L’ex viola Cristiano Piccini protagonista con la nuova maglia dello Sporting Lisbona: classico esempio di giovane promessa del calcio italiano non valorizzato in Patria

Cristiano Piccini è uno di quei giocatori a cui non è mai stata data una vera chance di dimostrare il proprio valore in serie A. All’estero invece si sta raccogliendo diverse soddisfazioni e il suo nome è senz’altro noto tra gli innamorati della Liga.

Già, perchè il terzino destro – tra un mese venticinquenne – dopo essere cresciuto nella Fiorentina, lui nativo proprio della città capoluogo della Regione Toscana, dal 2014 si è messo all’attenzione generale, divenendo pedina insostituibile nello scacchiere bianco verde del Betis Siviglia. Acquistato quando la società militava in Segunda Division – quasi per “sbaglio” verrebbe da dire, visto il blasone del club – è stato tra i veri protagonisti della promozione, sfoderando prestazioni superbe da motorino instancabile sulla fascia destra, in possesso pure di due ottimi piedi.

La fine della corsa sembrava coincidere con un serio infortunio e conseguente operazione al crociato ma Cristiano non si è mai abbattuto, la società e l’allenatore hanno sempre creduto in lui e lo hanno aspettato. Risultato: subito titolare una volta ristabilitosi dal brusco stop e pronto a stupire anche nel massimo campionato spagnolo.

Dopo 3 anni splendidi a Siviglia, molte squadre si sono interessate a lui, soprattutto militanti nella Liga ma anche in Premier. Ovviamente in A nessuno c’ha pensato, e d’altronde bisogna tornare ai tempi di Livorno nel 2013, unico anno vissuto da titolare nella massima serie italiana per ricordarlo tra i talenti più promettenti in un ruolo così carente di interpreti validi alle nostre latitudini.

Lui che a soli 18 anni aveva debuttato in A agli ordini di Mihajlovic nella “sua” amata Fiorentina, squadra con cui nelle giovanili aveva vinto uno scudetto Allievi e una Coppa Italia Primavera (ricordo che vi giocavano fra gli altri anche il centrale difensivo Camporese, il mediano figlio d’arte De Vitis, il trequartista Carraro – ormai perso per il grande calcio ma che di quella compagine, e più in generale della leva calcistica dei ’92 era un vero big, e le punte Matos e Iemmello) ma che poi, secondo nostra consuetudine, ha cominciato la girandola dei prestiti, partendo “ovviamente” dalla serie C.

in campo con lo Sporting Lisbona

Fu Joaquin, all’epoca tornante viola, a consigliare a Piccini di tentare fortuna in Spagna al Betis, sorta di squadra del cuore per il nazionale spagnolo (e infatti poi i due si ritroveranno compagni di club nel 2015) e il suo pronostico non fu certo sbagliato.

Sirene spagnole e inglesi a parte, alla fine il terzino italiano, che negli anni 80 avremmo definito fluidificante, è stato acquistato dalla forte squadra portoghese dello Sporting Lisbona (ancora bianco e verde nel destino di Cristiano!), dove si sta imponendo da titolare in questo primissimo scorcio di campionato, lasciando le briciole al suo pari ruolo (e vecchio conoscente della nostra serie A) Ezequiel Schelotto. Non ce ne voglia l’ex interista (che debuttò pure da oriundo in Nazionale sotto la guida di Prandelli ai tempi in cui giocava nell’Atalanta), ma Piccini è proprio di tutt’altra pasta, il suo talento è innegabile e non è detto che Lisbona sia solo un’altra tappa del suo percorso calcistico, di una carriera che potrebbe davvero prendere il volo.

Piccini vince il duello sulla fascia con il madridista Marcelo

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Che impresa del Toro a Bilbao! I granata hanno fatto rivivere emozioni d’altri tempi non solo ai propri tifosi ma a tutti coloro che amano il calcio

Per una volta mi va di smettere i panni del cronista, del giornalista sportivo che deve analizzare in maniera obiettiva una determinata partita, situazione, competizione, per poter liberamente condividere a cuore aperto quella che è una grossa emozione provata ieri col passaggio del turno in Europa League del Torino di Ventura.

Sì, quel Torino che mancava dall’Europa da tempo immemore, passato attraverso fallimenti, rinascite, nuove illusioni e consolidamenti talvolta levigati verso il basso, da due anni a questa parte ha deciso di far rinverdire i fasti della sua gloriosa, eccezionale, unica storia.

Senza scomodare gli Invincibili di Superga, coloro che seppero portare il nome del Torino e di Torino nel mondo e che sono divenuti leggendari, gareggiare in Europa per i granata equivaleva comunque a darsi una connotazione che meglio compete alla squadra, memore di trascorsi che, in quanto a emozioni, certo non hanno nulla da invidiare a club più blasonati.

Ma se la sconfitta in finale di Coppa Uefa contro l’Ajax negli anni ’90, con Mondonico alla guida, era frutto di un’escalation verticale verso i piani alti della serie A, l’impresa (perchè di questo si tratta) di ieri sera in quel di Bilbao, apre nuovi e forse inaspettati scenari, dimostrando con i fatti che il Torino da subito ha creduto nelle potenzialità di questa competizione, sorella minore della Champions League. Soprattutto non ha mai messo in dubbio il proprio valore per bocca del tecnico Ventura, nemmeno quando a inizio stagione sembrava ostico ritrovare la quadra della rosa, dopo le inevitabili – ma non per questo meno dolorose – cessioni dei big offensivi Immobile e Cerci.

ATHLETIC CLUB BILBAO VS. TORINO

Già la gara d’andata, disputata in casa in un Olimpico d’altri tempi, aveva messo in mostra una squadra vogliosa, determinata e alla fine il risultato, al termine di un incontro disputato in modo gagliardo, era stato considerato comunque positivo, nonostante il pareggio con reti che, in teoria, pareva andare a vantaggio dei baschi, specie conoscendo la loro reputazione tra le mura amiche.

Insomma, in trasferta serviva una partita tutto cuore, ma anche tecnica, perchè non dimentichiamo che questi sono gli stessi che a inizio stagione, nei preliminari di Champions, fecero fuori nientemeno che il Napoli!

La vittoria, degna sì della storia granata, è stata sofferta, con ben tre reti siglate nel catino di Bilbao, tre splendide reti in rimonta, segno che il “tremendismo” da queste parti in fondo non è mai passato di moda.

Il fatto poi che i marcatori siano stati tre tra i maggiori interpreti della squadra significa poco o nulla, visto che non è banale affermare come a colpire in questo brillante scorcio di stagione, sia la compattezza e l’unione di un gruppo, che giochi questo o quell’altro la sostanza poco cambia.

Ieri tutti hanno giocato sopra le righe, con menzione speciale che mi sento di fare per due simboli di questa squadra come il “vecchio” Vives e l’immenso capitano Glik, che più di ogni altro incarna l’essenza del giocatore granata, e per un El Kaddouri troppe volte criticato, forse perchè da uno con il suo talento il tifoso si aspetta sempre qualche giocata “fuori classifica”.

E’ la sostanza targata Ventura il valore aggiunto, un tecnico che ha saputo tener duro, non scoraggiandosi quando i risultati stentavano ad arrivare e modellando via via un undici non fisso o stabile ma sempre equilibrato.

Molto ha aiutato il fatto che Quagliarella, uno dei principali candidati a sostituire i due totem offensivi ceduti in estate, abbia ingranato la quarta nel momento cruciale della stagione. L’attaccante napoletano non ha certo bisogno di presentazioni, ma ha pagato un duro scotto all’inizio quando la sua condizione fisica non era certo accettabile. L’ultimo arrivato, l’argentino Maxi Lopez, ha portato esperienza e molta motivazione, voglia di spaccare il mondo, dopo le ultime stagioni perse a immalinconirsi spesso in panchina, anche in squadre oggettivamente non così dotate tecnicamente come il Chievo.

Di Darmian pare scontato affermare come sia il gioiello del Torino, il Nazionale sulla bocca di tutti i migliori club italiani. Bravo Cairo a non aver ceduto a molte lusinghe di mercato e averlo trattenuto almeno fino a fine campionato.

Dicevamo che all’inizio è stato necessario lavorare di cesello, cercare di capire il reale apporto che molti nuovi nomi avrebbero potuto dare. Se il terzino fluidificante brasiliano Bruno Peres ci ha messo meno di un tempo per capire la serie A e diventare spesso padrone della sua fascia di competenza, mettendo in difficoltà quasi tutti i rivali (chiedere conferma anche agli juventini Evra e Vidal che ancora se lo sognano sfrecciare alle loro spalle), altri hanno necessitato di più tempo ma ora sono tutti elementi preziosissimi, oltre che “futuribili” (i vari Martinez, Benassi, Jansson).

Ieri sera i granata hanno dimostrato una volta per tutte che la strada intrapresa è quella giusta, come dimostra la splendida conferma in campionato. La partita ha ribadito che anche se la qualità di Immobile e Cerci forse non è stata del tutto compensata nei singoli, nel complesso niente è andato perduto dello spirito, della determinazione, della grinta, della voglia di imporre il proprio gioco, senza timore di farsi schiacciare da quello altrui.

E se è vero che 5 squadre italiane approdate tutte insieme agli Ottavi di Europa League rappresentano un vero record nella storia della competizione, giunti a questo punto tutto è possibile e nessuno può vietare sogni e speranze ai tifosi del Toro.

Mondiale in pillole: ecco i miei giudizi su tutte le Nazionali al termine della fase a gironi. Ora si entra nel vivo!

Ammetto che sto seguendo il Mondiale brasiliano un po’ a singhiozzo, ma ormai un grande evento che mi riguarda è piuttosto imminente e questo mi distoglie pensieri, energie e quant’altro, visto che sono in pieno trip di preparativi vari. Ma di questo parlerò nei prossimi giorni, oggi voglio quanto meno dedicare qualche riga all’evento calcistico per eccellenza, il torneo che spesso prevarica i confini prettamente sportivi, connotando il tutto anche di ambiti diversi, quali quello sociale, di costume, finendo per assurgere a qualcosa di molto significativo per tante persone, unite attorno a un pallone.

