in un torneo concluso con un’ esaltante salvezza alla quale lui ha ben contribuito.
In questo momento tuttavia la squadra è in difficoltà, trovandosi ultima ma lui non sta certo demeritando: si tratta insomma a conti fatti di un grande prospetto del nostro calcio.
Il gemello Carlo sin dalle giovanili ha avuto un percorso meno lineare, passando dall’Atalanta al Torino senza mai essere protagonista di rilievo. Già nel 2020/21 però la prima esperienza tra i grandi, alla Casatese in serie D, dove rimane due stagioni acquisendo sicurezza e mostrandosi affidabile, fino alla chiamata della Giana Erminio per la stagione 2022/23 che la vedeva seria candidata alla promozione in serie C.
Detto fatto, per la squadra di Gorgonzola si è trattata di una cavalcata trionfale, coronata col ritorno tra i professionisti dopo un solo anno di purgatorio nei Dilettanti.
Carlo invero ha contribuito alla grande a questo risultando disputando da titolare ben 36 partite ma quest’anno come detto l’approccio non è stato positivo, e ora si trova scavalcato nel ruolo dal più giovane (e bisogna ammetterlo più talentuoso) Gioele Zacchi, classe 2003 proveniente dal Sassuolo e da sempre nel giro delle nazionali Under dell’Italia. Ciononostante il tempo è tutto dalla sua parte per dimostrare che può costruirsi una carriera da professionista.

I GEMELLI D’ALESSIO

Sono nati nel 2004 invece i fratelli Leonardo e Francesco D’Alessio, cresciuti nel fortissimo vivaio della Roma.

I gemelli D’Alessio ai tempi della comune militanza nelle giovanili della Roma – (foto da Gazzetta Regionale)

Proprio il ciclo dei 2004 è uno dei più forti visti in anni recenti a Trigoria, con diversi protagonisti già saliti agli onori delle cronache, considerati da Mourinho per la prima squadra e in alcuni casi con già all’attivo delle presenze tra i grandi (tra serie A ed Europa League).
Anche Francesco, polivalente giocatore in grado di destreggiarsi da centrocampista come da difensore esterno, ha assaggiato l’aria della prima squadra esordendo in Europa League allo stadio Olimpico, coronando così il suo sogno di bambino, come era successo prima di lui ai compagni Missori, Faticanti, Pagano e Pisilli.
In carriera vanta anche uno scudetto con la formazione giallorossa in Under 17, mentre quest’anno è pedina fissa dello scacchiere di mister Guidi nella Primavera (dove sta giocando da fuori quota).
Fino a due anni fa il percorso del gemello Leonardo era stato pressoché identico al suo; diverso il ruolo, considerando che lui è un terzino destro puro ma stessa esperienza e stesso attaccamento ai colori giallorossi.
Eppure a un certo punto ha scelto di lasciare la casa madre per cimentarsi altrove, forse perché cominciava a pesargli la concorrenza in casa nel ruolo del forte Missori, ora al Sassuolo e capitano della spedizione Under 19 azzurra che si è aggiudicata uno splendido Europeo di categoria (dove figuravano anche Pisilli e gli ex giallorossi Mastrantonio e Faticanti). Fatto sta che Leonardo è passato al Milan per disputare l’anno scorso il campionato Primavera, se non che alla fine ha collezionato solo scampoli di partite (in tutto 8 presenze), condizionato da un problema all’occhio che lo ha tenuto lontano dai campi per ben sei mesi.
Ora sta meglio ma la società rossonera ha deciso di mandarlo in prestito alla Pro Sesto dove tuttavia sta faticando non poco a trovare spazio.

I GEMELLI PLAIA

Rimanendo in casa Roma, uno dei prospetti più interessanti del 2006 è sicuramente il difensore centrale Matteo Giuseppe Plaia, marcantonio di 1 metro e 94 (nato a Bruxelles) e giunto nella Capitale a 16 anni dopo i trascorsi nelle giovanili dello Spezia.

Matteo Plaia in maglia giallorossa – (foto da Gazzetta Regionale)

Proprio nella società ligure gioca ancora il fratello gemello Francesco Saverio (portiere e punto fermo anche delle nazionali Under dell’Italia), attualmente impegnato con la Primavera.
Per entrambi si può auspicare una carriera da professionisti a buoni livelli, visto che Matteo giocando sempre da sotto età si sta ben disimpegnando ed è già affidabile pedina della Primavera di Federico Guidi, mentre Francesco è da tempo tenuto in considerazione dai vari selezionatori azzurri.

Francesco Plaia, portiere della Primavera dello Spezia – (foto dal sito Spezia 1906)

Matteo oltretutto è stato già convocato da Mourinho per la gara di Europa League contro lo Sheriff, dove ha esordito il coetaneo Mannini anch’egli prelevato a suo tempo dallo Spezia, ma a mio avviso sarà proprio il gemello Francesco a debuttare per primo tra i professionisti, magari già al termine di questo campionato.

I GEMELLI RENAULT

Nell’ Atalanta sono cresciuti i gemelli Christophe e Guillaume Renault, classe 2002, tutti e due con caratteristiche simili, da esterni difensivi capaci di giocare anche a tutta fascia, a destra come a sinistra. Discendenti da una famiglia nobile francese stabilitasi in Italia, hanno passaporto italiano e francese ed entrambi sono stati nel giro delle Nazionali Under italiane.

Guillaume e Christophe Renault ai tempi delle giovanili dell’Atalanta – (foto da Gazzetta.it)

Provenienti dal Pavia, hanno poi completato l’iter giovanile nel vivaio della Dea, dividendosi una prima volta ai tempi della Primavera, con Christophe passato all’Olbia già nella stagione 2021/22, in cui aveva messo a segno 1 gol in 10 partite, patendo però un grave infortunio al crociato che lo ha condizionato molto in questa sua prima esperienza nel professionismo.
L’anno seguente era di nuovo in Sardegna con altre dieci presenze, poi un passaggio alla Viterbese solo sulla carta prima dell’approdo all’Alessandria a gennaio 2023 dove è riuscito a totalizzare solo 5 presenze in un campionato assai travagliato per i grigi.
All’inizio di questa stagione Christophe è rimasto svincolato ma dato per vicino a diverse squadre, tra cui la Pro Patria dove gioca attualmente anche Guillaume, più dotato dal punto di vista tecnico ma come detto simile per caratteristiche: anche quest’ultimo infatti può giocare su entrambe le fasce, pur prediligendo quella destra, a differenza di Christophe che agisce prevalentemente sulla sinistra.
Guillaume sta disputando una buona stagione dopo che nella scorsa è stato impegnato con alterne fortune tra Pro Vercelli fino a gennaio e poi Alessandria dove ha ritrovato così il gemello.

I GEMELLI DORATIOTTO

Per ultimi vado a citare i gemelli Riccardo e Fabio Doratiotto, classe 1999, stabilitesi entrambi da qualche stagione nei Dilettanti dopo le buone esperienze nelle giovanili del Cagliari.

