E così inizia la tanto agognata e attesa Fase 2… ormai non è più tempo di recriminare, chiedersi “perchè è successo tutto questo?” e, dal mio punto di vista, è fuorviante pure perdersi in elucubrazioni che riguardano argomenti nella maggior parte dei casi lontani da noi, o almeno lontani dal sottoscritto, quelle che io chiamo le “teorie del complotto”. Lasciatemi la mia ingenuità e la mia pigrizia nel non voler addentrarmi in territori che prima di tutto non mi competono.
Siamo tutti reduci da mesi difficili, e come spesso accade nelle maratone o nelle scalate – quando sono gli ultimi metri quelli più duri da affrontare – anche noi abbiamo iniziato a dare segni di stanchezza proprio nelle ultime settimane. La gente legittimamente reclama il ritorno alla propria normalità, e li posso capire: quella che da due mesi stiamo vivendo NON è la vita vera, ma è purtroppo l’unica che ci è concessa in questo momento e abbiamo pertanto imparato ad affrontare questo momento di difficoltà. E capito, seppur in minimissima parte (perchè secondo me non è giusto paragonare le due circostanze, nonostante da più parti vi si faccia ricorso), cosa abbiano provato i nostri nonni alle prese, chi con gli orrori della guerra, chi con la fatica di ricostruire tutto dalle macerie.
Si ritornerà quindi a “respirare” e a muoversi un po’ più liberamente, con la speranza che TUTTI ma proprio TUTTI abbiano capito l’enorme rischio a cui si va incontro se dovesse riallargarsi a macchia d’olio la linea dei contagi, laddove grazie a Dio, da alcune settimane stiamo assistendo a una lieve ma costante flessione dei malati in favore dei guariti.
Mia moglie lavora in ospedale in un reparto Covid (per lo più in una Regione come la nostra, il Veneto, tra le più colpite) e anche se le cose stanno migliorando, è indubbio che una preoccupazione da parte dei medici per l’imminente ripresa ci sia, non essendo del tutto conclusa l’emergenza sanitaria.
Tuttavia è giusto prima o poi riprendere a piccoli passi. Ed è la cosa migliore per tutti, anche per chi come me è un soggetto immunodepresso.
Già, ma cosa cambia per una persona immunodepressa nella Fase 2 rispetto a quella che ci siamo faticosamente appena lasciati alle spalle? Poco o niente direi… e qui sì che posso dirlo con cognizione di causa visto che dal 2013 sto vivendo con una malattia autoimmune che in casi come questo mi fa inserire tra le categorie cosiddette a rischio.
In realtà, anche se ormai da tempo non aggiornavo più questo blog sulla mia malattia (chi mi legge da tempo sa cosa ho passato, chi volesse saperne di più può invece recuperare facilmente facendo la ricerca con le parole-chiave Les, Lupus, Lyell), io in tutti questi anni, come mi dicevano incoraggiandomi i vari specialisti che mi seguono periodicamente, non ho avuto chissà quali privazioni nella mia vita.
Diciamo tranquillamente che sto vivendo la mia vita in modo normale. Certo, ho dovuto all’inizio abituarmi alla mia condizione di soggetto immunodepresso, ho avuto le mie paranoie ogniqualvolta mi veniva una “semplice” influenza perché purtroppo non posso assumere i farmaci classici che si usano in quei casi. Soprattutto ho dovuto imparare presto la mia terapia quotidiana, sapere che dovrò fare degli esami di controllo specifici sugli anticorpi e altro, e che dovrò periodicamente essere visitato nello specifico dal reumatologo, dalla nefrologa, dalla diabetologa (perchè a me il Les nella sua fase acuta non aveva risparmiato nulla!). Questi medici per me sono diventati non solo dei volti famigliari ma soprattutto delle grandi sicurezze!
Detto ciò, pur con le dovute precauzioni, ho ripreso relativamente presto a fare tutto quello che facevo prima della malattia: lavoro a tempo pieno (e il MIO lavoro, non quelli di tipo protetto), sport (ovviamente non potrei più a livello agonistico ma come hobby anzi è importantissimo per il mio metabolismo che io mi muova, senza affaticarmi troppo però… sì, direte che è una contraddizione ma ormai ho imparato anche a sapermi dosare negli sforzi), viaggi… soprattutto come già detto riesco a condurre la mia normale vita di tutti i giorni, ed è in fondo la cosa più importante.
