“Dio esiste e vive a Bruxelles” è un film poetico, struggente, schizofrenico, visionario, in grado di regalare sorrisi ed emozioni

Una ripresa del cineforum con i botti al Mignon di Cerea. Merito di “Dio esiste e vive a Bruxelles”, film di produzione belga/franco/lussemburghese diretto dal regista Jaco Van Dormael, ai più noti per  il delicato, intenso “L’Ottavo Giorno”, di ormai 20 anni fa.

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Con questa prova, lui così parco nelle uscite, torna a misurarsi col sogno, il destino, il buono e il cattivo che c’è in noi, adottando uno stile schizofrenico, frenetico ma soprattutto visionario e poetico.

Sì, c’è molta poesia, filosofia ma anche concretezza ed efficacia in questo film, in cui vengono messi in mostra, mischiando ironia e finezza, vizi e virtù di un miscuglio di umanità, generate da un Dio ben poco accondiscendente, che si compiace a creare ogni cosa come fosse un gioco, davanti a un pc. L’intervento della figlioletta ribelle sarà determinante per rimettere in carreggiata quanto di buono era già stato tracciato dal “famoso” fratello, anch’egli dimostratosi alla resa dei conti poco incline a condividere l’ideale del padre.

Un film dai toni sia delicati che grotteschi, in cui si ride, ci si stupisce di alcune trovate bizzarre, ma soprattutto si riflette e più spesso ci si meraviglia di fronte alla pura genialità del soggetto, scritto e pensato dallo stesso regista assieme  a Thomas Gunzig.

Una storia coraggiosa, in grado di regalare sorrisi ed emozioni.

Al via l’edizione 2015/16 del Cineforum di Cerea con “Il Racconto dei Racconti” di Garrone

La rassegna della stagione 2015/’16 del cineforum di Cerea si è aperta ufficialmente ieri sera con la proiezione dell’ultimo film di Matteo Garrone: “Il Racconto dei Racconti”, pellicola sulla quale, lo ammetto, avevo riposto discrete aspettative, visto non solo l’eco di notizie susseguito ma soprattutto per il fatto che ad ogni suo film, il regista romano ha sempre saputo convincermi, pur nella complessità della sua filmografia.

Qui, però, ha davvero come si suol dire “puntato in alto”, dopo i successi di critica e botteghino con il precedente (un po’ controverso a mio avviso) “Reality” e soprattutto dell’interpretazione di “Gomorra”, libro di denuncia portato al successo da Roberto Saviano.

Lo ha fatto, affidandosi a una produzione internazionale, girando per la prima volta tutto in lingua inglese e scegliendo di conseguenza quasi esclusivamente attori e attrici stranieri, con qualche piacevole eccezione. La sua è stata una sfida, perchè non era semplice riproporre alcune fiabe di un libro misconosciuto – ma in realtà assai influente – come “Lo cunto de li cunti”, di Giambattista Basile, opera scritta secoli e secoli orsono e pubblicata postuma tra il 1634 e il 1636. Lo spirito del libro, scritto quasi interamente in dialetto napoletano stretto – con traduzione italiana a fianco – era tutto sommato non dissimile dal più noto “Decamerone”, una raccolta di fiabe (ben 50, da qui il nome anche di “Pentamerone”, perchè le storie venivano narrate da 10 novellatrici in cinque giorni) dai vari significati allegorici, ma nate principalmente per soddisfare e intrattenere i sovrani nelle coorti.

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Garrone, però, nel metterne insieme tre – incentrate sul tema dell’amore visto da diverse prospettive – ha dimostrato davvero di volersi mettere in gioco, rischiando notevolmente nel cimentarsi in un genere, il fantasy, molto in voga all’estero e che gode del gradimento di un pubblico giovane, ma praticamente inedito o per lo meno inusuale per un regista italiano.

Cast internazionale di rilievo per una storia che riesce a colpire, mettendo in scena molti di quegli archetipi poi diventati necessari per lo sviluppo delle fiabe più moderne. Non era semplice, oltre a inoltrarsi in un genere che per forza di cose contempla effetti speciali, spettacolarizzazioni e componenti magiche, confrontarsi anche con un linguaggio completamente nuovo, rispetto ai precedenti film, dai quali differisce in toto. Da evidenziare gli splendidi costumi e la stupenda fotografia.  Il tentativo di affrancarsi da certi modelli di “blockbuster”, proponendo in ogni caso una pellicola di qualità, forse è riuscito solo a metà, e in questo è maggiormente da apprezzare la rivisitazione del Decamerone dei Fratelli Taviani nel recente “Meraviglioso Boccaccio” ma lo stesso mi sento di premiare con un buon giudizio questo film che, come saprete, era stato presentato con buone chances all’ultima edizione del Festival di Cannes, laddove fecero flop di riconoscimenti anche gli altri due titoli nostrani: “Youth-La Giovinezza” di Sorrentino, che vedremo su queste sale tra qualche settimane e “Madre” di Nanni Moretti. Dei tre certamente il più anomalo, “strano” e non convenzionale per la Giuria di un Festival del Cinema d’Autore, è stato proprio “Il Racconto dei Racconti” di Matteo Garrone.