Riccardo Doratiotto, quando era una grande promessa del Cagliari – (foto da TuttoCalciatori.Net)

Più considerato dagli esperti il primo, che nella Primavera era raffinato trequartista o punta centrale, ha all’attivo vari campionati tra i professionisti all’Olbia (sorta di succursale rossoblu) e al Montevarchi, con inoltre la grande soddisfazione di aver esordito in serie A con la squadra della sua città, tra l’altro ben figurando.
L’ultima occasione di rilievo per Riccardo a Montevarchi (nel 2021/22) tuttavia non è stata felice e così a gennaio scese nei Dilettanti in una società storica come l’Arezzo. Da lì sono giunte altre tappe sempre in D, lo scorso campionato nel Città di Castello e ora nella Cynthialbalonga.
Il fratello Fabio gioca invece da mediano e, sebbene non abbia mai esordito tra i professionisti (pur terminando l’iter giovanile nella Primavera del Lecce), ha d’altro canto accumulato molta esperienze nelle categorie inferiori, giocando in D dal 2019/20 ad oggi con le maglie di Chions, Sanremese, Carbonia, Arzachena e da ultima il Pont Donnaz Hone Arnad, squadra aostana.

Fabio Doratiotto con la maglia del Cagliari, società nel cui vivaio è cresciuto – (foto da TuttoCalciatori.Net)

I due gemelli Doratiotto, dopo i trascorsi giovanili insieme con il Cagliari, di fatto non si sono più incrociati in una partita di calcio e, a quanto pare, uno dei loro sogni più grandi è proprio quello di potersi ritrovare un giorno nello stesso rettangolo di gioco, visto anche il fortissimo rapporto che li lega fuori dal campo.

Europei Under 17 – Che batosta per l’Italia: dopo il ko contro la Serbia l’eliminazione è a un passo

Per una Nazionale giovanile che ha ottimamente figurato, battendo i forti coetanei brasiliani all’esordio nel Mondiale Under 20, ce n’è un’altra (forse anche più accreditata alla vigilia) che rischia già clamorosamente di uscire dopo le prime due partite disputate, chiuse con altrettante sconfitte.

L’Italia Under 17 allenata da Corradi infatti, impegnata negli Europei di categoria, ha perso ieri senza appello per 2 a 0 contro una Serbia che non aveva granché impressionato al debutto, quando fu sconfitta per 4 a 2 contro la Slovenia, prossima nostra avversaria.

Marco Romano, fantasista del Genoa, ieri capitano azzurro, è uno dei nostri elementi migliori ma sta faticando a emergere in questi Europei Under 17. L’allenatore Corradi si affida anche alle sue giocate per tentare il difficile passaggio al turno successivo.

Ieri però, i giovani serbi guidati dall’ex ascoli e Udinese Lukovic senza grosse difficoltà si sono imposti sugli Azzurrini mettendo in mostra buone individualità come Popovic e i due marcatori Cvetkovic e Maksimovic (quest’ultimo promettente trequartista della Stella Rossa,classe 2007) e in generale una condizione fisica e atletica migliore, tanto da sembrare più pronti rispetto ai nostri a calcare i campi professionistici.

Peccato perché davvero questo ciclo di giocatori italiani, nati nel 2006 e 2007, appare invero ricco di talenti e di qualità ma, se nella prima gara persa contro la Spagna, non avevamo demeritato, andando anzi in vantaggio, ieri davvero non è facile trovare alibi per il netto risultato sfavorevole.

Mi risulta incomprensibile ad ogni modo il massiccio turn-over effettuato dal nostro ct: non che presi singolarmente calciatori come De Pieri, Rao, Pagnucco, Vezzosi e Mendicino siano scarsi, tutt’altro, ma cambiando per cinque undicesimi la formazione titolare, si è di fatto stravolta una squadra che, ripeto, almeno per 45 minuti si mostrata pari se non superiore alla Spagna.

Ora servirà veramente un miracolo sportivo ai nostri rappresentanti azzurri per sperare di passare il turno, ma dal mio punto di vista mi accontenterei di vedere una squadra vogliosa di rivalsa, disposta a lottare su ogni pallone e a crederci nonostante tutto.

In ogni caso il percorso di crescita di ragazzi così giovani passa anche da esperienze come questa, e ricordiamo che non tutto è perduto.

Appuntamento quindi a mercoledì alle ore 17 per tentare l’impresa contro i pari età della Slovenia, confidando anche in notizie positive dagli altri campi.

Sempre forza Azzurri!

Importante vittoria del Verona contro il Torino nel nome di Valoti e Calvano

Nell’importante vittoria casalinga del Verona contro il Torino, che riapre le speranze di salvezza della squadra gialloblu, viste le concomitante sconfitte delle rivali Crotone, Sassuolo e Chievo, c’è stato il grande contributo di due giocatori ancora incompiuti: Valoti e Calvano, centrocampisti che quest’anno spegneranno 25 candeline.

Il primo è stato decisivo segnando entrambi i gol con cui la squadra scaligera ha sconfitto il più quotato Toro per 2 a 1, ma il secondo è stato altrettanto determinante ai fini del risultato con una prestazione maiuscola a centrocampo, tutta cuore, corsa e grinta.

Prima doppietta in serie A per il talentuoso centrocampista Mattia Valoti oggi contro il Torino

Entrambi sono spesso e volentieri finiti nel mirino dei tifosi per vari motivi, anche se la loro storia veronese è molto diversa. Mattia Valoti è stato acquistato nel 2014 e fa parte a tutti gli effetti del progetto; nonostante qualche prestito a vuoto, figura tra i protagonisti della recente promozione. Simone Calvano è a Verona dal lontano 2012 ma le sue chances in prima squadra sono state alquanto limitate, visto che di fatto ha esordito soltanto sul finire del 2017, dopo aver militato in ben 7 squadre in prestito, per un totale di 6 stagioni in serie C (l’ultima nella Reggiana).

Eppure i loro destini si sono spesso incrociati, avendo condiviso più di un’esperienza. Valoti, figlio d’arte (anche il padre Aladino, mediano, disputò delle stagioni in gialloblu negli anni ’90) dalle giovanili dell’Albinoleffe (un ottimo vivaio, insieme al “Gallo” Belotti era il fiore all’occhiello della nidiata dei ’93) passò alla Primavera del Milan nel 2011, dove si ritrovò a giocare a metà campo assieme a Calvano che invece era giunto in rossonero l’anno precedente dalle giovanili dell’Atalanta. Giocarono poi da professionisti una stagione nell’Albinoleffe.

Valoti con la maglia del Milan

Non solo, tutti e due facevano coppia nelle nazionali giovanili sin dall’Under 16, la prima rappresentativa di un certo livello, su su insieme fino all’Under 19 (Valoti collezionò anche un gettone di presenza nell’Under 20).

Erano insomma quelli che si definiscono dei predestinati e, per quanto la storia ci insegna che “uno su mille ce la fa”, gli addetti ai lavori non faticavano a pronosticare loro un futuro da protagonisti. Si sono ritrovati per vari motivi ancora sospesi nel limbo, nonostante almeno Valoti come detto abbia già accumulato delle presenze da titolare nel Verona, mentre Calvano quasi per caso, in sostituzione del lungodegente Zaccagni (giovane del vivaio del Verona da tenere d’occhio) è stato inserito in rosa della prima squadra solo quest’anno a campionato in corso tra l’altro.