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Dell’Italia e della sua disastrata spedizione ho già abbondantemente scritto, vediamo ora in pillole come è andata la prima fase a gironi, quali sono le squadre che sinora hanno entusiasmato e quali al contrario hanno fortemente deluso, fermo restando che per tirare le debite conclusioni occorrerà aspettare ancora poco, visto che già da domani si entrerà nel vivo del gioco con gli ottavi di finale, vale a dire con le gare da dentro o fuori.

GRUPPO A (Brasile 7, Messico 7, Croazia 3, Camerun 0)

I padroni di casa solo nella terza gara contro gli svogliati camerunensi hanno dimostrato sprazzi di autentico talento, soprattutto nel loro uomo più rappresentativo (Neymar) che di fatto quasi da solo sta trascinando i compagni di squadra. Si è sbloccato il modesto Fred ma credo che al di là di ciò, la squadra di Scolari possa solo migliorare col prosieguo del torneo, nonostante la prossima avversaria si chiami Cile e rappresenti già una bella insidia. L’altra a passare (con pieno merito) è il Messico, che magari non giocherà benissimo ma pare compatto e coeso, capace di imbrigliare i rivali. Poche le individualità espresse sinora, a parte il portiere rivelazione Ochoa, arrivato svincolato e protagonista di parate miracolose in serie contro i verdeoro, e il “solito” Giovani Dos Santos, al quale hanno ingiustamente annullato due gol all’esordio. La Croazia prometteva bene all’inizio, sulla carta pareva più attrezzata dei messicani ma il tonfo contro il Brasile (vabbè, provo a sorvolare sul fatto che sia stato “indotto” da vari errori arbitrali Pro- Brasile) ha rovinato tutti i piani. Il Camerun ha disputato il peggior mondiale della sua storia, arrivato già male per la storia dei premi prima promessi e non mantenuti e in generale mai sul pezzo: quasi perdente in partenza.

GRUPPO B (Olanda 9, Cile 6, Spagna 3, Australia 0)

Sono in molti a considerare l’Olanda come possibile outsider nella corsa al titolo iridato. L’eclatante vittoria contro la Spagna che di fatto ha sancito la fine del “tiqui taca” e dell’Impero delle Furie Rosse ha portato molti appassionati a credere che gli oranje abbiano davvero i mezzi per puntare al bersaglio grosso, come mai sono stati in grado di fare, nemmeno ai tempi dell’Arancia Meccanica e dopo il secondo posto di 4 anni fa. Potrebbe questo improvviso exploit, per certi versi inaspettato, sembrare frutto logico, diretta conseguenza del Mondiale perso d’un soffio appunto solo 4 anni fa in Sudafrica ma in realtà di quella rosa è rimasto ben poco e Van Gaal è stato in grado di raggruppare sotto un’unica bandiera un mix incredibile di talenti, puntando su pochi ma buoni della vecchia guardia (un Van Persie e un Robben in piena forma) e tanti della nuova ondata, quasi tutti provenienti dal locale campionato, dai vivai delle migliori espressioni del Paese. Bene il Cile, che continua sul solco delle belle apparizioni in Copa America e del Mondiale sudafricano. Il ciclo in fondo è lo stesso, imperniato su assi quali Sanchez e Vidal e corroborato da innesti finalmente pronti ad alti livelli quali l’ex napoletano Vargas. Ora ci sarà da superare lo scoglio più importante, rappresentato dai più seri accreditati a vincere questo Mondiale, vale a dire i brasiliani. Della Spagna e del suo declino si è scritto di tutto e di più, ma la differenza col nostro calcio è che da loro, al di là del normale contraccolpo psicologico dopo anni e anni di assoluto dominio, ci sono tutte le basi per ripartire. L’Australia ha lasciato con zero punti ma salvando l’onore, almeno impegnando una già qualificata Olanda. D’altronde quella non è certo patria del calcio, visto che tutti giocano a rugby (e a che livello!), se poi i migliori giocatori della loro storia (Kewell e Viduka) hanno smesso da poco, si capisce come sia matematico che i risultati più prestigiosi i Canguri li abbiano ottenuti quando questi giocavano, anche se il vecchio Cahill ha giocato alla grandissima, mettendo due bei sigilli in questa competizione.

GRUPPO C (Colombia 9, Grecia 4, Costa d’Avorio 3, Giappone 1)

Ok, col senno di poi, forse per i cafeteros non si è trattato di un girone particolarmente ostico, resta il fatto che, pur senza la loro stella Falcao, hanno infilato tre vittorie nette, mettendo in mostra un gran calcio, fatto di gol e giocate dei singoli, molti dei quali protagonisti della nostra bistrattata serie A (Cuadrado sta letteralmente incantando ma per noi non è una novità). Passa a sorpresa una Grecia poco accreditata alla vigilia, ma in grado di imbrigliare gli avversari, concedendo loro ben poco. I gol poi arrivano quasi sempre grazie all’infallibile contropiede e in generala alla voglia di non mollare mai. Ammirevoli. Così non si può dire di una deludente Costa d’Avorio, che ho pure elogiato pubblicamente, scrivendone sulle pagine del Guerin Sportivo. Ho scritto pure di Ghana e Nigeria, e pare assurdo che i più deboli dei tre siano alla fine passati. Gli ivoriani però hanno pagato il fatto che il loro simbolo, Yayà Tourè, fenomeno conclamato del Man City, non abbia dato il meglio di sé, funestato pure dal terribile lutto familiare che lo ha colpito, a Mondiale in corso, con la morte precoce di un fratello. Si chiude dopo belle premesse e diverse affermazioni pure il ciclo di Zaccheroni alla guida del Giappone, una Nazionale che anche grazie a lui ha guadagnato ulteriore prestigio e dimensione internazionale, ma che in questa occasione non è riuscita a emergere, anche perché il loro uomo migliore, il fantasista Kagawa ha proprio steccato, presenza impalpabile, un po’ come tutta la sua stagione allo United.

GRUPPO D (Costa Rica 7, Uruguay 6, Italia 3, Inghilterra 1)

Sorvolo sull’Italia di cui ho già abbondantemente scritto nei post precedenti. Nulla ha funzionato, nonostante la vittoria iniziale contro gli altrettanto modesti inglesi avesse in qualche modo rincuorato i pessimisti della vigilia. Purtroppo un pimpante Costa Rica, che non ha rubato nulla, ci ha riportati alla realtà, prima della disfatta contro gli uruguaiani. Mentre i centramericani hanno comunque impressionato sul piano del gioco e della freschezza atletica, altrettanto non si può dire dell’Uruguay che ora, priva del “cannibale” Suarez (se continua con questi gesti, davvero perderà sempre più credito presso gli sportivi di tutto il Mondo, nonostante le sue indiscusse qualità tecniche) difficilmente proseguirà a lungo. Peggio di noi gli inglesi, anche se mi pare che abbiano paradossalmente assorbito meglio la fine di un ciclo (a differenza del nostro, il loro non è stato in nulla vincente) e siano più pronti a lanciare le nuove leve da cui ripartire (vedi i vari Sturridge, Sterling e Barkley).

GRUPPO E (Francia 7, Svizzera 6, Ecuador 3, Honduras 0)

A torto molti snobbano i galletti francesi, con la scusa che per molti il gruppo che le è toccato in sorte sia stato quello più facile da affrontare. Verissimo, ma ciò non toglie che la squadra di Deschamps non abbia ben impressionato per talento, forza fisica e capacità di andare a rete, anche con più interpreti. Certo, sarà fondamentale confermare queste doti contro avversari più ostici ma non dimentichiamo che a poche ore del Mondiale la Francia ha dovuto rinunciare al suo uomo più atteso, Ribery, e questo neppure ha avuto una sola ripercussione sul rettangolo verde. La Svizzera, dopo la poco convincente vittoria all’esordio contro l’Ecuador e il clamoroso flop contro la Francia, ha battuto agevolmente l’anello debole del girone, qualificandosi e guadagnando fiducia nei propri mezzi e sicurezza, specie in giocatori come Shaquiri, che finalmente si è sbloccato con una splendida tripletta. Le due americane partivano onestamente con poco credito ma almeno gli ecuadoreni hanno messo in mostra le qualità del meno noto tra i due Valencia scesi in campo, l’emergente attaccante Enner, autore di tutti e 3 i gol siglati dalla sua Nazionale in questi Mondiali.

GRUPPO F (Argentina  9, Nigeria 4, Bosnia 3, Iran 1)

Ok, non ha incantato nemmeno l’Argentina, un po’ come detto del Brasile all’inizio ma i numeri non mentono. 9 punti in 3 partite, bottino pieno e la sensazione che stavolta Messi, dopo le titubanze mostrate nella prima partita, bagnata comunque con un bellissimo e salvifico gol, abbia veramente preso per mano i compagni, assumendosi ogni responsabilità… forse troppa, come sostengono i maligni secondo i quali non sarebbe nemmeno il tecnico Sabella a fare la formazione!). Passa pure la Nigeria, non brillantissima a dir la verità. A far la differenza è stata propria la gara contro la Bosnia, finita terza in classifica a un punto dagli africani ma fortemente penalizzati nello scontro diretto, visto il gol regolarissimo annullato alla loro stella Dzeko e quello invece viziato da evidente fallo di Emenike nell’azione decisiva che ha determinato il risultato di 1 a 0. L’Iran, invece, Cenerentola del girone ha provato dignitosamente a tenere botta contro i campioni argentini, riuscendoci di fatto fino alla magia della Pulce ma puntando quasi esclusivamente sul contenimento e sulle intuizioni in avanti dell’interessante Reza, a segno nell’ininfluente sconfitta contro i forti bosniaci.