Cineforum Cerea ed. 2014/’15: il mio resoconto di fine stagione

Si è concluso con “Bekas- In Viaggio per la Felicità”, invero riuscito a metà, l’appuntamento settimanale con la rassegna del Cineforum in quel di Cerea.
Per me si è trattato di un ritorno, visto che a inizio anni 2000 fui abbonato per 4 anni alla rassegna, poi lasciata per motivi più o meno contingenti.
Dieci anni dopo, essendomi nel frattempo trasferito a Cerea, dove abito da quando mi sono sposato, proprio parlandone con mia moglie Mary, abbiamo deciso di iscriverci, vista la passione comune per il cinema, che ci porta spesso e volentieri a frequentare sale e multisale, a noleggiare ancora di tanto in tanto qualche dvd, oltre che a guardare con piacere le offerte di Sky Cinema.
Il cineforum però è diverso da tutto ciò, perché contempla scelte artistiche alla base molto ragionate, andando giustamente a pescare pellicole note o meno note, ma quasi tutte in grado di distinguersi in vari Festival, manifestazioni d’essai, ecc.
Certo, non tutte le ciambelle riescono col buco, e a volte il rischio è quello di affidarsi sulla fiducia (scusate il gioco di parole) a registi già noti, i quali però possono comunque toppare ogni tanto (come è successo in questa occasione in alcuni casi), o di non saper mantenere una certa coerenza narrativa ma in fondo è bello anche per lo spettatore spaziare fra i generi e recuperare magari dei lavori che nelle sale tradizionali difficilmente passeranno.
Senza alcuna pretesa di obiettività, ecco quindi che volentieri vado a condividere le mie impressioni principali sui film visti in rassegna dall’autunno alla chiusura avvenuta la settimana scorsa. Non sono nemmeno recensioni, perché quelle le scrivevo in modo piuttosto regolare l’indomani, dopo aver visto il film (e quindi sono facilmente rintracciabili all’interno del mio blog). Raramente io e Mary ci siamo trovati in disaccordo, ma è stato bello anche confrontarci in un certo senso.

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IL MIGLIORE: La Teoria del Tutto
E’inutile, nonostante la presenza tra i titoli di film ben più acclamati dalla critica, alla fine è prevalso il cuore… Nel senso che La Teoria del Tutto, che ha messo in scena la storia vera, nemmeno troppo romanzata in fondo, dello scienziato Stephen Hawking, ci ha proprio coinvolti, emozionati, commosso, convogliando una nutrita schiera di emozioni. Il tutto, senza che ne andasse a discapito la qualità del film, non intessendo troppo la storia di sentimentalismo, dosando anzi a mio avviso egregiamente dramma, vita vera e ironia, dote da sempre riconosciuta al mitico astrofisico. Straordinario poi il giovane attore Eddie Redmayne, scelto dal regista James Marsh per interpretare Hawking, che giustamente si è guadagnato l’ambita statuetta degli Oscar come miglior attore.

SUL PODIO

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Lotta serratissima, visto che poi si tratta di due film molto diversi fra loro, ma comunque d’autore nel vero senso della parola.
Alla fine al secondo posto assoluto mettiamo lo stupendo, intenso “Father and Son” del regista Hirokazu Koreeda, sul tema delle adozioni, davanti al biopic “Jersey Boys” del grande Clint Eastwood, sulla vicenda artistica del gruppo r’n’b e soul The Four Seasons e in particolare del suo leader Frankie Valli.
Pur apprezzando Eastwood principalmente come regista drammatico (basta citare solo alcuni titoli, come “Changeling”, “Million Dollar Baby”, “Mystic River”, “Gran Torino”, “Invictus”, o il meno considerato ma a mio avviso bellissimo e toccante “Hereafter”), devo dire che ha centrato in pieno l’obiettivo di raccontare una storia leggendaria, quella appunto del magnifico quartetto vocale italo/americano, dando allo stesso tempo una fotografia in movimento degli Stati Uniti.

FILM MOLTO BUONI, DA VEDERE

Appena giù dal nostro personale podio, vanno comunque annoverati alcuni film comunque reputati molto buoni, e che ci hanno lasciato parecchie suggestioni.
A partire dall’inglese “Pride”, classica storia che riesce a colpirmi, con la sua commistione di commedia, risvolti sociali, un pizzico di musica, dramma e fatti realmente accaduti. Un film davvero meritevole, ambientato negli anni ’80, che narra la vera vicenda dell’appoggio che l’associazione “Gay e Lesbiche” diede concretamente ai minatori gallesi.
Altro film “importante” a livello proprio di tematiche generali è stato il francese “Due giorni, una notte”, sul tema del precariato e della crisi sul lavoro, con una favolosa Marion Cotillard, anch’essa entrata nel novero delle migliori attrici protagonisti ai recenti Academy Awards, dove però si è fermata alla nomination.
Ci ha diviso nel giudizio invece proprio il film che a Hollywood è stato all’unanimità votato come “Miglior film” dell’anno, quel “Birdman” di Alejandro Gonzalez Inarritu (che, secondo me, non sbaglia mai un colpo!) che ha visto rilanciarsi in qualità di protagonista Micheal Keaton, alle prese con una strepitosa prova attoriale, che lo ha fatto immedesimare nel ruolo fino quasi a entrare in simbiosi col suo personaggio. Mia moglie è però rimasta un po’ così, forse ritenendo troppo audace o urticante il messaggio del film. A me invece ha convinto su tutta la linea, proprio per la sua grande forza interpretativa e per il significato di riscatto che in qualche modo pervade tutta la storia.
Certamente di forte impatto ma forse eccessivamente duro è parso invece l’ultimo film di Saverio Costanzo: il suo “Hungry Hearts” è indubbiamente ben fatto, e richiama molti temi di discussione, come la maternità, il confine tra salute e malattia, lo stile di vita che può diventare gabbia ma rimane uno di quei film che probabilmente vanno visti una sola volta, almeno per me sarà così!
Seppur con qualche riserva, legata soprattutto a una regia e a una scenografia che ha come dato una patina al tutto, abbiamo apprezzato anche “The Water Diviner”, con protagonista Russell Crowe. Al di là dell’ottima prova dell’attore neozelandese, qui anche all’esordio come regista, e della presenza della bellissima Olga Kurylenk, a interessare è stata soprattutto la storia, una delle meno note della Guerra Mondiale, ai confini della Turchia.