Simone Calvano ai tempi delle giovanili del Mian, quando era considerato una promessa del calcio italiano

A Valoti viene quasi “rimproverato” di non aver ancora mostrato appieno le sue doti. E’ un centrocampista moderno, molto fisico, alto ma non ancora “a fuoco”. Per caratteristiche dovrebbe forse giocare nel cuore del gioco, da interno che si inserisce, essendo in possesso di un’ottima conclusione dalla distanza, più che da trequartista o da esterno. Eppure spesso si estrania dal gioco, appare abulico e svagato, con poca personalità e grinta. Non lo ha agevolato in questo probabilmente il continuo turbinio di cambi di moduli di gioco dell’allenatore Pecchia, il quale in ogni caso da due mesi circa a questa parte lo sta impiegando con continuità, avendogli di fatto affidato la zona centrale del campo dopo le partenze di Bessa e Bruno Zuculini a gennaio.

Più tortuoso il percorso del compagno di reparto Calvano che, senza troppi giri di parole, sembrava al più “perso” per il grande calcio, o per lo meno per una carriera da A. Questo ancora non lo sappiamo, ma dopo oggi abbiamo capito che il ragazzo ha una qualità importante: ce la mette tutta, non si fa abbattere e da’ tutto in campo.

Certo, è stato inspiegabile certo accanimento nei suoi confronti, la cui unica “colpa” è stata quella di essere fatto passare (dalla dirigenza ma anche dall’allenatore) come un “nuovo acquisto” quando appunto è sotto contratto con l’Hellas Verona da sei anni e prima di questo scorcio di stagione non era mai stato nemmeno preso in considerazione, nonostante dei tornei in serie B della squadra.

Calvano si sta ritagliando il suo spazio nel Verona in questa seconda parte di campionato

Tanti infortuni, qualche difettuccio caratteriale, già emerso sin dalle giovanili rossonere, ma anche tanta qualità. Al punto che pure l’allenatore all’epoca dei rossoneri, un certo Clarence Seedorf, stravedeva per lui e lo riteneva utile e pronto anche per il Milan dei grandi. Invece qualcosa non ha funzionato, al di là come detto dei brutti infortuni. Il Verona non ha mai smesso di crederci ma di fatto non gli ha mai concesso un’opportunità e si sa che quando si comincia a girare per la terza serie, Lega Pro o C che dir si voglia, emergere soprattutto per chi a centrocampo possiede qualità tecniche non è facile.

Neanche Simone però ha ha mai smesso di crederci, anche se ripensandoci non deve essere stato semplice passare dall’essere considerato una sicura promessa del calcio azzurro a finire spesso in panchina – con tutto il rispetto – nel Tuttocuoio.

Solo l’anno scorso, disputando una buona seconda parte di stagione a Reggio Emilia, sempre serie C, si sono riviste le doti tecniche di Calvano, fino a far ricredere qualcuno, o semplicemente a far constatare che uno così non ci dovrebbe giocare in serie C.

Da qui a disputarsi la salvezza in A però ce ne passa e ciò che colpisce in lui è stata la totale abnegazione, l’umiltà con cui si è messo al servizio di Pecchia, pur sapendo all’inizio di non rientrare nei piani tecnici, pur sapendo di essere ancora di passaggio e di rappresentare un enorme punto interrogativo per tutti i tifosi. Però il tifoso gialloblu, ma credo valga per tutti, sa anche cambiare idea, se vede che il calciatore in campo ci mette il cuore, lotta e suda per la maglia. Tanta strada è ancora da fare, anche oggi da una sua palla persa a metà campo (l’unico errore però questo occorre sottolinearlo) è nato il gol del momentaneo pareggio del Torino, ma non siamo più dinnanzi a un carneade.

Oggi, nella splendida vittoria dei gialloblu contro il Torino – che a livello tecnico è di qualche spanna almeno sopra il livello del Verona come mostra la sua classifica – a centrocampo, a guidare le azioni, ad arrivare sempre prima sul pallone, a contrastare e ripartire con qualità, a sovrastare (perchè onestamente è stato così) gente come Obi, Rincon e Acquah, c’erano loro: Mattia Valoti e Simone Calvano.

Non si sa se sapranno confermarsi, in fondo la disgraziata stagione del Verona sta molto anche in questo, nell’assoluta discontinuità e di conseguenza inaffidabilità della squadra e dai continui esperimenti tattici del mister Pecchia, anch’egli praticamente un esordiente in panchina.

Nel frattempo i due ex prodigi del calcio italiano oggi hanno risposto presente e potranno rivelarsi molto utili da qui alla fine, sin dalla prossima gara a Benevento, assolutamente da vincere se si vuole dare un senso nuovo a questo soffertissimo campionato.

A cosa servono realmente i vivai italiani, se in campo giocano sempre più stranieri?

Ieri avevo scritto una breve nota su facebook ma che aveva suscitato reazioni e creato una sana discussione. Notavo che tra Roma e Fiorentina, secondo anticipo del campionato di serie A, in campo su 22 giocatori solo 4 erano italiani (e tutti nella squadra capitolina). Ne nasceva una riflessione a caldo, un interrogativo subito da me posto, cioè se sia normale e credibile, al di là dei discorsi di facciata, scrivere, parlare, auspicare ancora un rinnovamento del calcio italiano che parta dalla valorizzazione dei vivai, cosa in teoria scontata e naturale in qualsiasi campionato professionistico, fosse anche il più quotato e il più ricco. Perché quello è il senso di coltivare un settore giovanile: vedere poi raccolti i frutti, che significa nella fattispecie che in prima squadra vadano a finire di volta in volta i più meritevoli. Ma da noi, rare eccezioni a parte (almeno l’anno scorso sono emersi a buon livello sin da subito il polivalente difensore della Roma Romagnoli, classe ’95, già esordiente un anno prima, e il portiere dell’Udinese, migliore nel suo ruolo al Mondiale Under 17, Scuffett). Poco, davvero troppo poco, quasi nulla, questo è il quadro desolante, preludio a un’angosciante spedizione azzurra ai Mondiali. Qualcosa bolle in pentola? Direi proprio di no, a parte gli inutili proclami che da più parti negli ultimi anni, ci siamo quasi stancati di ascoltare. Parole al vento, eppure giustissime, quelle di tanti addetti ai lavori (memorabile l’invettiva di Fabio Caressa contro l’inutilizzo dei giovani e lo scarso coraggio dei nostri tecnici nel lanciarli). Da appassionato di calcio giovanile, e da giornalista che ne segue i campionati a vari livelli, oltre che le competizioni internazionali, mi rifiuto di credere si tratti di una questione di mera qualità tecnica media che scarseggia nei nostri calciatori. Eppure qualcosa deve esserci, qualche intoppo nella crescita, mancanza di personalità, timore nelle giocate, perché magari al primo errore l’allenatore ti castiga rispedendoti in Primavera. Faccio esempi concreti, non riferendomi a qualcuno in particolare….