GRUPPO G (Germania 7, USA 4, Portogallo 4, Ghana 1)

Unico caso di gruppo in cui per decidere la seconda al passaggio del turno ci si affida alla differenza reti, in realtà è parso che le differenze tra la favorita Germania, costretta tuttavia al pareggio dal Ghana, e le altre fosse sin troppo palese, sin dal modo perentorio con cui i tedeschi hanno demolito i portoghesi del Pallone d’Oro in carica (un CR7 comunque giunto a questo importante appuntamento non certo al top della forma fisica). Il Portogallo che, rosa alla mano, tra le altre era favorito per accedere agli ottavi, ha gettato al vento questa possibilità facendosi inopinatamente rimontare nella sfida contro gli americani, che Klinsmann ha assemblato al meglio, rischiando molto in prima persona, vista la scelta di rinunciare a diversi senatori (primo fra tutti Donovan) per affidarsi a un gruppo formato in gran parte da calciatori impegnati presso il campionato locale, quindi lontani da palchi internazionali prestigiosi. Male il Ghana, nonostante l’ottima figura mostrata contro la Germania, contro la quale non sarebbe stata scandalosa una vittoria. Poi però ci si sono messi anche Muntari e Boateng, due tra gli uomini più importanti della Nazionale africana, capaci di farsi irrimediabilmente cacciare dalla loro federazione, proprio alla vigilia della gara da dentro o fuori contro i lusitani. Peccato.

GRUPPO H (Belgio 9, Algeria 4, Russia 2, Corea del Sud 1)

Per i belgi, attesissimi alla vigilia come una delle più credibili potenziali rivelazioni dell’intero Mondiale, si possono spendere le medesime parole usate per gli argentini. Non hanno messo in mostra chissà quale idea di gioco, ma non stanno certo tradendo i pronostici, pur nell’ambito di un girone non propriamente di ferro. 9 punti siglati col minimo sindacale, con la squadra che pare procedere a ritmi bassi, come quasi a preservarsi per tempi migliori. E’ andata a fiammate, spesso dei singoli più rappresentativi (Hazard, Mertens), ma che hanno fruttate tre vittorie, dando l’impressione che il potenziale in effetti ci sia. Poi sarà tutto da verificare alle prese con avversari di maggior spessore tecnico. Quanti limiti in tal senso ha mostrato la nazionale di Capello. I russi hanno pagato gli sciagurati errori del loro esperto portiere Akinfeev ma ciò non basta a giustificare la pochezza del gioco espresso nelle tre gare. Passa il turno quindi l’Algeria, e tutto sommato è giusto così. Gli africani non hanno grande talento ma non difettano certo in corsa, sagacia tattica e coraggio. Molto anonima rispetto ad altre edizioni l’esperienza della Corea del Sud, alle prese con un ricambio generazionale e il canto del cigno di uomini simbolo come il tuttofare del Manchester Utd Park-Ji- Sung

 

Il disastro dell’Italia ai Mondiali brasiliani ha radici lontane

Il disastro azzurro ai Mondiali, checché ne dicano i senatori e lo stesso Prandelli, non ha un solo colpevole o non nasconde una sola ragione: sono invece molteplici i motivi per cui noi poveri tifosi abbiamo assistito a questo autentico scempio sportivo e sono da ricercarsi alle radici.

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Io sinceramente non ero alla vigilia tra gli ottimisti, anche se ammetto che la lusinghiera vittoria contro una (vista col senno di poi) grigia Inghilterra mi aveva lasciato qualche speranza, non dico di arrivare in fondo alla manifestazione, ma per lo meno di superare (agevolmente) la fase a gironi. D’altronde, una vittoria alla prima partita contro la squadra in teoria più accreditata tra le sfidanti (dando per “cotto” l’Uruguay, un po’ come qualcuno poteva prevedere della gloriosa Spagna), significava aver già incamerato 3 punti d’oro. Poi la sconfitta contro la Costa Rica ha riportato tutti clamorosamente coi piedi per terra, anzi, ha fatto subentrare la paura e l’insicurezza, ma soprattutto i limiti tecnici e agonistici della nostra squadra, prima palesati solo a tratti contro gli inglesi.

Così per due Mondiali consecutivi usciamo a testa bassa al primo turno e ciò è davvero inaccettabile per una Nazionale pluridecorata come la nostra. Possono starci sconfitte fragorose, cicli che si estinguono precocemente, squadre ormai prive di motivazioni alla base di cadute così rovinose ma non è possibile per un movimento calcistico di una grossa portata storica come il Nostro toppare per ben due edizioni. Ora non ci resta che non qualificarci nemmeno, ma l’auspicio è che si resetti tutto, una volta per tutte, a partire dai quadri federali. Le dimissioni di Abete sono per fortuna irrevocabili e, mi auguro, detto con franchezza, anche quelle di Prandelli. Dall’illusione europea al tonfo brasiliano sono trascorsi solo due anni ma tutto è andato letteralmente perso, soprattutto il tanto acclamato “spirito di gruppo” non s’è proprio visto, anzi… ma su questo dolente punto tornerò dopo.

A livello tecnico siamo proprio mancati, ma come accennavo prima, anche a livello agonistico, per non dire fisico: acqua da ogni dove, zero giustificazioni! Niente ricambio generazionale, o solo in parte, non come squadre tipo Olanda e Francia, per capirci. Niente talento puro, se non forse da Verratti, l’unico guarda caso che gioca “davvero” a grandi livelli internazionali. Il punto focale è proprio questo: il valore delle nostre squadre, dei nostri atleti, del nostro campionato è basso, dovevamo capirlo, ma forse ci nascondevamo la verità sotto il naso, non volevamo ammettere che l’Impero Azzurro era finito da un po’. In Europa ormai abbiamo perso credito, i risultati non ci fanno onore, non si ottengono più nemmeno piazzamenti, altro che vittorie di prestigio – le stesse che fino a un decennio fa erano quasi all’ordine del giorno.

Non voglio discutere di questioni squisitamente tecniche, ci sono già sin troppi allenatori in giro in queste ore, nei bar, nei social network e in fondo è giusto così, ognuno ha il diritto di dire la propria, di indignarsi, di incazzarsi pure… legittimo, così come discutere sulle scelte a monte del mister, sulle convocazioni. In questo contesto di povertà tecnica quasi imbarazzante, senza una vera spinta proveniente dai vivai (per i quali si spendono solo belle parole ma nulla più), un Rossi, un Gilardino, un Toni, un Totti ben poco avrebbero fatto ma resta il fatto che molti di quelli presenti hanno steccato di brutto. Risulta troppo facile prendersela con Balotelli. Per me era un potenziale campione da giovanissimo, e so di non esagerare: un ’90 che risulta assolutamente decisivo con gli ’87/’88 non può non essere considerato tale ma da professionista non ha mai convinto del tutto. Ormai di anni ne ha 24, non è certo “vecchio”, ci mancherebbe ma a quell’età i veri campioni sono già sbocciati. Inoltre, se non si mantiene un atteggiamento “serio” (uso appositamente un termine generico) non si diventerà mai un vero fuoriclasse. Per questo il gossip da solo non basta come attenuante, e nemmeno la pressione mediatica, altrimenti gente come Ronaldo, il più glamour di tutti, o Messi, o Ibrahimovic (uno che la testa a posto l’ha messa un po’ più tardi ma che sul campo non ha mai tradito) non sarebbe mai emersa. Forse solo se sei un vero fenomeno mondiale puoi permetterti delle “deviazioni” dalla tua carriera sportiva, ma è evidente che lui non appartiene a questa specie (forse solo Maradona ha giocato ai massimi livelli, pur non essendo un santo come professionista, anche se i maligni potrebbero suggerirmi che ci fosse qualche surrogato extra sportivo ad aiutarlo). Tuttavia, ho trovato davvero ingeneroso, per non dire poco corretto, gettare la croce addosso a lui. Non mi sarei aspettato da Buffon, De Rossi ma nemmeno da Prandelli, una presa di posizione così dura nei suoi confronti, alla faccia del gruppo! Ok, non lo hanno nominato, a parte il mister, ma quando si parlava di “figurine” e “personaggi” era chiaro a chi alludessero. Sbagliato però questa esternazione. Potranno farlo i giornalisti (gli stessi che però lo chiamavano Super Mario fino all’altro ieri, osannandolo e caricandolo di responsabilità all’inverosimile), i tifosi, ma non certo i compagni. Si è parlato di vecchia guardia: beh, i giovani non si saranno dimostrati pronti ma vogliamo parlare delle prestazioni dei vari… Pirlo? De Rossi?? Chiellini??? Motta???? Molto meglio lasciar perdere, per carità! Bisogna solo voltare pagina al più presto, ma il percorso da fare per tornare competitivi sarà davvero molto molto tortuoso.

Grosso passo indietro dell’Italia, uscita sconfitta senz’appello contro la Costa Rica

Ieri una persona con cui sono in contatto via facebook ha scritto che, stante tutto l’odio e il disprezzo che i calciatori azzurri subiscono dopo sconfitte come quelle contro la Costa Rica, ogni euro che guadagnano è legittimo. La persona in questione è molto arguta e stimata, e ho colto il senso della sua frase, anche se, intervenuto sulla sua bacheca, ho specificato che spesso il tifo e l’attaccamento portano a pensieri estremi. Chiaro, il post non era rivolto a me, io non riesco a provare quei sentimenti nemmeno con le persone che mi hanno fatto del male, e fatico a essere estremista anche davanti a casi conclamati di cronaca nera o dinnanzi a ruberie varie dei nostri politici. Figuriamoci per dei calciatori che hanno perso una partita, tanto che nei giorni scorsi ho più volte “difeso” Paletta, vittima a mio avviso di un “linciaggio” mediatico eccessivo, unito a un sarcasmo che prevaricava questioni tecniche (comunque, visto l’esito di ieri sera, non mi pare proprio il problema fosse rappresentato dalla sua presenza in campo, né dall’altro escluso Verratti). Venendo però alla partita, ai nostri non possiamo nemmeno dire “bravi”: hanno interpretato malissimo la partita, ed evitiamo subito – in quella che è stata la settimana “mondiale” del luogo comune (a cui non ho partecipato, evitandomi così milioni di notifiche!) – di dire che faceva caldo ecc.