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Due film che mi sono piaciuti particolarmente e sui quali nutrivo attese modeste sono stati “Jimmy’s Hall” del “vecchio” Ken Loach (uscito di sala ero molto soddisfatto, col senno di poi paragonandolo ad altri suoi film di stampo socio-politico, ammetto che sia stato inferiore) e soprattutto “Suite Francese”. Quest’ultimo non lo conoscevo, pur essendo un abbonato storico di “Ciak”; probabilmente lo avevo snobbato o forse più semplicemente avevo “perso” la recensione. Fatto sta che questo film sui conflitti (veri, della Guerra Mondiale, e amorosi, tra una cittadina francese e un ufficiale nemico) mi è entrato proprio nel cuore, grazie a un’interpretazione misurata, a un’ambientazione ottima e a un flusso narrativo che mai ha evidenziato cadute di tono, mantenendo altissima la concentrazione per tutto lo scorrere dei molti eventi.
Ho trovato positivo, oltre che molto interessante, il docu-film “Io sto con la sposa”, dove si segue il viaggio della speranza di un gruppo di extracomunitari dall’approdo disperato in Italia fino alla lontana Svezia, passando tra mille rischi e difficoltà per mezza Europa.

FILM ALTERNATIVI TRA ALTI E BASSI

Rimanendo in tema di film “etnici”, o quanto meno legati a produzioni indipendenti, alti e bassi si possono riscontrare in questo filone. Se da una parte ha convinto pienamente “Difret- Il coraggio di cambiare”, sulla condizione difficile della donna in alcuni paesi centrafricani (il fatto è ispirato a un episodio vero di cronaca, che ha segnato uno spartiacque nella legislatura di quel Paese, grazie al pesante intervento di una Avvocato dai forti valori), dall’altra ha lasciato piuttosto indifferente l’ultimo film trasmesso in sala quest’anno, il già citato “Bekas-In viaggio per la Felicità”.
Quest’ultimo è rimasto a metà del guado, sia come stile che come intento, visto che il film, se da una parte lascia un finale aperto a tante soluzioni, dall’altra si chiude troppo bruscamente, proprio quando aveva raggiunto forse il momento di maggior pathos, nel contesto di un argomento che aveva potenzialmente molti motivi di interesse, quello dell’esodo di due fratellini iracheni agli albori degli anni ’90, verso la sognata America.
Difficile da catalogare l’egiziano “Factory Girl”, visto con sottotitoli italiani, in lingua originale, nell’ambito della rassegna africana. Storia d’altri tempi, almeno per noi, una favola non a lieto fine, molto semplice nel messaggio e senza particolari richiami autoriali. Meglio sarebbe stato assistere alla biografia di Mandela, ma purtroppo quella sera avevamo un altro impegno!

LE COMMEDIE

Alcune commedie, da sempre nel “roster” del cineforum di Cerea, si sono fatte apprezzare, pur mancando nella serie di quest’anno dei pezzi grossi, come accaduto nelle mie precedenti esperienze. Godibile in particolare abbiamo trovato il francese “Barbecue”, sul senso dell’amicizia in un gruppo di cinquantenni, mentre è stato intrigante “Gemma Bovery”, anche se in questo caso, proprio sul finire gli scenari cambiano, così come il tono generale del film, al punto che viene difficile definirlo film di puro intrattenimento. Mi ha incuriosito però, e penso proprio che mi procurerò la Graphic Novel di successo da cui è tratta (ps, credo recupererò anche il romanzo da cui è tratto “Suite Francese”, visto che mi è stato caldamente consigliato da un amico fidato!).
“Meraviglioso Boccaccio” ha invece diviso i nostri gusti: a Mary è piaciuto, a me così così, perché in genere i film a episodi non mi garbano (e avendo questo a che fare con il “Decamerone” dovevo in qualche modo metterlo in conto!). Grande cast di attori ma una certa discontinuità nella resa dei singoli racconti personalmente l’ho riscontrata.