Lorenzo Tassi, talento precoce dell'Inter che rischia di perdersi a Prato in Lega Pro

Lorenzo Tassi, talento precoce dell’Inter che rischia di perdersi a Prato in Lega Pro

Però quante volte negli anni, spesso proprio dalle pagine virtuali di questo blog, mi è piaciuto segnalare questo o quel giocatore. E non erano nomi buttati a caso, ma gente che spesso e volentieri facevano la differenza nei loro rispettivi campionati. Va beh, un nome lo butto: Lorenzo Tassi, classe ’95, quindi appena maggiorenne, eppure esordiente nel Brescia a poco più di 15 anni prima di passare, con soldi tonanti, all’Inter. Paragoni ingombranti a parte, paura di bruciarlo, eccessiva tutela, inserimento graduale come giusto che sia.. fatto sta che in prima squadra nei restanti 3 anni e mezzo successivi non si è mai visto, fino all’approdo quest’anno nella società satellite del Prato, lega Pro unica. Chiaro, deve dimostrare sul campo il suo valore, i crediti accumulati nelle giovanili sono terminati ma… una gavetta così lunga implica che difficilmente arriverà in tempi brevi in serie A, se ci arriverà, perché le mie statistiche al riguardo sono impietose. Diventi più facilmente un giocatore “di categoria”,  a meno che non sia palese che tu in campo faccia la differenza a quei livelli. Ma qui spesso ci si scontra pure con le logiche di classifica, di punteggi in campionato, e quindi l’allenatore di una squadra che voglia puntare alla promozione spesso si affida su nomi rodati per la categoria. Troppa carne al fuoco, mi direte, non se ne esce più fuori. Ma allora, e qui sono volutamente provocatorio… a questo punto a che servono i vivai? Se nemmeno in condizioni disagiatissime le nostre squadre decidono di affidarsi ai loro migliori prodotti, pescando piuttosto un nome sconosciuto all’estero, come farà il livello del nostro calcio, della nostra Nazionale, a tornare competitivo? I vivai diventano solo una spesa di fatto, servono a creare “posti di lavoro”, nel senso che un 1% di questi forse vivranno da professionisti del pallone.

Buon esordio del fantasista Coman ieri nella Juve: ma allora i giovani stranieri sono più pronti dei nostri?

Buon esordio del fantasista Coman ieri nella Juve: ma allora i giovani stranieri sono più pronti dei nostri?

Ieri abbiamo visto in campo dal primo minuto, lanciato da Allegri nella Juventus, la punta Coman, classe ’96, prelevato dal Paris St Germain, indubbiamente bravo. Perché ai nostri non vengono date queste opportunità? Quando vengono aggregati alle prime squadre, i nostri giovani vengono realmente considerati al pari degli altri o servono solo a far numero nelle partitelle? Si pongono male agli occhi dei loro allenatori? Si comportano ancora “da bambini”? Non credo sinceramente. Eppure manca sempre qualcosa, e nel frattempo da anni ci si dibatte su come far rifiorire il calcio italiano, fermo nelle sabbie mobili ma col serio, concreto rischio di sprofondare completamente

Balotelli al Liverpool… un affare solamente per lui

Ora che è praticamente ufficiale il passaggio di Mario Balotelli dal Milan al Liverpool, mi chiedo: chi ha fatto veramente l’affare, a parte lui stesso che guadagnerà, a quanto pare, più di 6 milioni di euro a stagione (sorvoliamo sulla clausola legata alla “buona condotta”, direi che riguardo ciò miglior erede di Suarez i Reds non potevano trovarne!)?

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E’ brutale da dire, a maggior ragione se si segue e conosce il ragazzo da quando questi era minorenne, ma credo che ormai non ci possa più aspettare il famoso salto di qualità da lui. Non è perduto del tutto, anzi, ha solo 24 anni, ma sembra che di vite calcistiche ne abbia già consumate sin troppe. E quando il meglio di te lo hai già lasciato alle spalle, allora non si può certo diventare fiduciosi in merito alla nuova, ennesima, esperienza, ancora lontano dall’Italia (ma come: prima non era scappato dall’Inghilterra per ricostruirsi da noi?). Ingiustamente additato come caprio espiatorio di un’intera scadente spedizione azzurra – ma d’altronde da sempre questo è il destino che attende i più bravi – sembra aver colto l’occasione per fuggire nuovamente, e in questo suo lasciare, mutandosi da re a reietto, è parso molto simile al suo “nemico” Prandelli. Che il Milan non sapesse più come gestire un talento del genere era ormai evidente ai più, specie col nuovo corso Inzaghi, uno che,a quanto pare, punta molto sull’attenzione e sulla disciplina, sulla correttezza e sull’attenersi a determinate regole, dentro e fuori il campo. Aspettando invano la maturità di Mario, il Milan a che sarebbe andato incontro? Era l’uomo nettamente più rappresentativo, questo è indubbio, ma alla prima difficoltà sarebbe stato lecito escluderlo dall’11 titolare o bisognava comunque tenerlo in campo, forte della sua migliore dimensione tecnica rispetto ai compagni? Anche Ibrahimovic era una testa matta, ma ben presto ha cominciato a rigare dritto, soprattutto ad essere leader in campo, trascinando i compagni e portandoli a vincere, ovunque fosse andato. Lui invece cambia maglia “per disperazione”, perché ancora non è riuscito a esplodere secondo le sue potenzialità in nessun club, compreso il Milan dove, per almeno 6 mesi, ha in effetti contribuito a risollevare i compagni, portandoli a un inatteso traguardo –seppur minore rispetto alla storia rossonera. In questo caso non sono poi tanto rammaricato della sua partenza dall’Italia, lo sono più per Ciro Immobile e lo sarei se andasse via Mattia Destro ma il fu Super Mario ormai non mi scalda più gli animi. Lo dico con un velo di tristezza perché avevo scommesso molto su di lui e sulla sua piena affermazione ad alti livelli ma è sempre mancato qualcosa, e dubito che questo vuoto lo potrà colmare in una piazza così calda ed esigente come quella di Liverpool.

Iturbe è un campione e quei soldi li vale tutti (chi non lo pensa non lo hai mai visto giocare)

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E così dopo il clamoroso sconquasso in casa Juventus col ribaltone di Conte, a sorpresa dimessosi, e l’annuncio quasi estemporaneo dell’ingaggio del neo tecnico ex Milan Massimiliano Allegri, sono cambiati anche gli scenari di mercato, e con essi i destini di alcuni giocatori altrimenti quasi certi di finire a indossare la gloriosa casacca bianconera. Tra questi uno dei nomi più caldi era senz’altro quello del talentino emerso nel Verona, Juan Manuel Iturbe, autentica rivelazione della stagione di serie A appena conclusa. Ho avuto modo di seguirlo da vicino e di ammirarne le qualità che già gli riconoscevo in parte, avendolo visto all’opera in competizioni giovanili, dove eccelleva clamorosamente sui compagni, andando a scomodare paragoni illustri. Poteva essere il classico giocatore pompato ad arte dalla stampa, poteva liquefarsi facilmente, perdendosi alle prime difficoltà, alle prese con un calcio tattico e che poco concede alla creatività e alla fantasia. Insomma, nonostante le ottime premesse, il suo nome l’anno scorso rappresentava più che altro una scommessa. Promessa in fin dei conti completamente ripagata, se è vero che sin dalle prime apparizioni di Iturbe si è cominciato a parlare, per quel che di strabiliante mostrava in campo, dacchè fuori dal rettangolo verde il suo nome non è mai stato associato a qualcosa di sconveniente. 20 anni eppure già stella riconosciuta di un Verona che, grazie anche al suo “turbo” ha letteralmente messo le ali già nel girone d’andata, quando tutto in casa gialloblu funzionava come una sinfonia perfetta di strumenti, finendo con l’esaltare anche le doti di oscuri mestieranti come Cacciatore, su cui in un momento di azzardata euforia si era persino tirato in ballo la Nazionale o come l’indomito capitano Maietta.