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Eravamo tornati, dopo la fulgida apparizione contro l’Inghilterra, a un catenaccio d’antan, lo si è percepito dopo pochi minuti. E si giocava contro una squadra centramerica, non contro Brasile, Francia o Argentina, davanti c’era il talentuoso Campbell, uno dei nomi nuovi del panorama internazionale, ma non certo un Messi o un Neymar. Solo lanci per uno sfiancato Balotelli che almeno c’ha provato, pur sbagliando quel pallonetto a tu per tu con il loro acrobatico portiere. Troppo contratti, per nulla propositivi, non si spiega una prestazione così scialba. A livello tattico a mio avviso non ci siamo, così infoltiti di centrocampisti. Va bene la ragnatela a metà campo, ma gli interpreti devono allora essere più dinamici, non delle statue come Motta, impresentabile per una manifestazione del genere. E poi De Rossi, schermo protettivo di una difesa già di per sé contratta (i terzini non sono certo Cafù e Roberto Carlos). Siamo ingolfati in mezzo, nessuno ha l’assist in canna, rispetto alla prima partita non si sono mai visti nemmeno Marchisio – sacrificato eccessivamente a sinistra, dove proprio non ha il passo per giocarvi – e Candreva, che mai ha duettato con Abate. Quest’ultimo rappresentava un enigma per molti commentatori e addetti ai lavori. Reduce da un’annata disastrosa, come molti dei suoi compagni di club, non copre, non spinge più (la cosa che prima gli riusciva meglio), è in condizioni molto approssimative: non credo di sbagliarmi se affermo che vi erano una decina di difensori italiani che avrebbero meritato più di lui la convocazione. Riportato in mezzo Chiellini ha palesato limiti tecnici e di concentrazione notevoli. Nel suo club è spesso un califfo, marcatore duro e arcigno, che gioca soprattutto di fisico ma in Nazionale è evidente come non basti nel suo caso l’esperienza, il carisma e la personalità accumulati durante una lunga carriera.

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In generale, senza essere più disfattisti ancora, mi viene da sorridere quando sento più di un commentatore dire che “in fondo basta un pareggio”, gli stessi che a fine primo tempo dicevano che una sconfitta di queste dimensioni ci può stare! Ma stiamo scherzando? La verità è che ci sarà da sudare parecchio, l’Uruguay, al termine di un ciclo vincente, ha ancora gli assi Suarez e Cavani all’apice della carriera (hanno entrambi 27 anni), non è certo come la Spagna nonostante il ko all’esordio contro la Costa Rica (guarda caso) avesse fatto scattare dei campanelli d’allarme. Dovremo pensare a noi stessi, a vincere e basta. Ma la qualità generale nella nostra rosa latita, e i motivi sono da ricercare a  monte. Dopo il trionfo di 8 anni fa, si è vissuto troppo sugli allori, non dando modo a una generazione di esprimersi appieno. Siamo diventati anche noi un Paese d’esportazione ma se così facciamo, dobbiamo poi continuare a seguire i nostri gioielli. Altrimenti, nel nostro campionato non giocano, o per lo meno non ad alti livelli, cosicché ci ritroviamo in Nazionale atleti magari validi ma che arrivano a 27/28 anni senza esperienze internazionali, penso a gente come Candreva, Parolo, Cerci, anche Darmian, percepito ai più ancora come un ragazzino, quando in realtà ha 25 anni e a quell’età all’estero sei già un veterano, o hai già sfondato ad alti livelli, altrimenti hai la carriera segnata; da noi invece sei ancora nella fase “di studio”, della gavetta, fino a che non arrivano i club europei a darti una chance diversa. In ogni caso forza Azzurri sempre, non è ancora terminato il nostro cammino ma ieri sera abbiamo assistito increduli a un notevole passo indietro sotto tanti punti di vista.

 

Mondiali 2014: l’Italia vince e convince!

Scrivo un post “da tifoso”, lo premetto subito, perché per le considerazioni giornalistiche, distaccate e quanto più obiettive possibili, ci sarà tutto il tempo, man mano che la manifestazione iridata andrà avanti.

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Ma un Mondiale lo si vive a 360 gradi, lo fanno (quasi) tutti, è un appuntamento che esula dal contesto quotidiano, che va a coinvolgere persone che abitualmente non guarderebbero mai nemmeno un’azione di gioco, e che va di pari a pari a sconvolgere quelle che sono attività ordinarie. Io però sono uno di quelli che il calcio, nel bene o nel male, lo seguono per tutto l’anno e, disperazione della partner (ma sto migliorando…) non solo circoscritto a questioni italiche, ma pure interessandomi di calcio internazionale, giovanile, locale, ecc.

Ieri giocava, esordiva l’Italia e, pur in un orario che la mia veneranda età ha faticato a sopportare (specie se la mattina precedente ti eri alzato alle 7 e mezza), l’attesa spasmodica aveva fatto diventare molti connazionali tifosi dei veri sonnambuli. C’era il rischio, oggettivo, che l’Italia esordisse in modo grigio, viste le brutture recenti, ma il tutto era detto con un filo di scaramanzia. In fondo, l’oggettivo timore era giustificato dal fatto che in effetti il nostro girone era (è, per carità, a proposito di scaramanzia!) uno di quelli tosti. Però, fare peggio di 4 anni fa in Sudafrica non si poteva. Era capitato anche alla Francia di venire inopinatamente eliminata nel 2002 al primo turno, dopo il boom del Mondiale precedente; è capitata la stessa cosa a noi col Lippi-bis (capiterà anche alla Spagna? Va beh, ammetto che questa è una gufata bella e buona!). Ieri la sensazione provata è che i ragazzi di Prandelli siano ripartiti direttamente dal brillante Euro 2012. Dimenticate le ultime prove incolori, indegne disputate nelle amichevoli, l’Italia è parsa un gruppo compatto, unito, solido e che gioca in maniera propositiva, o comunque “saggia”, grazie soprattutto alla presenza di Pirlo, in grado – e  non è certo una novità – di saper gestire la palla come nessun altro al mondo, di dettare i tempi della partita a suo piacimento, di scandire i ritmi. In modo graduale ma ci siamo rinnovati anche noi. E Balotelli, a tratti ancora avulso dal gioco, è sembrato “sul pezzo”, voglioso di dimostrare la sua forza, si è sbloccato e per lui era davvero importante farlo, affinchè si associasse il suo nome solo alle prodezze viste in campo. Neymar ha iniziato alla grande il suo Mondiale, ma a queste latitudini anche il nostro Mario è quotato quasi in egual modo, e credo che lui per primo sappia di avere tanti occhi puntati addosso. E’ reduce da un campionato double face ma che venisse qui a giocare in modo indolente mi sembrava un azzardo, sinceramente. La maglia azzurra va onorata sempre, figuriamoci, a maggior ragione se tu sei il simbolo della squadra. E’ confortante quindi alla prova del campo aver dimostrato coi fatti di “esserci”, non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Buonissima prova generale, ma una menzione la meritano due debuttanti, il portiere Sirigu, una sola incertezza nel contesto di una gara sicura e il laterale, stantuffo inesauribile, Matteo Darmian. Per chi non lo avesse visto giocare con questa intensità, questa determinazione e questa personalità per tutta la stagione nel Torino, potrebbe essersi trattato di una autentica rivelazione, ma appunto il buon Matteo, tra l’altro ragazzo d’oro, serio e disciplinato (e non sono frasi retoriche buttate a caso), da un anno macina chilometri e non sbaglia una prestazione che sia una. La sua caratteristica principale (e i meriti vanno certamente a Ventura che è riuscito a estrarre il meglio dalle sue qualità), oltre alla duttilità – partito centrale difensivo nelle giovanili del Milan, da professionista ha iniziato terzino destro a 4 per finire a fare l’esterno a centrocampo, persino con ottimi risultati a sinistra – è la capacità di lettura delle azioni di gioco, proprio da un punto di vista tattico. Sa quando sganciarsi, quando dettare il lancio, l’apertura sulla fascia, quando triangolare con la mezzala. Un grande debutto mondiale per lui, indubbiamente, così come per Candreva e per un Marchisio alla fine stremato ma tornato in condizioni ottimali dopo una tribolata stagione. Poco appariscente Verratti, da affinare l’intesa col suo (si spera per il futuro azzurro) alter ego Pirlo. Non si possono dire meraviglie invece di Paletta, ma eviterò quei commenti negativi che stanno imperversando su Internet in queste ore. A me l’italo argentino non ha mai convinto, è un rude difensore come forse in Italia non ne escono più, ma i meriti a mio avviso finiscono qui. E’ reduce da una buona stagione al Parma (come tutti gli interpreti di quella squadra, è giusto rimarcarlo) ma da un punto di vista puramente tecnico mi pare che palesi dei limiti evidenti. A gusto mio avrei tenuto Ranocchia, alle prese con una delicata scelta che influirà probabilmente sulla sua carriera (io gli consiglierei di passare alla Juve, dove troverebbe un tecnico come Conte che lo saprebbe valorizzare, avendolo “svezzato” e allenato per due ottime stagioni e il suo ex gemello barese Bonucci, ieri sacrificato in panchina…). In ogni caso, vincere era fondamentale, considerata la caratura degli avversari. Già, gli inglesi di mr. Hodgson, giunti tra lo scetticismo generale, partiti a fari spenti, stanno invece perseguendo una via di rinnovamento vera, con l’innesto di tanti talenti autentici. Ieri ne abbiamo avuto dimostrazione: tra la freccia Sterling (appena ventenne), il suo compagno al Liverpool Sturridge, i trequartisti Barkley e Lallana, con in panca un certo Shaw (protagonista del Southampton del ’95!), da tutti definito il nuovo Bale (quando ancora la stella gallese agiva da terzino) il futuro per i Leoni Indomabili sembra davvero roseo. Ma dovranno ripartire dall’Uruguay, ieri nel frattempo sono usciti sconfitti da un’Italia che ha assolutamente meritato, una Nazionale azzurra che ha vinto e convinto. Forza Italia! (va beh, questo è l’unico momento in cui posso comunque gridarlo, senza sentirmi a disagio.. per fortuna la politica non c’entra!)