FILM SUFFICIENTI, SENZA INFAMIA E SENZA LODE

Tre film che meritano la sufficienza ma che, col senno di poi, non mi hanno lasciato granchè in termini di emozioni sono stati “Diplomacy”, film francese sulla Seconda Guerra Mondiale, “Le Meraviglie” (ammetto di non averlo capito molto, di non essere entrato nel mood del film, anche se dopo i commenti del grande Paolo Fazion, colui che presenta la rassegna e apre al dibattito, dandoci tanti spunti di riflessione e ogni volta delle chiavi di lettura nuove, la settimana successiva alla visione delle pellicole, qualcosa in più vi ho compreso, soprattutto riconoscendone una qualità intrinseca di fondo.
Altra pellicola che, per sua natura, essendo principalmente girata in piano sequenza, senza molta azione, non ha smosso molto a livello emotivo, è “Ritorno all’Avana”, forse perchè nel mio immaginario prevedevo una storia più ad ampio respiro, considerando che l’argomento è fra i miei maggiori interessi di studio. Intendiamoci, il regista Laurent Cantet, lo stesso che mi aveva travolto con il suo precedente “La Classe”, di cui mi ero prontamente procurato il dvd, ha confezionato un documento solido, intenso, mettendo in scena in pratica un dialogo lungo una notte di un gruppo di vecchi amici su una terrazza della Capitale cubana, dando così il “pretesto” per raccontare in realtà gli ultimi 40 anni della vita sociale e politica dell’intero Stato, dominato dal governo Castro. Forse proprio la struttura narrativa, tutta incentrata su dialoghi, è stata rischiosa come scelta, non era facile mantenere due ore lo spettatore attento e partecipe, fermo restando che alcuni riferimenti, ai meno appassionati di storia cubana, potevano anche sfuggire.

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FILM DELUDENTI O COMUNQUE SOTTO LE ASPETTATIVE

Ci sono a conti fatti cinque film che mi hanno deluso, lasciandomi in alcuni casi l’amaro in bocca, in altri abbastanza indifferente.
I primi due sono italiani e mi spiace constatarlo, visto che consideravo uno dei punti di forza del cineforum di Cerea proprio quello di proporre film italiani di qualità. Ma né l’innocuo “Perez.”, né tanto meno “Il Ragazzo d’oro” di Pupi Avati, a mio avviso, avevano queste caratteristiche. Mi aspettavo molto da Avati, uno dei miei registi italiani preferiti, non ho problemi ad affermarlo, ma stavolta la storia, che presentava un tema forte, come quello del talento “schiacciato” dal disagio, che poi sfocia nella follia e alla malattia riconosciuta, non è stata sviluppata al meglio, lasciandomi perplesso e sostanzialmente amareggiato.
Del francese “Sils Maria” non si può dire sia brutto, però secondo me si gira e rigira su sé stesso, non decollando mai e arrivando a definirsi quasi come claustrofobico, un meta-film, visto che tutta la vicenda ruota sulla vita di un’attrice che deve re-interpretare un suo vecchio film di successo a teatro, impersonando però un altro ruolo, cosa che le causerà una forte crisi interiore.
Il biopic “Turner” invece ha entusiasmato una fetta cospicua di spettatori, ma non il sottoscritto. Al di là della forza del personaggio, il famoso pittore inglese, ho faticato enormemente a seguirlo, trovandolo molto pesante, lungo e noioso… e sì che solitamente Mike Leigh è il classico regista “da cineforum”, sul quale andare sul sicuro.
Peggior film dell’anno a nostro avviso, è stato “Storie Pazzesche”! Forse non ero nella serata giusta, forse mi aspettavo molto, visto che era finito nella cinquina dei candidati come miglior film straniero ai recenti Premi Oscar, forse perché come detto i film a episodi, racconti non fanno per me, insomma… ci siamo a un certo punto addirittura assentati prima, senza aspettarne la fine. Il carattere estremamente grottesco delle storie, lo stile spiazzante, il linguaggio e le azioni volutamente cruenti, atte a sconvolgere il pubblico, non ha attecchito con me… Chiaro, il titolo già alludeva chiaramente che di storie fuori dall’ordinario si trattava, però niente da fare, qui ho messo la pietra sopra, anche dovesse passare fra un po’ di tempo in tv.

In fin dei conti comunque devo dire che il quadro generale è positivo, e mi ritengo sostanzialmente soddisfatto delle proposte. Certo, mi sarebbero piaciuti altri titoli inseriti, come il nuovo di Moretti, oppure quello di Olmi, per non dire di “American Sniper”, “Boyhood”, “Whiplash”… però mi rendo conto sia anche difficile accedere a così tanti titoli e bisogna ammettere che lo sforzo dei responsabili per garantire una rassegna interessante è stato grande e in questo senso ammirevole. Perciò, ci salutiamo con la promessa di rivederci più che volentieri a settembre per la nuova edizione.

E Mary scelse “Belle e Sebastien”… ottimo film!

Ieri sera Mary mi ha piacevolmente sorpreso proponendomi di vedere un film tra i numerosi che grazie a MySky Hd riusciamo a registrarci. Rincasava, come spesso le capita, dal lavoro alle 21 e solitamente è molto stanca, specie se si mette anche a recuperare alcune mansioni di casa, nonostante io continui a dirle che in fondo, da bravo marito, sarei in grado di aiutarla in alcune faccende!

