Europei Under 19 – Impresa dell’Italia che arriva in Finale sulle ali del bel gioco

Mi ero interrogato in un precedente post, alla luce di una roboante quanto sconcertante sconfitta contro il Portogallo, su quale fosse il reale valore dei nostri Azzurri impegnati all’Europeo Under 19.

Come altri appassionati di calcio giovanile, mi ero sbilanciato in più occasioni, sostenendo che questo ciclo composto quasi esclusivamente da giocatori nati nel 2004 (con qualche felice inclusione dei 2005, gente come il genoano Lipani che ha già esordito in prima squadra o l’interista Francesco Pio Esposito, capace di scalare gerarchie crescendo a dismisura nell’ultimo anno) fosse uno dei migliori espressi dal calcio italiano negli ultimi anni.

Ebbene, dopo la straordinaria vittoria (sofferta nel risultato ma assolutamente meritata) contro una sempre temibile Spagna, posso ben dire di non essermi sbagliato ad avere fiducia in questi ragazzi, allenati (è giusto dirlo, perché mi pare venga citato assai poco) da un ct veramente preparato e con grande esperienza in fatto di giovani, prima con i club e da tanti anni con le selezioni azzurre, come Alberto Bollini.

I nostri giovani nazionali esultano dopo la straordinaria vittoria contro la Spagna, che ci da’ l’accesso alla finale degli Europei Under 19 (credit foto: italyphotopress)

Abbiamo una rosa di prim’ordine, tanto da poterci permettere di lasciare a casa diversi elementi meritevoli di una maglia, da cui Bollini sta attingendo a piene mani, variando moduli e uomini a seconda degli avversari.

Sembra tuttavia che un assetto di gioco un po’ più preciso lo si abbia trovato proprio in vista della Finale, valorizzando meglio il reparto offensivo con la soluzione centrale rappresentata dal già citato Esposito sorretto da trequartisti tutta tecnica e fantasia divenuti a questo punto imprescindibili come Vignato e Hasa che stanno dimostrando anche altre doti quali la determinazione, la grinta, l’abnegazione, la capacità di assumersi responsabilità è di caricarsi la squadra sulle spalle: insomma stanno diventando calciatori veri.

Ma sono tanti i nostri esponenti che sembrano possedere doti da leader, penso anche ai romanisti Faticanti, Missori e Pisilli (quest’ultimo autore ieri sera di una partita monstre); al “chiacchierato” Ndour già al PSG che tornerà dalla squalifica in tempo per la Finalissima; ai cugini Dellavalle (uno gioca nel Toro, l’altro nella Juve, che mostrano una naturale grande intesa al centro della difesa); penso al figlio d’arte Regonesi o al sassolese D’Andrea che già ha dimostrato nella massima serie di cosa sia capace.

Ora ci attende la partita più dura, la Finale dove ritroveremo lo spauracchio Portogallo che ci ha asfaltati come detto una prima volta, e che ieri ha ribadito una grande supremazia sconfiggendo per 5 a 0 la Norvegia nell’altra semifinale.

Curiosamente proprio i lusitani, cinque anni fa, ci tolsero la soddisfazione di vincere l’Europeo under 19, sconfiggendo ai supplementari la nostra selezione composta tra gli altri da Bellanova, Frattesi, Zaniolo, Tonali, Pinamonti, Scamacca (in panchina stavano Kean e pure Carnesecchi, all’epoca secondo del promettente Plizzari, che a differenza sua, sta ancora facendo gavetta nelle serie minori). Avevamo col senno di poi – ma in fondo lo si capiva bene anche allora, visto che poi con praticamente lo stesso gruppo, sempre allenati da Nicolato, arrivammo in semifinale l’anno successivo al Mondiale under 20 – una gran bella squadra, piena di talenti interessanti.

Beh, io ripeto che gli attuali interpreti sono pure più forti, quindi di certo non dobbiamo partire già sconfitti.

Ovviamente gli avversari li conosciamo, sono molto competitivi, l’hanno già dimostrato e partono come giusto che sia con i favori del pronostico, ma nel frattempo noi abbiamo resettato quella sconfitta, siamo diventati ancora più gruppo e siamo tornati a credere nelle nostre grandi e indubbie potenzialità.