Dal sito del GS l’articolo scritto per la mia rubrica “Stelle comete”, stavolta dedicato a Hossam Mido

Di storie come quella che vi vado a raccontare è piena la memoria calcistica ma ciò non scalfisce talvolta il senso di amarezza che mi pervade quando mi appresto a rispolverarle, specie se si ama il calcio giovanile e ci si trova per gioco a scommettere sul futuro ad alti livelli di fenomeni in pectore. Uno di questi in tempi recenti rispondeva al nome di Hossam Mido, attaccante egiziano che nel corso della sua (breve) carriera ha girato un po’ ovunque con alterne fortune.

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A 16 anni giù impressiona in Patria con lo Zamalek, attirando da subito le mira di prestigiosi club europei. La tappa belga al Gent è significativa di un’accresciuta maturità, nel contesto di una realtà più competitiva e lui replica l’exploit “casalingo” mettendo a referto 11 reti in 22 partite. Arriva così all’Ajax, non in uno dei suoi momenti migliori ma pur sempre nell’elite calcistica, specie per quanto concerne la formazione, la crescita e soprattutto il lancio di giovani talenti. E’ una squadra largamente multietnica, assieme all’attaccante mancino troviamo Ibrahimovic (svedese), Maxwell (brasiliano) e Chivu (rumeno), di due anni più anziani o il sudafricano Pienaar, mentre l’ala autoctona è ben rappresentata dall’esterno Van Der Meyde (transitato poi anche all’Inter) e dai più giovani Van Der Vaart e Sneijder, tutti dal futuro assicurato, sono pronti a scommettere gli addetti ai lavori. Ma in mezzo a tanto fulgido talento sono proprio i due piloni offensivi Mido e Ibrahimovic, così armoniosi nell’unire prestanza e forza fisica associandola squisitamente a indubbie doti tecniche, a colpire l’immaginario di molti. Amici – rivali, come si evince dall’autobiografia dello svedese del Psg, in campo sono magari incostanti e giocoforza acerbi ma fioccano i gol (per Mido nella fattispecie 21 in 40 presenze, mantenendo così la prodigiosa media di un gol ogni due gare in pratica). Già nel 2002 il giovanissimo egiziano è votato miglior giocatore africano dell’anno, a testimonianza del fatto che le aspettative, fino a quel momento corroborate dai fatti, erano più che legittime.

due giovanissimi campioni in sboccio, a inizio anni 2000: Ibrahimovic e Mido ai tempi dell'Ajax

due giovanissimi campioni in sboccio, a inizio anni 2000: Ibrahimovic e Mido ai tempi dell’Ajax

Il parallelo però con Ibra termina di diritto qui: mentre l’ex tra gli altri di Juve, Inter e Milan inizierà a mietere successi personali e di club anno dopo anno, per Mido comincerà una vorticosa giostra fatta di sali-scendi paurosi. Dalla fugace, seppur positiva, esperienza spagnola al Celta Vigo (4 gol in 8 partite) fino al Marsiglia, dove terminerà la stagione 2004 con 7 reti in 22 gare, alternando giocate magistrali a pause incomprensibili e un difficile rapporto con l’ambiente, eccolo approdare nella capitale italiana per la stagione 2004/2005, nella sponda giallorossa del Tevere. Mido non ha ancora 25 anni ma qualcosa è andato perso, la maturità tanto sospirata non è ancora giunta a compimento, specie a livello comportamentale, mentre a livello tecnico paga, oltre che una obbiettiva difficoltà di ambientamento, una scadente condizione fisica che lo fa apparire tutto fuorchè in forma per guidare l’attacco di una compagine ambiziosa a livello italiano ed europeo. Il suo tabellino finale sarà impietoso, il peggiore della sua carriera: 8 miseri gettoni di presenza “vergini”, non bagnati da nessun gol e passaggio in velocità ad un’altra realtà ostica, il Tottenham Hotspur.

A Londra però Mido sembra rinascere, mostrando a intermittenza tutto il talento di cui dispone. Ormai da anni non si esibisce più all’ala sinistra, giostra piuttosto da punta centrale, dove può far valere il suo metro e 90 d’altezza e le sue capacità acrobatiche: tornerà a un discreto  bottino di realizzazioni, 12 in 39 partite, non sufficienti a conti fatti per guadagnarsi la conferma. Le successive tappe inglesi avvengono in piazze calde, seppur “minori”, quali Middlesbrough e Wigan, dove il suo apporto sarà per lo più irrilevante, con un totale di 7 gol in 2 anni. Ma al di là delle impietose e crude statistiche – che nel caso di un attaccante spesso però giocoforza vanno a fare la differenza – ciò che colpisce negativamente in lui è il non saper mantenere alti i livelli di professionalità e gli standard atletici, considerando che in carriera, a parte qualche infortunio di poco conto, non si può dire che abbia dovuto superare grossi ostacoli da questo punto di vista. Le sue intemperanze caratteriali sono altresì note pure a livello di nazionale, se è vero che già nel 2006 lui, che dell’Egitto è l’autentica stella su cui puntare a mani basse, a causa di un grosso litigio col suo allenatore, viene escluso a Coppa d’Africa in corso in quella che sarà un’edizione storica, terminata con la vittoria nella manifestazione della sua squadra, davanti al pubblico di casa. Alla soglia dei 30 anni Mido si trova così ormai in un limbo, “costretto” a rientrare in patria per una “improvvisata” stagione in patria, nello stesso club che lo lanciò come professionista, lo Zamalek. 1 gol soltanto e l’impressione tangibile che gli fossero venute meno ogni forma di motivazione. Dal 2010 al 2013 tra West Ham, i successivi revival con Ajax e Zamalek e una tappa transitoria al Barnsley, nella scorsa stagione in Championship salvatosi per il rotto della cuffia, essendo giunto quart’ultimo in graduatoria, ha accumulato un totale di 18 presenze, segnando 5 reti, preludio di un precoce ma a quel punto quasi scontato prematuro addio al calcio giocato.

Ad appena 31anni (essendo nato al Cairo nel febbraio dell’83) Mido è il più giovane allenatore della storia egiziana. Lui giura di aver messo la “testa a posto” e di essere pronto a tornare (o diventare) protagonista in questa nuova veste, che lo carica sicuramente di nuove responsabilità. Ha rifiutato la panchina delle giovanili del Psg per seguire il cuore, allenare lo Zamalek e lanciare talenti che, come lui, partiti da questo club potranno magari diventare importanti a livello internazionale, se solo saranno in grado di trovare il giusto equilibrio tra doti tecniche e caratteriali, connubio in lui clamorosamente non andato a buon fine, altrimenti starei qui a scrivere di un attaccante in grado di segnare un’epoca.

(a cura di Gianni Gardon)

Dossier sugli stranieri giunti in Serie A quest’estate… tra (pochi) promossi e molti rimandati

Riporto anche qui, ampliandolo, un mio articolo uscito nel recente numero del Guerin Sportivo, con copertina dedicata al Pallone d’Oro Cristiano Ronaldo, che trovate in tutte le edicole d’Italia.

Si tratta di un dossier sugli stranieri giunti quest’anno nel nostro massimo campionato di calcio. Tra sorprese, delusioni e conferme, ecco quindi un quadro completo dell’impatto che questi giocatori hanno avuto con la serie A.

Nello scorso numero del GS campeggiava in copertina Paul Pogba: un giusto riconoscimento per un giovane straniero del nostro calcio, assurto ormai a rango di fuoriclasse, dopo aver esordito un anno prima con la Juventus. E quest’anno, invertendo una tendenza rispetto alle recenti stagioni, la serie A si è arricchita ulteriormente, presentando ai nastri di partenza alcuni stranieri definiti come “top player”. Accanto ai vari Tevez, Higuain, Gomez (che come i neo romanisti Gervinho e Strootman si meritarono la prima pagina della nostra rivista) sono però giunti in Italia tanti altri interpreti dall’estero con esiti sinora contradditori.

Nell’ Atalanta, squadra dai forti connotati locali, molti alla vigilia indicavano nel romeno Nica un sicuro pretendente del ruolo di terzino destro: alla resa dei conti però non si è mai visto, e in quella posizione – con alterne fortune – si stanno alternando l’adattato Canini, il capitano Bellini, il ripescato Scaloni e il tornante Raimondi, efficace ma più a suo agio da metà campo in su

Nel  Bologna si stanno ben disimpegnando i due sudamericani Laxalt e Cristaldo. Nel contesto di un grigiore generale, almeno hanno garantito vivacità e impegno, specie l’uruguaiano di proprietà dell’Inter, più arrembante e meno fumoso dell’argentino ex Metalist. Superfluo invece l’apporto dell’esperto terzino sinistro Cech, mai sopra una sufficienza piena e presto scalzato dal più efficiente Morleo. Sono ancora in lista d’attesa il trequartista francese Yaisien, accostato in patria a Zidane,  e l’attaccante romeno Alibec, che già fece parte del vivaio dell’Inter con qualche fugace apparizione in prima squadra.

Il Cagliari fa suo di anno in anno il motto “rinnovamento nella continuità”: pochi innesti mirati, da inserire gradualmente. Difficile ad esempio per il trequartista Ibraimi, che pure ha mostrato buone doti tecniche, superare nelle gerarchie il talento di casa Cossu, in assenza del quale peraltro il mister Lopez preferisce alzare la mezzala svedese Ekdal. E’ scomparso letteralmente dai radar invece il centrale difensivo greco Oikonomou, sempre titolare nelle amichevoli estive ma bocciato alla prova del campionato in favore dell’inossidabile coppia Rossettini-Astori e preceduto pure da Ariaudo.