Beh, ho voluto assecondarla più che volentieri, d’altronde immagino avesse bisogno di rilassarsi, lei che il divano non lo vede praticamente mai. E allora, dopo aver terminato la visione di uno splendido speciale sui miei adorati R.E.M., ecco che, dimenticandomi completamente che sarebbe iniziato anche l’atteso posticipo di serie A tra Roma e Juventus, le ho fatto scegliere fra i vari titoli, ipotizzando che avrebbe optato per una commedia leggera.

Invece Mary, pur chiedendomi conferma che non si finisse in un bagno di lacrime, ha scelto di vedere la trasposizione cinematografica del bellissimo “Belle e Sebastien”, uno dei miei cartoni dell’infanzia (lei è più piccola di me di sette anni e non credo l’avesse visto all’epoca).

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Il film lo registrai nel periodo natalizio e avevo in effetti molta voglia di vederlo ma lì per lì non seppi rassicurarla nel migliore dei modi, temendo che il film ci avrebbe potuti quantomeno commuovere, come spesso accade quando protagonisti sono gli animali, e nella fattispecie i nostri amati cagnolini.

La splendida Belle, come immagino saprete, è in realtà una cagnolona, bellissimo esemplare di cane da montagna dei Pirenei. Dapprima è tacciata di essere una belva dalla comunità montana del luogo, intenta con frequenza a sbranare le pecore dei pastori e per questo temuta e perseguitata dagli abitanti, che attendono solo di acchiapparla e ucciderla.

Il piccolo Sebastien, cresciuto senza madre che crede essere in America, al di là delle innevate montagne, presto entrerà in contatto con lei, scoprendo quanto in realtà essa sia dolce, pacifica e reagisca in modo aggressivo soltanto se minacciata e attaccata.

Ambientato nel 1943, sullo sfondo il film narra delle vicende legate strettamente all’attualità, con gruppi di cittadini ebrei che quotidianamente si troveranno scortati dai francesi del posto a valicare i monti per raggiungere la neutrale Svizzera, mettendosi così al riparo dagli ostili tedeschi. Si intersecano così le azioni dei protagonisti che ruotano attorno al bambino, da quello che crede essere lo zio che lo ha allevato, alla nipote di quest’ultimo, intenta a combattere assieme agli inglesi per difendere la sua Terra, dal medico fino a un ufficiale tedesco che si scoprirà essere poi in realtà un amico.

Sarà proprio la stupenda coppia di amici, così particolare e autentica, pura e sincera, composta da Belle e Sebastien a far compiere l’impresa a un gruppo di disperati ebrei, e al termine di questo viaggio di sola andata per i due, il bambino scoprirà anche quella che è la sua vera storia. Nel frattempo Belle sarà già diventata eroe non solo per il piccolo protagonista, ma finalmente amata da tutti, dopo che avrà aiutato il medico – che già in precedenza l’aveva curata, capendo quanto fosse in realtà buona e mansueta – a salvarsi da un branco di lupi, quello stesso che indisturbato vagava di notte per uccidere le pecore dei greggi.

Un film per nostra fortuna a lieto fine insomma, di quelli che ti riappacificano con te stessi, capace di mettere in scena sentimenti belli, di amicizia, lealtà e candore e in grado di emozionare.

 

In “The Water Diviner” Russell Crowe riscatta un’opaca prova registica con un’interpretazione ricca di pathos e amore

Ammetto di essermi apprestato alla visione dell’ultimo film di Russell Crowe (“The Water Diviner”), ieri sera proiettato al Cineforum che frequento, un po’ prevenuto. Il film era uscito nelle sale da un po’ e nel frattempo avevo collezionato tutta una serie di critiche non proprio benevole nei suoi confronti. Poi nei giorni scorsi, alle parole spesso taglienti dei recensori “di professione”, gente che scrive per Ciak, per intenderci, avevano fatto capolino anche giudizi nell’insieme poco lusinghieri anche da parte di diversi spettatori con cui condivido l’esperienza della rassegna cinematografica a Cerea.

Mettiamoci pure che non ero dell’umore giusto (condizione che, a posteriori, aveva inficiato sulla mia pessima opinione di “Storie pazzesche”, visto poche settimane prima) e direi che insomma vi erano più motivi per cui avrei rischiato di rimanere deluso.

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Invece devo dire che Crowe (detto per inciso, uno degli attori che dal Gladiatore a Beautiful Mind ha saputo meglio incarnare il top degli ultimi 20 anni di cinema) nel complesso mi ha convinto, almeno per quanto riguarda il suo mestiere principale, quello di recitare. Impegnato infatti nella doppia mansione, ad essere penalizzata è risultata soprattutto la regia, sin troppo elementare e priva di guizzi, così come alcune scelte stilistiche (che in una storia come questa sarebbero calzate a pennello se ben congegnate), tipo i numerosi flashback, resi purtroppo in maniera scolastica.

L’altro appunto che mi sento di sottolineare è la scelta di “patinare” forse troppo luoghi e volti, considerando che il film rievocava i fatti della Grande Guerra, a cui caduti e dimenticati, è dedicato interamente.