Tutto ciò fino alla comparsa di questo maledetto e indesiderato virus, che per la prima volta da sette anni a questa parte mi ha costretto a fermarmi, anche se per fortuna sono stato bene e non l’ho contratto. Ho tenuto botta, riuscendo a fare il mio lavoro e a spostarmi liberamente finché le notizie dei primi contagi erano ancora limitate a determinate aree (tra l’altro non lontane da dove lavoro, visto che il primo caso di paziente morto a causa del Covid-19 è stato riscontrato nell’ormai noto Vo’ Euganeo, a pochi km da Montagnana, nel padovano, il paese dove mi reco ogni giorno).
Poi però quando il contagio ha iniziato a diffondersi, sono stato preventivamente stoppato dal mio medico come soggetto immunodepresso e quindi potenzialmente molto più a rischio di contrarre la malattia rispetto a un’altra persona.
Ciò ha comportato non solo che stessi a casa fisicamente dal luogo di lavoro (sono referente educativo in una grossa Fondazione, in un ambiente per forza di cosa promiscuo, tra dipendenti e ospiti inseriti nelle varie strutture) ma anche che iniziassi una semi-volontaria quarantena, era mia moglie che usciva per fare la spesa tanto per fare un esempio. Ero comunque in contatto con i miei colleghi e da casa qualcosa riuscivo a fare, fermo restando che anche in una struttura come la nostra l’attività quotidiana, viste le circostanze, è stata stravolta. Siamo stati molto preventivi ad adottare ogni misura di sicurezza, a far evitare il più possibile i contatti sia tra le persone all’interno della Fondazione che dall’esterno ma lo stesso per me era troppo rischioso espormi in quel momento.
Che poi, considerando che nei vari reparti si stanno curando i pazienti con farmaci tipo i corticosteroidi, il plaquenil o in alcuni casi il plasma, io magari dovrei essere paradossalmente più al sicuro, visto che li assumo o li ho assunti per curare il Les. Ma per la mia tutela e la mia sicurezza è stato giusto così.
Il lavoro non è tutto nella vita ma ci siamo resi conto una volta di più in questa chiusura forzata che non si tratta solo di un aspetto economico – certo, è comprensibile la preoccupazione di tutti – ma di qualcosa che ha a che fare con la nostra quotidianità.
Non ho avuto certo bisogno che fosse uno spot pubblicitario a indicarmi come trascorrere le mie giornate a casa. Da subito ho organizzato bene il mio tempo, approfittandone per scrivere molto, ascoltare musica, leggere, riposarmi…
Io ho avuto la fortuna di stare bene in questi mesi, ho comunque fatto tre tamponi ravvicinati (tutti risultati NEGATIVI) e anche le persone a me più vicine non hanno avuto problemi di salute; certo, non abbiamo mai abbassato la guardia ma a volte da sola quella non basta, purtroppo si è capito che in tanti hanno contratto il virus senza riuscire a risalire in quale maniera.
Inizierà così anche per me la Fase 2, riprenderò anch’io il mio lavoro con le dovute precauzioni, con i dpi e quant’altro, distanziamento sociale ecc; soprattutto ritornerò a uscire, potrò rivedere ad esempio i miei nipotini che mi mancano tanto. Il più piccolo, Sebastiano, il primo figlio di mia sorella, l’ultima volta che ho potuto vederlo era uno scricciolino di appena un mese: dalle videochiamate ho visto come sta crescendo bene ma dal vivo capirete che è proprio tutta un’altra cosa!
Per quanto riguarda il resto ovviamente dovrò attendere come tutti ma, a scanso di sembrare frivolo, ammetto che ho voglia – ebbene sì – pure di farmi un bell’aperitivo con gli amici, di andare allo stadio, di divertirmi a un concerto… non so realisticamente quando sarà possibile, ma voglio pensare che saremo in grado di superare anche la Fase 2 e se ci saranno una Fase 3 e 4: tutto tornerà come prima, dobbiamo solo adattarci nei prossimi mesi ad altre limitazioni, pregare che i contagi vadano sempre più a diminuire e soprattutto portare ulteriore pazienza.
La cosa più bella della mia ripartenza, la mia gioia più grande sarà soprattutto rivedere mia moglie, perchè a causa di forze maggiori ci siamo dovuti dividere. Quando è stata trasferita in un reparto Covid, infatti, ci è stato subito detto che era troppo rischioso che condividessimo gli spazi, vista la mia patologia.
Sono molto orgoglioso del lavoro che sta facendo, vi lascio immaginare però che non è stato facile. Ora in reparto l’emergenza si sta allentando e, insomma, sono pronto a tornare a casa! In ogni caso lo faccio dopo aver goduto per un po’ del privilegiato status di “figlio maggiore coccolato” da parte di mia mamma, che in queste settimane ho letteralmente subissato di discorsi, parole e risate.