Il Catania sta pagando dazio in classifica anche a causa del tourbillon di acquisti stranieri avvenuto in estate, molti dei quali, per ora, dimostratosi non all’altezza dei predecessori. In difesa il giovane Gyomber ha avuto le sue possibilità, vista la prolungata assenza del titolare Spolli ma è parso molto acerbo e insicuro, così come Monzon non si è ancora impadronito della fascia sinistra lasciata vuota da Marchese. E’tornato disponibile sul finale del girone d’andata il terzino argentino Peruzzi, considerato l’erede di Javier Zanetti dallo stesso capitano dell’Inter. L’impatto è stato difficile  ma il tempo per dimostrare le sue doti è dalla sua parte. Anche l’attaccante Leto ha mostrato limiti evidenti, soprattutto da un punto di vista fisico e il paragone con il Papu Gomez davvero non regge. Si salva l’esperto mediano tutto polmoni Plasil, dal rendimento costante.

Il Chievo, dopo la partenza shock, con Corini ha ritrovato risultati e molti dei suoi interpreti migliori. Poco spazio quindi  per i nuovi, come l’esterno sinistro Pamic.

Nella Fiorentina tutti aspettavano al varco la coppia offensiva formata da Rossi e Gomez, la meglio assortita della serie A. I due, complici gli innumerevoli guai fisici del panzer tedesco, si sono visti poco assieme sinora, e così l’italiano si è trovato a duettare con le frecce Cuadrado e Joaquin. Lo spagnolo non è più il funambolo dei tempi del Valencia, ma garantisce equilibrio, oltre che fiammate offensive. Dei tanti giovani giunti in maglia viola abbiamo visto le gesta soprattutto nel fortunato cammino in Europa League. Era lecito aspettarsi qualcosa in più da Rebic, il nuovo Boksic, mentre ha fatto intravedere le sue qualità solo a sprazzi l’uruguaiano Vecino, trequartista d’origine impostato da interno. Non pervenuto Iakovenko, mentre buoni segnali ha dato il ventenne brasiliano Matos, esordiente di fatto, ma in realtà fiorentino d’adozione, essendo nei ranghi delle giovanili viola da quand’era poco più che un adolescente.

Il Genoa sfoggia con vanto il giovane nazionale croato Vrsaljko, a cui sono bastate poche convincenti apparizioni sull’out destro per destare le attenzioni dei maggiori club italiani ed europei. Subito positivo anche durante la breve e sfortunata parentesi di Liverani, al ragazzo non fanno difetto tecnica,corsa e personalità. Buono anche l’apporto della zanzara greca Fetfatzidis,  ormai titolare fisso in un tridente anomalo con Kucka di supporto all’unica punta Gilardino. Il Gasp è riuscito a incanalarne nel modo adeguato la fantasia di cui dispone. Promette bene Konatè: per il ventenne senegalese qualche buona apparizione in attacco  non supportata sinora dalla necessaria concretezza.

Nell’Inter,  in attesa degli investimenti di Thohir si è puntati dapprima a ritrovare un solido 11 base sul quale lavorare. L’unico neo acquisto da fuori è stato l’ex Chelsea Wallace si è visto davvero pochissimo, detronizzato subito nel ruolo di terzino destro dal suo connazionale Jonathan, con Ricky Alvarez forse il “vero” nuovo straniero in organico dei nerazzurri, visto che entrambi paiono lontani parenti dagli abulici giocatori visti in precedenza.

La Juventus, a detta di tutti, aveva fatto il colpaccio in estate, assicurandosi un giocatore di primo piano come l’argentino Tevez e un primo bilancio non può che essere assolutamente positivo. L’Apache in pochi mesi è diventato leader della squadra, con doti tecniche che tutti gli riconoscevano ma dimostrando anche un comportamento esemplare, fungendo da esempio e trascinatore della squadra, degno erede di quel famoso 10 che ha fatto la storia recente della Juve. Accanto a lui in attacco pian piano è lievitato anche lo spagnolo Llorrente, al quale sono servite più settimane per ambientarsi. Frettolosamente ha rischiato di essere etichettato come flop dopo i casi scioccanti di Elia o Anelka, invece l’ex Athletic Bilbao stava solo aspettando il proprio turno, lavorando in silenzio per ottenere la forma migliore. Non sarà mai un cecchino infallibile alla Trezeguet, cui è stato ingiustamente paragonato, ma i galloni da titolare sono ormai sulla sua maglia.

Nella Lazio i nuovi arrivi stranieri non stanno certo incidendo secondo le attese e, un po’ come a Catania, stride molto il paragone tra titolari e riserve. In difesa, ad esempio, sta demeritando Novaretti, cui spesso Petkovic  preferisce piuttosto adattare il centrocampista albanese Cana. Anche i brasiliani Vinicious e Felipe Anderson stanno deludendo. Il fantasista ex Santos ha una tecnica invidiabile e indubbio talento ma tra infortuni e una difficile collocazione tattica non ha praticamente mai inciso. Stessa cosa si può dire dell’acerbo centravanti colombiano Perea, assai poco prolifico nei panni sporadici di vice Klose, visto che si è fatto scavalcare nelle gerarchie dal talento di casa Keità (classe ’95).. Rimane da dire dell’argentino Biglia, il cui acquisto, a lungo inseguito, era stato messo in discussione già dal ritiro estivo, quando parve davvero poco probabile l’opzione doppio regista con il capitano Ledesma. Troppo simili i due alle spalle di Hernanes, così che il biondo ex Anderlecht è finito presto tra i rincalzi, nel frattempo scavalcato dal giovane nazionale nigeriano Onazi.

Il Livorno, nella difficile corsa alla salvezza, sta preferendo affidarsi a giocatori esperti o reduci dalla splendida cavalcata della promozione dell’anno scorso. Poco presenti finora i giovani Mosquera e Borja (entrambi colombiani), ancora fermo ai box l’argentino prestato dall’Inter Botta (di cui si dice un gran bene) e presto rimandato il centrale difensivo Valentini, cui vengono preferiti il talento di casa Ceccherini e il navigato Rinaudo.

Il Milan, alle prese con un’epocale svolta societaria, non aveva investito granchè all’estero quest’estate, riuscendo a ingaggiare in extremis il cavallo di ritorno Kakà. Da molti dato per bollito, e considerato dai più una sorta di acquisto dal sapore “romantico”, quello del brasiliano si può invece definire come probabilmente l’ultimo colpo messo a referto da Galliani prima di passare la mano alla rampante Barbara Berlusconi

Nel Napoli il vero acquisto straniero è in panca, quel Rafa Benitez, capace di conquistare tutti nel breve volgere di un ritiro estivo. Per farlo si è avvalso di una rosa composta in buona parte da stranieri inediti per il nostro campionato. Il compito più arduo spettava al Pipita Higuain, che doveva sostituire al centro dell’attacco il Matador Cavani. L’argentino sta facendo la sua parte, con gol e ottime prestazioni, sia in campionato che in Europa. Dietro di lui stanno furoreggiando i fantasisti Callejon e Mertens che si alternano con il talento nostrano Insigne, componendo con Hamsik uno splendido ed efficace tridente offensivo. Se lo spagnolo, mai del tutto compiuto in patria, è quello che ha garantito finora più puntualità in zona gol ed equilibrio tattico, il piccolo belga invece è l’uomo abile a scardinare le difese avversarie, spesso a partita in corso, sgominando i rivali con accelerazioni devastanti e tecnica di base sopra alla media. Poche chances ma discretamente sfruttate le ha colte in avanti anche il giovane Duvan Zapata, mentre in difesa è titolare fisso lo spagnolo Albiol, non immune però da errori anche banali in coppia con Britos o più spesso Fernandez. In porta è parso invece da subito una sicurezza il portiere ex Liverpool Reina, anche se essendo in prestito secco difficilmente potrà essere riconfermato, viste le lusinghe di casa Barcellona. Alle sue spalle, sul finale del girone d’andata,  ha fatto la sua comparsa tra alti e bassi il giovane Rafael, da molti considerato in Brasile il portiere del futuro.

Il Parma di Donadoni, un po’ come Atalanta e Cagliari, ha cambiato pochissimo rispetto alla passata stagione e gli stranieri giunti in Emilia sono per lo più giovanissimi che alla resa dei conti non hanno mai assaggiato la prima squadra: gente talentuosa come il serbo ex Stella Rossa Jankovic (classe ’95) e il difensore  ivoriano Mory Kone (classe ’94). Qualche apparizione (modesta) da parte del difensore portoghese Pedro Mendes, che pare più un  “tronista” che un ruvido difensore. Dura per lui conquistare posto in una linea difensiva titolare formata da giocatori fidati come Cassani, Lucarelli e Paletta. E anche quando l’italo argentino è stato fuori a lungo per infortunio, è toccato spesso e volentieri all’esperto brasiliano Felipe sostituirlo.

Per la rivelazione Roma di questa parte di stagione vale un po’ lo stesso discorso relativo al Napoli. L’acquisto boom tra i nuovi stranieri giunti in serie A sta in panca e risponde al pittoresco nome di Rudi Garcia. Il tecnico francese ex Lille è entrato presto in sintonia con società e squadra, scegliendo un apparente profilo basso, non nascondendo però tra le righe la propria ambizione. In una squadra largamente rinnovata stanno facendo meraviglie gente come Strootman e Gervinho, uomo di fiducia del neo allenatore, con cui vinse uno splendido scudetto in Francia.Se all’Arsenal non era riuscito a imporsi, sembrando più che altro un poco efficace giocoliere,a Roma è stato capace di segnare, fornire splendidi  assist al bacio e garantire una lucida spinta costante sulle fasce. L’interno olandese, pedina insostituibile a metà campo,a soli 23 anni si muove da veterano, con assoluta padronanza del ruolo, mostrando personalità, muscoli, senso tattico e ottima tecnica di base con entrambi i piedi: un investimento davvero azzeccato. Al promettente centrale croato Jedvaj (classe ’95), di cui si dicono meraviglie, non sono state per ora concesse opportunità importanti per mostrare il proprio valore.