Detto ciò, via via che la narrazione procede, entra prepotentemente in primo piano la cosa che più conta, quando vado a valutare una qualsiasi opera, che sia un film, un libro o un disco, vale a dire la storia. E qui Russell Crowe è stato bravo a trasmetterne tutta la grande forza e carica emotiva, incentrando la trama sulla ricerca spasmodica (e forse idealistica) di un padre che, a mò di promessa postuma intende intraprendere un viaggio transoceanico dall’Australia alla Turchia per riportare a casa quel che resta dei tre figli andati a combattere per l’Inghilterra contro ciò che restava della cultura ottomana.

Il film diventa un vero viaggio, una scoperta, un elogio sincero e autentico alla grandezza infinita che è riposto nel cuore di un genitore nei confronti dei propri figli. Non sarà ai livelli di alcuni capolavori di Crowe, questo no di certo, ma anche stavolta l’attore neozelandese ha saputo incarnare valori profondi e universali.

Recuperato il bel film “Saving Mr. Banks” sulla genesi di “Mary Poppins, con una convincente Emma Thompson

Avevo perso purtroppo la visione al cinema di “Saving Mr.Banks”, pellicola diretta da John Lee Hancock in cui si narrava la genesi dell’immortale musical “Mary Poppins” e di come Walt Disney abbia dovuto sudare sette camicie per “corteggiare” la scrittrice Pamela Lyndon Travers affinchè gli cedesse i diritti del suo romanzo. Per fortuna mi è giunto in soccorso ancora una volta Sky Cinema con la sua copiosa e interessante programmazione e così ieri sera io e mia moglie ce lo siamo gustati sul nostro divano di casa. Un film bello, ben interpretato da attori che non hanno bisogno di presentazioni (Tom Hanks, una convincente Emma Thompson, nei panni dell’integerrima scrittrice, la piccola Annie Rose Buckley – la Travels da bimba – Colin Farrell e Paul Giamatti, quest’ultimi impegnati in ruoli “minori” ma comunque dal forte impatto emotivo, grazie alla loro risaputa bravura nel recitare).

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Pur con qualche concessione alla fantasia, in un film che in fondo ne era “inzuppato”, il regista ha saputo destare l’attenzione su un fatto vero, poichè il famosissimo inventore di Topolino mirava da tempo a realizzare un sogno: quello di fare una trasfigurazione cinematografica del romanzo “Mary Poppins”, uno dei libri preferite delle sue figliolette, sulla falsariga di altri film animati di gran successo usciti in precedenza, come “Peter Pan”. Tuttavia, l’ostracismo iniziale della Travers nel vedere trasformato il suo intento letterario in qualcosa, a suo avviso, di banale e artificioso, e la sua riluttanza a intervenire massicciamente sulla trama originale, metteranno a dura prova la convinzione e il progetto di Walt Disney e della sua straordinaria equipe di giovani sceneggiatori e musicisti. Già, il musical, quello che poi sarebbe diventato uno dei più famosi di tutti i tempi e che seriamente rischiò di non venire mai trasmesso nei cinema, visto che la Travers aveva posto il veto a canzoni e animazioni. Alla fine, nonostante qualche compromesso (come la presenza di pinguini disegnati in una scena immortale del film), anche la Travels, finirà per accettare, finanche a diventarne entusiasta, le modifiche apportate in corso d’opera dalla simpatica e talentuosa squadra. Lo farà rimettendo in gioco sè stessa, riavvolgendo il nastro della memoria, a quando era bambina nella campagna australiana, a fianco a un amorevole padre che ne segnerà l’intera esistenza. Un film davvero riuscito, emozionante, da rivedere.

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Per una volta le locandine non esagerano: “Pride” è veramente un film “magnifico, esilarante e commovente”

“Pride” è una storia (vera) bellissima e coinvolgente, vivace e colorata, dove spesso è l’ironia a tenere in equilibrio dramma e commedia, come da tradizione di molte pellicole d’Oltremanica (mi viene in mente il nome di Ken Loach, nonostante i toni qui siano a tratti maggiormente velati di humour). Candidato come miglior film nei massimi concorsi internazionali, non si può dire che abbia fatto incetta di premi, ma certamente ha colpito l’immaginario di molti, ributtandoci indietro in un contesto, tutto sommato ancora recente, ma specie in Inghilterra, già piuttosto documentato e storicizzato come quello relativo all’era Thatcher, e nello specifico la questione – che divenne annosa – della condizione lavorativa dei minatori, con loro conseguente lungo sciopero.