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Ma è indubbio che gli artefici principali della rivelazione Hellas fossero in primis gli elementi di maggior spessore: Jorginho, subito venduto al Napoli, Romulo, giunto a un passo dai Mondiali brasiliani, saltati solo per precaria condizione fisica, l’eterno Luca Toni, rigenerato dall’ambiente e soprattutto lui, il piccolo combattente paraguaiano d’origine ma argentino di nazionalità. Tecnica cristallina, velocità impressionante, ottimo controllo di palla, corsa inesauribile, impegno, grinta, personalità, duttilità tattica, grazie agli sproni di Mandorlini che l’ha indottrinato per bene, facendolo diventare uomo a tutta fascia. Manca un po’ di concretezza sotto porta, ma se già così fosse,staremmo davvero parlando di plausibile nuovo Messi (eccolo, il paragone scomodo, ma in fondo mai così fondato, se è vero che, specie palla al piede in velocità lo ricorda tremendamente). A mio avviso col tempo potrebbe mutare ruolo, un po’ come Robben, avvicinandosi di più alla porta, senza troppi compiti di copertura. Ma già così, sono pronto a pronunciarmi in suo favore e affermare che la Roma, soffiandolo alla Juve, ha messo a segno un vero e proprio colpaccio di mercato. E’ nato un campione!

Panoramica sul sorteggio dei Mondiali 2014 in Brasile

Metabolizzato l’effetto “scandalo pro-Francia”, e provando a guardare con un po’ più di cauto ottimismo il futuro azzurro, proviamo a definire meglio la griglia di partenza in vista dei Mondiali di calcio che si disputeranno nel 2014 in Brasile.

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Un azzardo, certo, mancando alla rassegna iridata più di 6 mesi, nei quali potrebbero succedere tante cose, ma a fronte di qualche grave infortunio che potrebbe compromettere la presenza di qualche big (ci auguriamo ovviamente di no, da appassionati sportivi), di qualche improvvisa esplosione di un giocatore o la rinascita di altri, le gerarchie tecniche non dovrebbero poi di molto essere soverchiate, fermo restando l’illogica materia calcistica che si presta a riservare spesso e volentieri sorprese (d’altronde, proprio l’Italia di Lippi campione in carica fu eliminata in Sudafrica al cospetto di un girone quantomeno abbordabile – per non dire ridicolo – sulla carta).

GIRONE A

Il gruppo degli ospitanti brasiliani, un girone più o meno equilibrato, nel senso che, tolta la squadra di “casa” affidata a quel Luiz Felipe Scolari già iridato nel 2002, per il secondo posto se la possono giocare tranquillamente, e ad armi pari, Croazia e Messico, mine vaganti del torneo. Meno accreditato pare il Camerun, che da anni fatica a far emergere una generazione degna di quella guidata da Eto’o (ancora il leader riconosciuto, nonostante le ultime stagioni lontane dai riflettori). Nella Croazia ci sono tanti giovani, alcuni dei quali impegnati pure in serie A (come Kovacic e Vrsaljko) in ascesa, nel Messico occhio ai giovani “ormai vecchi” Giovani Dos Santos e Vela, finalmente protagonisti in Liga dopo le meraviglie nelle nazionali giovanili.

GIRONE B

Un girone davvero tosto quello capitato in serbo ai campioni in carica spagnoli, che se la vedranno con quell’Olanda finalista 4 anni fa e ancora agguerrita e nel frattempo rinnovata con successo, con il Cile e l’Australia. Chiaro, le Furie Rosse rimangono le favorite e, a differenza proprio dell’Italia post- Berlino, non vedo al momento segni di cedimento nella rosa degli interpreti, anzi, la vittoria in Under 21 certifica la presenza nelle retrovie di talenti che potranno raccogliere alla grande l’eredità dei califfi Xavi, Alonso, Iniesta, Puyol (basti pensare a cosa stanno facendo Isco, Koke, Illaramendi, Montoya o cosa potrebbero dare Morata, Alcantara – fortemente voluto da Pep Guardiola al Bayern), ma le insidie sono in agguato. L’Olanda gioca bene e sforna talenti a getto continuo, è arrivata tanto così per l’ennesima volta a vincere una competizione importante e il marchio di fabbrica è ancora ben impresso a fuoco; nel Cile stanno spopolando da anni gli artefici di una generazione d’oro, quella degli ’87/’88, ancora in forte crescita. I nomi li conoscete bene: Vidal, Sanchez, Isla, ma ci sono pure Medel, Edu Vargas (la meteora napoletana) e i “vecchi” Fernandez, Valdivia dai piedi fatati, Carmona e Jara. Appare in difficoltà l’Australia, comunque squadra solida ed esperta, anche se poco spettacolare.

GIRONE C

Diciamo la verità: ai nostri allenatori il sorteggio ha portato fortuna. Il Giappone di Zaccheroni, portato a ottimi livelli proprio dal tecnico romagnolo, ha buone chances di passare il turno, in un gruppo formato da Costa d’Avorio, Grecia e Colombia. I cafeteros sono i veri favoriti, oltre che la squadra più interessante tra le sudamericane, tolte le due super big. Una Colombia che può annoverare una batteria di talenti non comuni, alcuni dei quali li vediamo all’opera ogni domenica e rispondono al nome di Cuadrado, Muriel, Guarin, Zuniga, Ibarbo, Armero.. ma in rosa figurano anche l’ex pescarese Quintero, uno dei migliori ’93 in circolazione, l’attaccante del Porto Jackson Martinez, a lungo inseguito dal Napoli di Benitez, Teofilo Gutierrez, paragonato con grande audacia a Messi e, soprattutto quel Radamel Falcao, ormai nell’empireo dei migliori centravanti del mondo. Il Giappone, dal canto suo, risponde col fosforo dei talenti offensivi Kagawa, Honda e Okazaki e con l’abnegazione, la corsa e la tenacia degli altri interpreti, caratteristiche tutte ben incarnate nell’interista Nagatomo.

GIRONE D

Il girone dell’Italia: non nascondiamoci, poteva andarci meglio, ma superata la paura, è giusto rammentare che, sporadici episodi a parte che ci stanno nel corso di una lunghissima e prestigiosa storia come quella azzurra, l’Italia difficilmente delude le attese. Quindi, lecito attendersi magari non un percorso semplicissimo, ma le prestazioni, quelle sì. E se Balotelli, Rossi, De Rossi, Buffon, Chiellini arriveranno al top della forma, coadiuvati magari da qualche giocatore rinvigorito dopo un inizio di stagione non facile (penso ad esempio a Marchisio o De Sciglio), o dalle conferme dei giovani Verratti, Florenzi e Insigne, allora potremmo davvero inserirci tra le possibili outsider di lusso. L’Uruguay pare avere un ciclo infinito: in pratica sono gli stessi da 6 anni a questa parte, un nucleo di giocatori capaci di stupire in Sudamerica, con la vittoria meritata in Copa America e al Mondiale Sudafricano. Gente come Cavani e Suarez li hanno in pochi d’altronde. L’Inghilterra appare al varco di una competizione che dovrebbe rappresentare l’ennesima svolta che da quasi due decenni è lungi dall’arrivare. Un torneo super competitivo, come la Premier League, sta andando a discapito del Prodotto Interno Lordo, nel senso che ci vanno a militare tutti i big d’Europa ma i talenti autoctoni faticano tremendamente ad emergere. Più abbordabile onestamente pare la Costa Rica che, al momento, non richiama nomi spendibili dal punto di vista internazionale.