Nella Sampdoria rivitalizzata sul finale di andata da Mihajlovic, in mezzo ai tanti stranieri che compongono per la maggior parte la rosa della squadra, in pratica quest’anno è arrivato solo il ventunenne laterale polacco Wszolek,  visto solo a sprazzi e raramente titolare.

Il Sassuolo, matricola assoluta della nostra serie A, sta disputando un campionato più che dignitoso,. E lo sta facendo in pratica con un gruppo di tutti italiani in campo, almeno per quanto concerne l’11 base ormai individuato dal tecnico Di Francesco. Alla vigilia del torneo pareva in rampa di lancio l’attaccante romeno Alexe, che nel breve minutaggio messo a disposizione si era pure mosso bene ma che è finito clamorosamente nelle retrovie una volta tornato dalla squalifica il super talento Berardi.

Il Torino di Ventura ai nastri di partenza presentava due nuovi stranieri: il giovane di belle speranze Maksimovic (ex Stella Rossa, classe ’91) e il più esperto, anche a livello internazionale, Farnerud. Il primo, soffiato a grandi club, si sta inserendo molto gradualmente, complice anche la solidità di un reparto già affiatato. Il centrocampista svedese, forgiato da campionati come quello francese, tedesco e svizzero, non c’ha messo molto ad adattarsi al clima della serie A, nonostante abbia patito una serie di guai fisici che ne hanno ridotto l’utilizzo sin qui in mezzo al campo.

L’Udinese sta vivendo una stagione di transizione, dalla cui solita infornata di stranieri  pochi hanno lasciato traccia evidente di sé. Certamente non lo hanno fatto il laterale svizzero Widmer, acerbo e in pratica “né carne, né pesce” sulla fascia destra, o il mediano croato Mlinar. Mai visti in pratica i giovanissimi brasiliani Douglas Santos (classe ’94) e Jadson (regista classe ’93 in possesso di indiscusse doti tecniche, per molti il nuovo Pizarro), mentre in difesa ha stentato nelle occasioni in cui è stato schierato il croato Bubnjic. In porta un esordiente assoluto del nostro campionato era il venticinquenne Kelava, subito titolare in porta per ovviare all’infortunio occorso presto al designato Brkic. Buona personalità ma anche qualche errore di troppo ne hanno compromesso l’ascesa in bianconero, e col ritorno in campo del portierone ex Siena, per lui le presenze si sono ridotte al lumicino.

Tra i diversi nomi nuovi del campionato del Verona, si è messo prepotentemente in luce sin dai primi banchi di prova il sudamericano Iturbe.  Una sorta di predestinato, conteso dalla nazionale paraguaiana, nazione d’origine dei genitori e da quella argentina. Dei tanti “nuovi Messi” è quello che in effetti più gli somiglia, nella velocità palla al piede, nel dribbling fulmineo, anche se deve  limare alcuni egoismi. Gli avversari stanno imparando a conoscerlo e a limitarlo ma rimane, dietro ai big Tevez e Higuain, il miglior straniero giunto quest’anno. Meno incisivi invece il play basso Cirigliano e i due centrali difensivi Marques e Gonzalez. Per il brasiliano poche apparizioni e mai convincenti;  per il grintoso uruguaiano, qualche svarione di troppo e in generale una tecnica di base approssimativa che lo hanno fatto incappare in grossolani errori costati cari. Non ha avuto spazio invece il figlio d’arte Mihajlov, portiere della nazionale bulgara, causa l’ottima conferma in serie A del titolare Rafael.

Insomma, un primo bilancio che sembra porre in chiaro scuro la faccenda dell’incidenza positiva degli stranieri sul nostro campionato. Se, come analizzato, i cosiddetti top player, giunti in soccorso di una serie A sempre più povera di interpreti di valore, stanno svolgendo bene il proprio compito, altri non stanno contribuendo in maniera pregnante alle sorti delle loro compagini. Il tutto in un quadro generale sempre più globalizzato, che mai come quest’anno ha consentito a tanti giocatori italiani di tentare a loro volta la carta dell’esperienza fuori dai propri confini.

(Gianni Gardon)

ps.. il tutto considerando che, a una così poco confortante ondata di nuovi giocatori provenienti dall’estero, non ha fatto da contraltare un’adeguata esplosione dei giovani di casa nostra, come da tempo auspicato da più parti.

Parole al vento, verrebbe da dire, se è vero che, nonostante le buone premesse, i risultati ottenuti di recente dall’Under 21 di Mangia agli Europei disputati la scorsa estate in Israele, e lo sporadico lancio di giovani visto un anno fa (pensiamo ai milanisti De Sciglio e  El Sharaawy o prima ancora il regista Verratti), quest’anno la tanto attesa inversione di tendenza definitiva, la consacrazione di un interessante movimento non c’è stata. Anzi, nel campionato in corso, quello importantissimo che dovrà dare delle indicazioni definitive a Prandelli in vista del Mondiale brasiliano, si stanno facendo valere prevalentemente i “grandi vecchi”, gente come Totti, Toni, il più giovane ma comunque ultratrentenne Gilardino, più che i nuovi nomi.

E se da noi giungono tanti stranieri, è anche vero che accade pure il contrario, e la fuga degli italiani all’estero non riguarda più ormai solo i famosi “cervelli”, ma si allarga anche a giovani comuni, così come a pensionati che vanno a spendere i loro (pochi) risparmi magari in Paesi dell’Est dove la vita costa meno e.. magari anche a quei giocatori “in esubero” nel nostro campionato, nè giovani, nè vecchi, ma forse con poche prospettive per mettersi in mostra da noi.

Mai come quest’anno quindi, non si contano i nostri atleti impegnati all’estero, non solo ex promesse come gli “inglesi” Macheda, Petrucci, Borini, Mannone o Santon, o campioni affermati come i “parigini” Verratti, Sirigu o il naturalizzato Motta o i giovani in rampa di lancio, strapagati all’estero ma finiti clamorosamente ai margini a casa nostra (gente come gli ex interisti Donati e Caldirola, immalinconiti nelle categorie  minori prima di passare a fare i titolari in club prestigiosi come Bayer Leverkusen e Werder Brema).

No, quest’anno ad aver fatto le valigie ci hanno pensato anche l’ex bolognese Pisanu, ormai finito in Lega Pro dopo un fulgido passato in serie A con il Parma e un passato remoto da predestinato, che è tornato alla ribalta nella Major Soccer League, nella stessa squadra di Ferrari e Di Vaio, con quest’ultimo sempre tra i migliori e più prolifici attaccanti di quella lega. E poi in Ungheria gioca l’ex juventino Alcibiade, ancora giovane ma mai esploso; in Francia è titolare indiscusso in Ligue 1 il difensore Tonucci, così come l’ex bolognese Raggi, addirittura nel top Club Monaco, allenato da Ranieri, quando lo raggiunse in tempi non sospetti con la squadra scesa mestamente in Ligue2, prima della “miracolosa” acquisizione da parte degli sceicchi; in Portogallo nell’Olhanenense gioca Dionisi, protagonista assoluto nel Livorno di Nicola fino alla bella promozione dello scorso anno mentre in Olanda è ormai un vip, un uomo di punta l’attaccante leccese Pellè, splendido cannoniere.

In Scozia gioca ormai da veterano il centrocampista Manuel Pascali, da noi visto all’opera solo in terza serie e lì diventato uomo simbolo, da molti stagioni (ben 6) trascinatore del Kilmarnock, così come in Grecia spopola da anni l’attaccante Napoleoni.

In Premier quest’anno sono arrivati come grandi acquisti due nazionali azzurri come l’attaccante Osvaldo (invero un oriundo) al Southampton e il piccolo jolly Giaccherini al Sunderland, dopo la bellissima e convincente Confederation Cup disputata l’estate scorsa. In Inghilterra è finito pure il portiere mai del tutto compiuto in tutto il suo talento Emiliano Viviano, anche se quest’anno all’Arsenal è davvero dura ritagliarsi il giusto spazio. Sempre oltre Manica, ma nella seconda serie, molti italiani sono stati “parcheggiati” al Watford dall’Udinese, visto che entrambe le squadre fanno capo al presidente Pozzo. Ecco quindi che alla corte di Zola prima, e di Sannino ora, giocano i vari Fabbrini, Faraoni, Battocchio, Forestieri, Angella, tutti col desiderio non nascosto di imporsi e di tornare da protagonisti a calcare i palcoscenici del nostro massimo campionato. Nella Liga Spagnola è impegnato invece un altro reduce da un buonissimo europeo Under 21, il centrocampista Fausto Rossi, cresciuto nella Juventus dove aveva esordito precocemente in prima squadra, prima di iniziare un lungo girovagare tra le categorie minori.

Caso più unico che raro è quello del Novi Gorica, società satellite del Parma, dove il presidente Ghirardi ha mandato a farsi le ossa o ad accumulare minutaggio importante tantissimi elementi sotto contratto con la squadra madre: gente anche di indubbio talento come l’ex nazionale giovanile azzurro Gaetano Misuraca, i difensori Abel Gigli e Alessandro Favalli, la punta Massimo Coda o di lunga esperienza nei campionati minori italiani come gli attaccanti  Lapadula e Bazzoffia, il centrale difensivo Checcucci, il portiere Cordaz o di recente il tornante Finocchio, ex nazionale under 17.