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Una storia che verrà riscritta, proprio in ambito sociale e politico, grazie al fondamentale e sentito appoggio di un’associazione sulla quale sembrava quantomeno azzardato scommettere, viste le circostanze in cui si è formata, la LGSM (Lesbiche e Gay Sostengono i Minatori). Guidata da un manipolo di giovani determinati e in un certo senso coraggiosi (si parla comunque di 30 anni fa esatti e a livello sociale c’era ancora tanta distanza soprattutto in certi ambienti e difficoltà nel riconoscere i diritti degli omosessuali), la LGSM riuscirà, in un crescendo di emozioni e risvolti, a compiere la loro missione, raggiungendo un obiettivo che esulava in fondo dalla mera questione economica (pur importante in simili circostanze, coi minatori non più in grado di sostenersi) e che comprendeva in special modo proprio il pieno riconoscimento sociale. Due mondi solo apparentemente lontani ma che in realtà, per motivi diversi, stavano vivendo sulla propria pelle, un forte senso di abbandono, isolamento e discriminazione. Un cast di attori davvero azzeccato, tante microstorie da seguire con attenzione e che ci sono entrate nel cuore, per un film assolutamente da vedere e rivedere. (E nella splendida colonna sonora, compaiono, oltre a splendidi inni sociali, anche band dell’epoca come i grandiosi Smiths, i Bronski Beat, i Culture Club e i Dead Or Alive!)

“Due giorni, una notte” è un film davvero intenso, che tocca le corde più profonde della nostra anima. E ci ritroviamo così a “tifare” tutti per la protagonista Sandra in cerca di giustizia!

Devo ammettere che il film “Due giorni, una notte”, scritto, diretto e prodotto da Jean-Pierre e Luc Dardenne e magistralmente interpretato dall’attrice Marion Cotillard, visto ieri durante la rassegna del Cineforum, ha saputo coinvolgermi enormemente, toccando le corde più profonde del mio animo. Non avevo grandi pretese in fondo; sì, ero a conoscenza del fatto che il film fosse stato in concorso per la Palma d’Oro a Cannes ed è risaputo la maestria dei Dardenne nello scrivere storie ad ampio raggio, in grado di trattare tematiche dalla forte impronta sociale ma pensavo che il film fosse un ritratto solo efficace ma nulla più di situazioni legate all’attualità sin troppo espresse in vari campi.

Invece mi sbagliavo, e credo che solo “Jersey Boys”, di tutt’altra fattura, lo possa sopravanzare nei miei gusti personali in questa annata di film visti al Mignon di Cerea, ma lì si tratta di un film “musicale”, e per di più ambientato nei mitici ’60, quindi per me è proprio “fuori classifica”… sono i miei preferiti!

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Ma “Due giorni, una notte” come detto ha saputo emozionarmi molto, perché un po’ mi ci sono ritrovato nella triste vicenda della protagonista. Non voglio mettere in piazza proprio tutta la mia storia, però anch’io sono andato incontro a serie difficoltà dopo aver trascorso un lungo periodo di inattività al lavoro a causa di un periodo di malattia, dopo che ero incorso in una grave sindrome da cui mi sono salvato per miracolo. Come la protagonista Sandra, anch’io al mio rientro in ditta ho dovuto “accettare” delle condizioni diverse in merito al mio impiego, a una professione che amo e che ho sempre svolto negli ultimi 15 anni, quella di educatore formatore. Un po’ per precauzione, perché venivo da 7 mesi (4 di ospedale + 3 di convalescenza e riabilitazione) di forzato riposo e un po’ in nome di una conclamata crisi che ha toccato con forza anche il settore socio sanitario, con enormi tagli dei soldi pubblici, delle Regioni e delle Ulss di appartenenza territoriale, ecco che anche a me è stato proposto un reintegro in formato ridotto rispetto alle 38 ore lavorative che abitualmente svolgevo. Scelta forse comprensibile ma lo stesso per me fu una grossa botta a livello psicologico perché anch’io, come la protagonista del film, una volta guarito e ristabilitomi, avevo ancora più voglia e motivazione di riprendere il mio posto e le mie mansioni. A distanza di un anno le cose si sono appianate, e anch’io ho sul campo dimostrato di stare meglio, di essermi appunto ripreso del tutto ma da una parte, mettendomi dalla parte del datore di lavoro, mi sono reso conto anch’io che le cose sono cambiate, che la crisi si sente e molti colleghi sono stati messi part time o i contratti in scadenza non rinnovati. Io con tutto il cuore voglio riprendermi le ore che prima mi vedevano impegnato perché ho dimostrato di essere pienamente efficiente e spero che il tempo sarà della mia parte. Nel film invece la situazione era un po’ più complessa, con le persone di un reparto costretti a scegliere se rinunciare a un bonus di mille euro al fine di poter reintergrare Sandra, da poco uscita da una forte depressione, tra i ranghi.

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Non tutti saranno d’accordo e per Sandra inizierà una sfiancante, e a tratti umiliante, corsa per cercare di convincere a uno a uno i propri colleghi a votare diversamente in una prossima riunione che deciderà appunto il suo destino. Non sto a svelare il finale del film per chi vorrà vederlo ma di certo avverrà una riabilitazione da parte di Sandra, anche se dovrà essere messa a dura prova la sua ancora fragile psiche. Un bellissimo film, davvero, per nulla retorico e anzi ancorato a una realtà che di questi tempi così difficili a livello economico, è sempre più dura e cruda.