Che poi sostengo sempre che a livello giovanile arrivare primi o secondi conta relativamente, perché per prima cosa bisogna dare fiducia a questi ragazzi con i fatti, dando loro la possibilità di giocare e misurarsi in certi palcoscenici, accumulando così la dovuta esperienza.

Tuttavia è vero anche che, dopo aver di recente cullato il sogno iridato con la selezione under 20, vincere una competizione così importante come l’Europeo under 19 sarebbe un gran segnale di quanto il nostro movimento sia in piena salute.
Forza Azzurrini!

Mondiale Under 20 – Una grande Italia elimina l’Inghilterra, accedendo così ai Quarti di Finale dove incontrerà la Colombia

Grande impresa della nostra Nazionale giovanile impegnata al Mondiale Under 20.

Ieri sera gli Azzurrini guidati dal ct. Nunziata hanno eliminato agli Ottavi di Finale un avversario tosto come l’Inghilterra, battendola per 2 reti a 1, dopo che già nella fase a gironi avevano avuto la meglio sui favoritissimi brasiliani.

E’ stata un’Italia in grado di soffrire, che si è stretta bene a difesa del risultato ma che non ha lesinato sprazzi di buon gioco, al quale ci sta ben abituando durante questa importante rassegna iridata.

Qualche novità rispetto alle formazioni previste, con l’esclusione di due totem come Samuel Giovane, capitano della spedizione (ma che già era partito dalla panchina proprio nella vittoriosa gara contro i verde-oro) e il gioiello dell’Udinese Simone Pafundi, il più piccolo del gruppo (essendo un 2006) ma anche il più talentuoso insieme a Baldanzi e Casadei.

Altra grande prestazione ieri sera da parte di Cesare Casadei, autore del gol che ha permesso all’Italia di approdare ai Quarti di Finale del Mondiale Under 20credit foto: Getty Images

Finora Pafundi non aveva demeritato, anzi, aveva dato un ottimo contributo, ma probabilmente il ct. avrà voluto a mio avviso sorprendere la nazionale inglese inserendo cioè due punte pure, il riconfermato Ambrosino, fino all’esperienza dell’Europeo Under 19 indiscusso titolare nel ruolo di centravanti, e il classe 2005 Francesco Pio Esposito, entrambi abilissimi a coniugare importanti mezzi fisici con delle buone doti tecniche.

Confermato invece il centrocampo sorretto dal centrale Faticanti con ai lati Prati e Casadei, quest’ultimo sempre più dominante in tutte le fasi di gioco, e Baldanzi stabile sulla trequarti.

La difesa è il reparto dove giocoforza si è dovuti rimettere mano, essendo squalificato il leader Ghilardi.

A destra ha giocato ancora una volta l’interista Zanotti, a sinistra lo juventino Turicchia mentre in mezzo con l’intoccabile empolese Guarino si è giocato bene le proprie carte l’interista Fontanarosa, disputando un match attento, così come ha fatto il suo dovere in porta il sempre valido Desplanches.

L’Italia ha buone possibilità ora di ripetere il cammino svolto nelle precedenti due edizioni, quando in entrambi i casi ci fermammo in semifinale. Il nostro prossimo avversario sarà la Colombia, in una gara assolutamente da non sottovalutare, anche se sulla carta stavolta partiamo favoriti.

Deve essere vivido però il ricordo della sconfitta (unica finora e per fortuna indolore) subita contro la Nigeria per evitare di approcciarvisi in quel modo, quando fummo un po’ sorpresi dalla velocità e dalla qualità dei giovani africani, ieri capaci di un’impresa vera, avendo eliminato l’Argentina, un’altra compagine che legittimamente poteva nutrire ambizioni di vittoria al Mondiale.

Certo, con gente come i già citati Baldanzi (primo gol per lui ieri al Mondiale) e Casadei tutto appare possibile. 