Insomma, un esercito intero presente nella vicina Slovenia, con tanti giocatori che hanno accettato di percorrere altri lidi pur di trovare spazio e giocare con continuità, rimettendosi in gioco, in un momento in cui anche il calcio italiano, inteso proprio come sistema, sembra sempre più in forte crisi, non solo economica.

Il Bayern Monaco si aggiudica uno scontatissimo Mondiale per Club

E’ passata così in sordina questa rassegna del Mondiale per Club, altisonante definizione che vorrebbe, nelle intenzioni, fare da volano alle migliori rappresentative mondiali prese nei singoli continenti, che viene quasi difficile scriverne. Giusto a livello teorico, giacchè il mondo non si limita a Europa e SudAmerica, le due grandi Patrie che si sono da sempre, nel corso dei decenni, sfidate nelle attese (quelle sì) sfide di Coppa Intercontinentale. Ora invece duole constatare un’amara realtà: di questo torneo interessa ben poco alla gente e, per le stesse squadre impegnate – tra l’altro in fretta e furia in un periodo dell’anno alquanto improbabile – funge solo da arricchimento della bacheca personale in fatto di trofei. Che poi le sorprese – fino a un certo punto – possano trovarsi dietro l’angolo (in fondo 12 mesi fa i brasiliani del Corinthians batterono i favoriti inglesi del Chelsea) è un altro discorso.

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Quest’anno tuttavia era alquanto improbabile che la “rivelazione” Raja Casablanca, capace di stendere in semifinale l’Atletico Mineiro di Ronaldinho e Jo, potesse davvero avere la meglio sul super Bayern Monaco di Guardiola, capace di migliorare ulteriormente la già splendida, efficace macchina “da guerra” e di “bel calcio” esibita lo scorso anno dal predecessore Jupp Heynckes, grazie all’inserimento graduale del ribattezzato “Token Token”.

Bayern che ci ha messo poco per prendere il controllo della gara, disputata a Marrakech, e quindi in casa dei rivali, per via di due reti siglate nei primi 22 minuti: al gol iniziale del difensore centrale Dante, dopo 7 minuti, ha fatto seguito una quindicina di minuti più tardi la realizzazione di un ritrovato Thiago Alcantara, gioiellino ex Barça, fortemente voluto da Pep Guardiola quest’estate, dopo che lo spagnolo era stato il vero MVP del Campionato Europeo Under 21 vinto con pieno merito dalle giovani Furie Rosse.

Tanto cuore e tanto impegno, tanto entusiasmo e calore del pubblico poco hanno potuto incidere contro i tedeschi, che nel turno precedente si erano sbarazzati con altrettanta facilità dei Campioni d’Asia, rappresentati degnamente dal Guangzhou Evergrande allenati dal “nostro” Marcello Lippi, capace in pochi anni di portare un club cinese nell’èlite del calcio d’oriente, con disarmante facilità, mostrando una superiorità – per lo meno nel proprio campionato – a tratti imbarazzante.

E l’Evergrande si è mostrata una bella squadra anche in occasione della “finalina” per il terzo posto, pur essendo stata sconfitta proprio nei minuti di recupero dall’Atletico Mineiro.

Risultato pirotecnico comunque per gli uomini di Lippi, arresisi sul 3 a 2 appunto solo al 91°, dopo che erano riusciti brillantemente a ribaltare il gol iniziale di Diego Tardelli, grazie alle sue stelle Muriqi e Conca.

Poi ci ha pensato l’asso Ronaldinho a rimettere le cose in parità, con una splendida punizione sul finale del primo tempo. Per il brasiliano ex Milan, tutto proteso a rincorrere un posto tra i convocati di Scolari in vista del Mondiale che si disputerà nella sua Terra Natìa, una gara di alto spessore che a un certo punto rischiava di essere macchiata dall’espulsione colta nel secondo tempo. Mineiro rimasto in 10 ma con una grande forza d’urto che ha permesso di acciuffare in extremis la vittoria finale grazie al guizzo di Luan.

Il Bayern Monaco quindi vince confermando i pronostici questa edizione del Mondiale per Club ma sinceramente ci si auspica che la formula possa essere un po’ rivista, che le gare possano avere quantomeno un po’ di visibilità e clamore mediatico in più, altrimenti – alla faccia della storia e delle spesso infuocate sfide d’altri tempi, molte delle quali divenute quasi leggendarie, dai toni epici – si corre davvero il rischio che questa manifestazione serva più per soddisfare marketing e prestigio personale.

Sorteggi Champions League. Scopriamo l’Atletico Madrid, avversario toccato in sorte al Milan

La Champions League entra nel vivo con gli accoppiamenti validi per la seconda fase, quella ad eliminazione diretta. Inutile dire che non mancheranno gli scontri tra titani, vedi Manchester City- Barcellona o Arsenal- Bayern Monaco.

Superato lo shock per l’eliminazione precoce delle big italiane Juventus e Napoli (beffato, avendo chiuso con ben 12 punti e a pari con il Dortmund e l’Arsenal il suo girone eliminatorio) e per la sofferta affermazione dell’unica rimasta in gara, il Milan, proviamo a focalizzare l’attenzione sull’avversario toccato in sorte a quest’ultimo: l’Atletico Madrid.

l'implacabile Diego Costa, bomber dei Colchoneros

l’implacabile Diego Costa, bomber dei Colchoneros

Una squadra, quella spagnola, seconda dietro il colosso Real nella sfida cittadina, che mai come quest’anno pare agguerrita e con piene credenziali per poter proseguire la corsa nella massima competizione europea, dopo aver fatto incetta di premi “minori” – almeno nella concezione dei club nostrani – negli anni precedenti.

L’Atletico Madrid anni fa, mettiamo fino a un lustro fa, non avrebbe impensierito più di tanto un Diavolo che fa della vetrina europea la sua ambizione dichiarata, con risultati prestigiosi conseguiti negli anni di presidenza berlusconiana, ma la realtà dei fatti pare ben diversa, e la partita sarà tutto tranne che abbordabile, pur nella consapevolezza che l’urna sarebbe potuta essere ancora più severa per i rossoneri.

I colchoneros infatti mai come quest’anno sono competitivi sia in ambito nazionale, dove stazionano ai fianchi del solito Barcellona, sia in Europa dove agevolmente hanno superato il turno al cospetto di un girone parso tra i più equilibrati sulla carta.

Quest’anno la squadra, brillantemente allenata da quel Diego Simeone che nel corso della sua lunga carriera, quasi del tutto spesa in Italia, prima come valente “tuttocampista”, poi come giovane allenatore, ha alcune marce in più nel motore, specie nella batteria offensiva, dove a Diego Costa si è aggiunto da questa stagione un David Villa desideroso di tornare protagonista dopo gli anni vittoriosi al Barça, dove invero ha fatto da comprimario, come spesso accade a chi arriva in una squadra collaudata e ricca di campioni come Messi, Xavi, Iniesta, Piquè…

Ma è proprio il già citato Diego Costa il vero uomo in più della stagione sin qui monstre dell’Atletico. Il 25enne non è certo una novità a livello di Liga e anzi milita qui giù da tre anni e prima ancora aveva vissuto discrete stagioni in squadre minori spagnole. Tuttavia, dopo il brutto infortunio patito giusto un anno fa e la conseguente scelta di ripartire da gennaio in prestito al Rayo Vallecano, il brasiliano –  appena naturalizzato tra infinite polemiche spagnolo – ha cominciato a furoreggiare, segnando con una regolarità e una frequenza che mai gli era appartenuta prima, sfiorando le medie di Cristiano Ronaldo, il suo dirimpettaio dei cugini del Real. Gol in serie, da attaccante puro, vero, per lui che prima era considerato sì una buona punta, agile e potente, ma non certo letale in area. La trasformazione è stata così fragorosa, tanto da tirare in causa il Brasile che avrebbe fortemente bisogno di un terminale offensivo come lui, che invece si è sentito di accordare fiducia alla nazione che da tanti anni lo ha accolto, dopo gli esordi portoghesi al Braga, offrendogli la possibilità di diventare un calciatore professionista di alto livello.

E’ indubbio che gran parte dei meriti dell’esplosione del neo-spagnolo sia da assegnare al tecnico argentino, capace di impostare i suoi uomini con un modulo che esalta le caratteristiche offensive dei suoi interpreti, essendo di base un 4-2-3-1, con la differenza, rispetto ai tanti club della Liga che praticano questo sistema di gioco, che Simeone cura molto bene pure la fase difensiva, come si evince dalle prestazioni ottime di un reparto che vede nel giovanissimo portiere francese Courtois il suo più fulgido gioiello.

Reparto  completato dalla solida cerniera centrale composta dal brasiliano Miranda, ex compagno di Thiago Silva quando entrambi giocavano in patria e dall’esperto nazionale uruguaiano Godin, uomo tutto d’un pezzo, mentre ai lati sfrecciano, da veri terzini fluidificanti d’antan Juan Fran e Filipe Luis.

In mediana spesso si piazza l’ex juventino Tiago, quasi impresentabile nei grigi anni torinesi, ma tornato a buoni livelli in Spagna, anche se non è più quello di Chelsea e Lione; miglior contributo sembrano offrirlo il capitano di lungo corso Gabi, il tattico Mario Suarez o il più tecnico Raul Garcia. Tecnica e ardore garantiti in grandi quantità pure dal turco Arda Turan, mentre il talento più cristallino di un reparto che alimenta tantissimo le azioni d’attacco è l’ex stellina dell’Under 21 fresca vincitrice del torneo Europeo 2013 Koke.

Al pari dei colleghi Isco, Illarramendi, Alcantara, Montoya, il fantasista dell’Atletico Madrid sta mantenendo intatte le molte promesse spese sul suo conto, e i fari delle maggiori big europee hanno cominciato ad accendersi su di lui, in grado di far cambiare decisamente passo alla squadra con le sue giocate e i suoi inserimenti fra le linee.

Insomma, un forte ensemble quello dei Colchonores, in una sfida da non prendere assolutamente sotto gamba per i rossoneri.