GIRONE E

Eccolo il girone dello “scandalo”, quello toccato in sorte (?) alla Francia di Platini. Francia che, da un punto di vista meramente tecnico, è messa suppergiù nella stessa situazione dell’Italia, con una rosa che ha dovuto necessariamente svecchiarsi e che per anni si è avvalsa degli stessi giocatori vincenti, non favorendo un riciclo naturale degli interpreti. Tuttavia, l’inversione di tendenza pare in piena fase evolutiva e, accanto ai mostri sacri Ribery, Benzema, Evra, dietro stanno imperiosamente scalando posizioni lo juventino Pogba, il madridista Varane, il talento Thauvin, spesso a segno col Marsiglia alla prima stagione da protagonista in Ligue 1 e in generale il gruppo capace di vincere il Mondiale Under 20 pare pronto per grandi palcoscenici. La seconda qualificata potrebbe essere la multietnica Svizzera, che forse verrà allenata da Petkovic. Squadra sbarazzina ma concreta, con giocatori quasi tutti impegnati in top club europei. A Honduras e Ecuador dovrebbero rimanere le briciole, fermo restando l’incognita delle condizioni climatiche, alle quali le squadre americane saranno sicuramente meglio abituate.

GIRONE F

L’Argentina da anni non inanella una vittoria degna di tal nome, se a queste togliamo le frequenti affermazioni a livello giovanile. Tuttavia, mi sento di inserirla di diritto tra le prime 4 serie candidate al titolo mondiale (dietro, o accanto a Brasile, Spagna e Germania), in virtù del fatto che prima o poi Messi vorrà porre fine a ‘sta storia che Maradona ha fatto vincere il Mondiale da solo alla sua Nazionale e lui (ancora) no. Perché la faccenda sta diventando un po’ stucchevole in fondo, ormai Leo ha dimostrato che il paragone è legittimo e che deve “soltanto” potersi avvalere di una vera squadra accanto a lui, come accade da anni col Barcellona, dove in effetti non vince certo da solo, pur essendone la stella più fulgida. Bosnia, Nigeria e Iran paiono avversari modesti al cospetto dell’Argentina, ma specie la squadra ex Jugoslava, all’esordio con la nuova denominazione e infarcita di gente come Dzeko o Pjanic può far male, senza escludere la forza delle Aquile nere africane, desiderose di riprendersi lo scettro di regine del Continente Nero.

GIRONE G

E’ questo, secondo me, il girone più equilibrato, più spettacolare, più “difficile”: accanto a due squadroni europei come Germania – che può davvero raccogliere i frutti di un quinquennio d’oro per la rinascita del calcio tedesco a più livelli, con l’esplosione tra i tanti di Gotze, Reus, Hummels, Ozil, Gundogan, Muller…- e il Portogallo di Super CR7, figurano nazionali solide come Ghana e Usa, probabilmente la più forte tra quelle inserite in quella fascia.

GIRONE H

Questo ultimo invece è il girone più imprevedibile sulla carta, con l’emergente Belgio dei vari Hazard, Fellaini, Witsel, Kompany e Lukaku a sollecitare le fantasie degli appassionati, con la coriacea Russia di Fabio Capello, in grado di acciuffare il pass per il Mondiale diretto, dopo un inizio assai stentato  e con Algeria e Corea del Sud habituè della manifestazione, specie gli asiatici, di cui ormai conosciamo bene le caratteristiche.

Quindi, rischiando una brutta figura, ecco quelle che potrebbero essere le qualificate al secondo turno, dopodiché che inizi la vera danza.

GIRONE A  Brasile- Croazia

GIRONE B Spagna – Olanda

GIRONE C Colombia – Giappone

GIRONE D Uruguay – Italia

GIRONE E Svizzera – Francia

GIRONE F Argentina – Nigeria

GIRONE G Germania – Portogallo

GIRONE H Belgio – Russia

Tutti pronti a Verona per il grande derby tra Hellas e Chievo!

Cresce di giorno in giorno in città l’attesa per il derby veronese tra Hellas e Chievo, in programma sabato alla ripresa del campionato. Un confronto atteso anni, se è vero che gli unici due derby nella massima serie sono stati disputati 11 anni fa, terminati con una vittoria a testa. Pochi però avrebbero razionalmente immaginato che quella prima stagione in A del Chievo sarebbe stata l’inizio di un consolidamento reale nel calcio che conta, intervallato solo da una nefasta stagione (la stessa giunta dopo il culmine dell’anno precedente, quando con Pillon gli uomini della Diga si issarono fino a raggiungere la zona Champions League) e prontamente riscattata l’anno successivo col mister delle promozioni Iachini. Viceversa per la squadra più storica e titolata della città, da lì in poi sarebbe iniziato un vero calvario, costituito da retrocessioni (drammatica proprio quella conseguente il primo derbyssimo), campionati grigissimi in cadetteria, fino al fondo toccato con lo spauracchio C/2 (chiamiamo le cose come stavano, così si… capisce meglio!). Ora le gerarchie sono nuovamente pareggiate, il clima è quello appunto della grande attesa e di uno scontro più “razionale” se vogliamo, meno da “provincia”, sebbene come tutti sanno Chievo altro non è che uno (splendido) esempio di artigianato portato ai massimi livelli negli anni, emanazione di una frazione, più che di un quartiere, altrimenti anche Londra sarebbe piena zeppa di “quartieri” arrivati in Premier!

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Se da una parte l’Hellas si è riappropriato di una supremazia che, sugli spalti almeno, non è mai stata messa in minima discussione, dall’altra è anche vero che il Chievo,seppur in modo graduale, se n’è costruita una più credibile, non più fatta quasi esclusivamente di simpatizzanti, tifosi delle grandi squadre o da città limitrofe (come Mantova e Trento le cui compagini da anni faticano a emergere ad alti livelli, eccezion fatta per i famigerati anni targati Lori) che ne “approfittavano” per vedere all’opera i grandi campioni di Juve, Milan o Inter. Per non parlare di immagini che dilagano su You tube, con le “vecchiette” allo stadio, in “curva” armate di panini imbottiti al salame e torta alle mele, con i propri nipotini. Immagini che sarebbero invero tutt’altro che deleterie se pensiamo al degrado di certi stadi, senza entrare nello specifico di alcune situazioni estreme protagoniste nelle ultime settimane, ma che negli anni hanno suscitato più di qualche ironia.
Dicevo, però, come evidenziato anche da un amico giornalista veronese, Francesco Barana, che negli anni il tifoso medio del Chievo si è avvicinato, se non proprio allineato a quello delle altre squadre, pur mantenendo un alto senso di civiltà, che comporta immancabilmente (ed è un merito spesso sottovalutato) il premio Fair Play di fine anno.. insomma, magari sparuto, ma il pubblico fa anche qui, o lo può fare, la sua parte.