Recuperato “La vita di Adele”, un film intenso, toccante, che parla di un amore vero

Sinora avevo sempre schivato in qualche modo l’influenza, stando attendo a non prendere freddo e adoperando le varie precauzioni. Eppure sabato scorso, nonostante le mie accortezze, di ritorno da una bellissima giornata trascorsa in compagnia di mia moglie, ecco che la mia temperatura corporea ha preso a salire. Poco male, a parte un po’ di ansia per la febbre, e a distanza di 4 giorni, finalmente mi sono riassestato, grazie a un antibiotico – tra l’altro l’unico  che riesco a tollerare, io allergico a quasi tutti i farmaci – e a giornate trascorse interamente a letto. Mi scoccia che in mezzo ci sia stato il nostro anniversario ma vedrò bene di recuperare, giocandomi la carta “sorpresa”! Eravamo andati a vedere l’ultimo capitolo della saga de Lo Hobbit, splendida epopea fantasy diretta da Peter Jackson e ovviamente tratta dal capolavoro di Tolkien, anticipatore de Il Signore degli Anelli. Poco da dire sul film, è stato assolutamente fantastico, coinvolgente, drammatico, commovente, epico. Nonostante io non sia un amante del genere, reputo questa seconda trilogia di Jackson un capolavoro, non equiparabile per lirismo alle opere letterarie dello scrittore inglese ma egualmente intensa e ricchissima di spunti di riflessione. Da vedere, noi siamo riusciti in extremis a recuperare dopo che avevamo saltato l’appuntamento dell’anteprima perchè all’epoca fu l’amico Dennis a essere colpito dall’influenza. Grande appassionato lui di tutto ciò che è tolkeniano e uno fra coloro che potrebbero davvero dare suggerimenti per un’eventuale rifacimento filmico dell’opera Silmarillion, qualora qualche impavido regista volesse mettersi all’opera in tale impresa. Avevamo visto assieme le prime parti de Lo Hobbit e ci tenevamo a completarla insieme ma il fato ha voluto diversamente. In compenso mi sono beccato pure io la febbre!

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Stando a casa ho recuperato qualche programma e film registrato grazie a My Sky in questi giorni. In particolare sono riuscito a vedere finalmente La vita di Adele, pellicola trionfatrice della Palma d’Oro a Cannes nel 2013 e che molte polemiche, oltre al plauso della critica, suscitò a causa non solo del tema (un amore lesbo tra due giovani ragazze, di cui una – la Adele del titolo – ancora minorenne) ma soprattutto per l’inserimento di alcune scene di sesso tra le due giovani attrici alquanto esplicite. D’altronde sono ormai note molte interviste in cui le due protagoniste, la splendida Adèle Exarchopoulos e Lea Seydoux, hanno dichiarato di essere state messe letteralmente sotto torchio dal regista Abdellatif Kechiche al fine di ricreare quanta più autenticità possibile. Forse troppa, se è vero che persino l’autrice del fumetto, da cui la storia è tratta, ha definito in alcuni tratti eccessivamente gratuita le presenza di suddette scene. Io dico la verità, a parte l’innegabile candida bellezza delle due giovani, sono del partito di quelli che votano no alle scene esplicite. In questo caso alcune durano veramente troppo, l’amore intenso che legava le due ragazze lo avremmo percepito lo stesso. Ma non voglio sembrare eccessivamente bacchettone e anzi debbo dire che il film merita davvero, che riesce nell’impresa di scandagliare le pulsioni più segrete e intime di una ragazza che per la prima volta avverte qualcosa che la fa sentire diversa. Prova sulla sua pelle il famoso colpo di fulmine, a cui aveva fatto riferimento durante una lezione di letteratura un suo professore, solo che nello scoprirlo, verrà a conoscenza di una parte intima di sè che prima non conosceva. Un film che parla di amore, di sentimento, di desiderio, molto poetico se vogliamo, fatto di sguardi, di gesti, magistralmente messi in scena dalle due rivelazioni del film, entrambe convincenti e dal futuro roseo. Da vedere.

“Ritorno a L’Avana”, un film sulla consapevolezza del sogno infranto chiamato comunismo. Dal regista de “La Classe”

 

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“Ritorno all’Avana” non si può certo definire un film entusiasmante, se lo paragoniamo a quelle pellicole dove vige l’azione più spinta. Qui di azione invero ce n’è poca, e nemmeno “reazione”, se ci soffermiamo su alcune riflessioni. Più che altro emerge tanta consapevolezza, insieme all’amarezza che le cose non sono andate come ci si aspettava, come era stato “promesso”. Ci  si rende conto di ciò quando forse non tutto è perduto, anche se per alcuni dei protagonisti il tempo perso irrimediabilmente non potrà essere ripreso e riportato indietro. Certe scelte, giuste o sbagliate, condizionate o meno, hanno segnato i loro destini e un plauso va soprattutto agli sceneggiatori, in grado di rendere vivace e credibile l’affresco –anche iconografico – proposto per il pubblico. Bravi gli attori nella loro espressività, a impreziosire nostalgia, rimorsi, drammi esistenziali e ricordi. Un film sul sogno del comunismo andato essenzialmente infranto, proiettato al cineforum proprio nell’imminenza dello storico accordo tra Usa e Cuba che segnerà una svolta nella vita dei cubani… Solo il tempo saprà darci risposte su come da qui in avanti cambieranno le loro vite. Probabilmente l’isola si aprirà al mondo occidentale, chi lo sa se questo sarà un bene o un male. Di certo non mi verrà da festeggiare quando saprò del primo Mc Donald’s inaugurato a L’Avana!

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