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Nel caso dell’Hellas però questi discorsi sono palesi, evidenti e maggiormente enfatizzati a maggior ragione in serie A, dove forse in effetti mancava da troppo tempo anche agli avversari un paragone simile. Già, perché molti cronisti, giornalisti, specie i più giovani, sembrano quasi meravigliarsi dei cori continui, dei canti incessanti, dei brusii perenni, degli incitamenti in stile inglese (metro di confronto abusato ma che mai come accostato ai “Butei” ci calza a pennello). In realtà bastava si fossero sintonizzati in questi anni anche sulla Lega Pro per capire quanto i “ragazzacci” della Curva Sud non siano solo quelli sprezzantemente dipinti come leghisti, teppisti e violenti. C’è una frangia più estrema, inutile negarlo, come vi è insinuata in ogni latitudine nel calcio, ma la maggioranza di questi tifosi hanno un attaccamento davvero encomiabile ai colori, e seguono la squadra ovunque, in C così come in A, facendo sentire e valere tutto il proprio calore. Quindi, non sarà un derby tra big come Milan e Inter, nella loro storia quasi sempre scontri per il vertice; non sarà una “lotta di classe” come a Torino, dove l’indomito Toro spesso riesce con prestazioni epiche a sovvertire pronostici quasi sempre favorevoli in partenza ai “ricchi”; non saranno le roventi gare di Roma e Genova, quando un derby talvolta funge da volano per dare senso a un’intera stagione e la passione raggiunge livelli di guardia, ma anche il quinto derby dell’anno (mai stati così numerosi e ci auguriamo che possano rimanere così tanti anche negli anni a venire) ha più di un motivo di interesse, e avrebbe meritato alla grande il prime time, anziché venir disputato alle 18, oltretutto creando in città un certo disagio, vista la compresenza di altri eventi importanti nello stesso fine settimana. Ma tant’è, si va verso una sfida da tutto esaurito, e non poteva essere altrimenti, visto il già elevatissimo numero di abbonamenti siglato dall’Hellas Verona.
A livello tecnico, invece, come ogni derby sarà una partita a sé, e certamente la pausa avrà contribuito in entrambi i casi a mettere ordine alle idee, specie in casa Chievo, dove si è consumato il divorzio da Sannino, che aveva raccolto davvero poco in questa prima fase, facendo sprofondare la squadra all’ultimissimo posto in classifica. L’attenuante di una rosa parsa sin da subito più debole rispetto alle precedenti stagioni sta in piedi fino a un certo punto; il fatto è che il tecnico ha saputo con poca convinzione immettere le proprie idee nei calciatori e compito del figliol prodigo Corini, già artefice della squadra miracolo che arrivò in serie A sotto la guida di Delneri, di cui era orgoglioso capitano e della comoda salvezza ottenuta l’anno scorso da subentrato sarà quello di far invertire la rotta. Corini tra l’altro è un ex, avendo giocato – poco causa infortuni – pure con la maglia dell’Hellas.
Hellas che indubbiamente, stando ai numeri attuali, parte favorito. Scivolone col Genoa a parte, che ci si augura rimarginato, rimane la rivelazione del campionato, nel quale da neopromossa, sta mostrando un gioco scintillante, di qualità e ardore, forte di un allenatore che è simbolo stesso della squadra, condottiero nel vero senso della parola: un Mandorlini al top, che sta raccogliendo finalmente anche nella massima serie quanto di ben seminato lungo un’esperienza che l’ha portato anche a vincere oltre confine. Un tecnico che ha messo da parte certe intemperanze, spronato probabilmente anche da una società finalmente impeccabile, seria e competente nelle figure dei pragmatici presidente Setti e direttore sportivo Sogliano, uno dei più giovani e interessanti nel ruolo.
A livello di squadra, il Chievo a mio avviso dovrà recuperare in primis alcuni giocatori parsi l’ombra di sé stessi, specie il francese Thereau, determinante l’anno scorso con i suoi molti gol e assist e far perno su un ritrovato Dainelli (da quando l’ex viola è tornato nei ranghi la difesa è parsa molto solida), oltre che affiancare un uomo di qualità in mezzo al campo a capitan Rigoni, che non può sempre cantare e portare la croce.

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Del Verona ormai si sa quasi tutto, e anche questo fa specie: non si era quasi più abituati a tutta questa attenzione mediatica nei confronti dell’ultima vera provinciale in grado di vincere uno scudetto. Mai come in questo inizio di stagione però titoli ed elogi sono meritati e commensurati al reale valore mostrato in campo dalla truppa di Mandorlini. Un gruppo vero, affiatato, dove elementi di lotta vanno a braccetto con quelli di fioretto. Dove accanto a gente di spessore e qualità vera (il “vecchio” Toni, i giovani Jorginho e Iturbe che tutti ci invidiano, in attesa di vedere all’opera pure Cirigliano), c’è gente da serie A come Romulo, Jankovic e Donati, senza dimenticare l’apporto fondamentale, e in alcuni casi sorprendente, degli elementi protagonisti della grande cavalcata, alcuni addirittura già presenti in Lega Pro (gente come Rafael, Maietta, Albertazzi, Gomez, Cacciatore, Hallfredsson o lo stesso Jorginho). Insomma, un mix che finora, specie tra le mura amiche del Bentegodi, si sta dimostrando vincente, visto che la maggior parte dei 22 punti sono stati incamerati proprio in casa.
Che derby sia allora, e vinca il migliore!

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La Nigeria domina il Messico nella finale del Mondiale Under 17: 3 a 0 per le Aquile africane.

Al Messico non è riuscita l’impresa di bissare la vittoria al Mondiale Under 17, conquistata due anni fa e stavolta disputata negli Emirati Arabi Uniti. Troppo forte a conti fatti la Nigeria, che già nella fase a gironi aveva umiliato i campioni in carica centramericani con un sonoro 6 a 1.

In occasione della finalissima gli africani si sono invece limitati a sconfiggere gli avversari con “solo” tre gol di scarto, ma sul piano del gioco davvero non c’è mai stata partita.

Il Messico, a dire il vero, aveva faticato non poco ad arrivare sin lì, sconfiggendo l’Italia con un 2 a 0 meno netto di quel che si pensa, poi battendo ai rigori il super favorito Brasile degli astri nascenti Mosquito, Danilo e Boschilia, e infine l’Argentina in semifinale (a dirla tutta, una delle selezioni, quella argentina, tra le meno interessanti degli ultimi due decenni).

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La Nigeria invece ha viaggiato sul velluto, e non è certo la prima volta che a livello giovanile finisca per prevalere lo strapotere delle compagini africane: basti pensare che solo le Aquile verdi hanno sinora vinto ben 4 edizioni della manifestazione iridata in questione (1985, 1993, 2007, oltre a quella conclusa ieri). Ma stavolta a colpire sono state soprattutto altre qualità rispetto alla componente meramente fisica e atletica. Ben schierati in campo, con una difesa accorta, abilissima nei fuorigioco e attenta a ogni minimo dettaglio, forte ai lati dove i terzini (da tenere assolutamente d’occhio quello destro, il capitano Muhammed, capace di garantire spinta continua, ripartenze efficaci e prodezze assortite, vedi il terzo gol siglato da lui con una splendida punizione a giro finita sul sette) accompagnano sempre l’azione, veloci come frecce, e a centrocampo dove solidità e leggerezza vanno a braccetto.

Dalla trequarti in su poi spazio all’ariosità e alla pura tecnica delle bocche da fuoco, e per capire di cosa si stia parlando basta guardare l’azione che conduce alla rete del vantaggio africano, da manuale del calcio, direbbe qualcuno! Un contropiede orchestrato in maniera perfetta, completato in malo modo dal difensore messicano Aguirre (comunque uno dei migliori della spedizione biancorossoverde) che, nel maldestro tentativo di anticipare un lanciatissimo Yahaya, spedisce egli stesso la palla nella rete strenuamente difesa fino a quel punto dal bravo portiere Gudino – probabilmente il migliore di tutto il Mondiale.

Nella ripresa raddoppierà l’altro super talento nigeriano, Iheanacho, fantasista abilissimo sul piano tecnico, leggiadro quando parte palla al piede e dotato di una velocità impressionante, anche nello stretto, come si evince dai numerosi triangoli, lanci, passaggi filtranti messi in cantiere durante queste partite mondiali.

Nella semifinale per il terzo e quarto posto non c’è stata proprio storia, con una Svezia mai vista così forte a questi livelli, capace di schiantare con un secco 4 a 1 l’Argentina, grazie a uno strepitoso Berisha, autore di una magica tripletta e proclamato alla fine come capocannoniere del Mondiale.

Crisi Lazio: e se per uscirne si provasse a far giocare i giovani migliori? Cataldi, Tommaso Ceccarelli e Rozzi sono forse peggio di Perea e Vinicious?

Si fa un gran parlare delle esternazioni di  Barbara Berlusconi in merito alla presunta spesa mal gestita da parte della dirigenza negli ultimi anni in casa Milan. Soldi spesi, ma in malo modo, traducendo in modo schietto. Ogni allusione a Galliani è stata ben raccolta e spedita al mittente.

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Anche in casa Lazio le polemiche si sprecano, e la panchina di Petkovic, tecnico rivelazione della passata stagione, ora appare traballante. Ma davvero si possono così banalizzare le crisi di due grandi di casa nostra? A mio avviso le radici dei problemi sono riconducibili a fattori più lontani, da un ridimensionamento in atto da diversi anni, finora compensato dalla bravura dei tecnici, da un pizzico di fortuna (che, per carità, solitamente va in soccorso degli audaci) e dalla forza di un gruppo di giocatori in grado di trascinare e tirare la carretta. Rose ridotte all’osso per qualità, soprattutto se riferite al blasone e alla storia di queste due squadre.

Della Lazio poi, da due anni, vado a scrivere che la coperta è sin troppo corta, e ieri l’allenatore biancoceleste mi ha fatto quasi tenerezza quando gli hanno chiesto come mai continui a cambiare formazione …  lui ha candidamente risposto che non gli è stato possibile materialmente mantenere l’ossatura della sua squadra. Che poi il problema della Lazio, a mio avviso, è proprio questo: da due/tre anni giocano sempre gli stessi, le alternative latitano e i rincalzi non paiono all’altezza dei titolari. Se poi big riconosciuti come Klose e Hernanes giocano col broncio o risultano poco efficaci, ecco che la giostra per forza di cose comincia a girare a fatica.

Anche nell’ultimo mercato, Lotito e Tare, che hanno il merito di aver riportato la squadra a buoni livelli, dopo le sbornie dell’era Cragnotti, non sono riusciti a trovare giocatori in grado di non far sopperire alle assenze dei titolari. Prendiamo ad esempio il reparto avanzato, dove alla fine dei conti il più affidabile vice- Klose appare il “vecchio” riciclato Floccari, più che l’acerbo Perea, con un talentuoso Felipe Anderson ancora alle prese con i postumi di un grave infortunio e in ogni caso di difficile collocazione tattica nello scacchiere del mister. Altre “scommesse” come quelle legate a Vinicious appaiono parecchio azzardate nel contesto di una serie A più competitiva rispetto a 12 mesi fa.

Con una formazione Primavera capace di ottenere risultati straordinari negli ultimi due anni (una finale persa contro l’Inter due anni fa e una trionfale vittoria ottenuta quest’anno), era necessario acquistare a peso d’oro stranieri magari promettenti ma tutti da vedere nel contesto della serie A?

Per carità, non dico che si possa vincere solo con i giovani di casa, o costruire le vittorie sulle spalle ancora troppo strette di acerbi talenti, ma almeno si potrebbero rimpolpare le rose con gli elementi migliori, altrimenti che senso ha dominare a livello giovanile senza raccogliere i frutti alla prova del campo?

Nella Lazio ad esempio gente come Cataldi, mezz’ala trascinatore l’anno scorso in Primavera – e che ora è titolare a centrocampo nel sorprendente Crotone di Drago – non poteva fare comodo? Leggendo un commento della stellina Tommaso Ceccarelli, uno che nelle giovanili faceva davvero la differenza e che ora sta ben figurando in Lega Pro alla FeralpiSalò, mi sono ritrovato d’accordissimo con la sua affermazione riguardo proprio il giovane colombiano Perea?

il fantasista Tommaso Ceccarelli, fenomeno nelle giovanili laziali, ora sta deliziando i palati fini della Lega Pro, alla Feralpisalò... ma meritava una chance tra i "grandi"!

il fantasista Tommaso Ceccarelli, fenomeno nelle giovanili laziali, ora sta deliziando i palati fini della Lega Pro, alla Feralpisalò… ma meritava una chance tra i “grandi”!

Senza mettere in dubbio la forza dell’attaccante neo laziale, Ceccarelli si chiedeva se davvero questo fosse più forte di lui stesso o dell’altro astro nascente delle giovanili biancocelesti, quel Rozzi che ora sta facendo divertire i sostenitori della cantera del Real Madrid! Semplici constatazioni, ma sembra veramente che, a parità di talento (e Ceccarelli e Rozzi ne hanno tantissimo!), vengano sempre privilegiati i ragazzi stranieri, forse perché un nome esotico può fungere da volano per una tifoseria “disattenta” diciamo così. Nomi esteri da dare in pasto a tifosi che chiedono alle società di muoversi sul mercato. Tutto legittimo e valido, se  corroborato dai risultati, ma vanificato spesso dalla prova del campo. E, ripeto, il mio è un discorso generale, magari Perea a fine anno sarà stato uno degli uomini-rivelazione della serie A, però sono del parere che bisognerebbe dare più spazio e possibilità ai giovani, specie quando c’è da costruire qualcosa, da recuperare. Non affidare in toto, altrimenti il rischio di “bruciare” anche quelli più bravi diventerebbe concreto, ma confidare nell’apporto, nell’entusiasmo e nella motivazione e voglia di emergere dei migliori potrebbe essere una soluzione adatta e low coast per uscire da certe sabbie mobili. Anche perché, quando lo si è fatto, ad esempio l’anno scorso utilizzando sempre di più il promettente centrocampista Onazi (classe ’94), protagonista nelle giovanili laziali l’anno precedente sconfitto solo in finale, i risultati sono stati soddisfacenti, visto il buon rendimento offerto dal colored nigeriano (già Nazionale nel suo Paese), sempre tra i migliori anche in questo inizio di stagione.