Quest’ultimo in particolare sta facendo strabuzzare gli occhi con una serie di prestazioni sopra le righe, interpretate con autentico piglio da trascinatore: il giocatore ex Inter attualmente sotto contratto con il Chelsea è stato l’autore del gol vittoria (siglato su rigore) contro gli inglesi ed è sempre più capocannoniere della manifestazione con 5 gol segnati in 4 partite: non male per un centrocampista!

IL SOGNO MONDIALE CONTINUA: FORZA AZZURRI!

Calcio giovanile – il Bologna Under 17, la Roma Under 16 e il Milan Under 15 vincono i rispettivi campionati: ecco i nomi da tenere d’occhio!

Si sono terminati da poco i campionati nazionali di calcio maschile categoria Under 17, Under 16 e Under 15, non senza sorprese sulle proiezioni della vigilia.

Sono state partite belle, entusiasmanti e giocate a grande ritmo e intensità, con molti giocatori – sia tra i vincitori che tra i vinti – che si sono messi in luce una volta di più.

Ricordando ai lettori che, ai piani più alti dei tornei giovanili, ad aggiudicarsi il campionato Primavera è stata l’Inter ai danni di una lanciatissima Roma (primissima per tutta la Regular Season), e nell’Under 18 ha trionfato la Spal, battendo il Bologna, vediamo ora nel dettaglio come sono andati, al di là degli esiti, gli scontri decisivi che hanno visto imporsi il Bologna nell’Under 17, la Roma nell’Under 16 e il Milan nell’Under 15.

In generale viene confermato quindi l’ottimo momento di club come Milan, Inter, Roma e Bologna, ragguardevole l’exploit della Spal (che in questi anni sta regalando giocatori molto validi alle selezioni azzurre: due nomi su tutti, Saiani e Parravicini, senza scordare l’attaccante Semenza, giunto dall’Inter ma fondamentale per costruire questa grande vittoria; poco spazio invece per l’ex bambino prodigio Pietro Tomaselli, scartato dalla Roma un anno fa), mentre hanno deluso a livello di risultati (pur mostrando ottime individualità) altre big del movimento giovanile italiano, come Atalanta, Empoli o Juventus.

UNDER 17

Iniziando dal campionato Under 17 (con protagonisti ragazzi nati nel 2005), se i pronostici sorridevano più all’Inter di mister Tiziano Polenghi – capace di battere in una super-semifinale la forte Roma dei vari Bolzan, Marazzotti, Ienco e Graziani – alla fine a prevalere è stato il Bologna, la cui crescita dal girone di ritorno è stata esponenziale.

Sul campo i ragazzi guidati dall’allenatore Denis Biavati hanno mostrato sin da subito di potersela giocare contro i più quotati (almeno sulla carta) nerazzurri, dando vita a una finale avvincente: basti pensare che l’Inter dopo soli 12 minuti si trovava già in doppio vantaggio (splendida la doppietta dell’ex Renate Thomas Berenbruch), per poi subire nello stesso lasso di tempo (però dal 32° st al 44° st) la grande rimonta del Bologna.

Al di là delle singole giocate tecniche, che pure ci sono state, la gara è stata vinta dai felsinei a centrocampo, trascinati da un Lorenzo Menegazzo in stato di grazia e qui autore di una fantastica doppietta, coadiuvato dai “soliti” Manuel Rosetti e capitan Ferrante.

E’ stato proprio nella zona nevralgica infatti che si è assistito a grandi duelli, considerando che pure gli interisti in quel settore abbondano di talento, potendo contare su un trio di assoluto livello formato dal nazionale Luca Di Maggio, il già citato Berenbruch e il figlio d’arte nonchè capitano Aleksandar Stankovic (ricorderete probabilmente anche il fratello Filip, di tre anni più grande e anch’egli già protagonista come portiere dell’Inter, reduce quest’anno da un buon prestito al Volendam).

Un po’ in tutti i reparti comunque l’Inter appariva attrezzata, nell’affidabile coppia difensiva centrale composta da Guercio e Stante (quest’ultimo praticamente aggregato all’Under 18), nel trequartista Tommaso Ricordi e negli Azzurrini che hanno preso parte allo sfortunato Europeo Under 17: Di Maggio, Quieto e Francesco Pio Esposito (fratello minore del talentuoso Sebastiano e di Salvatore, che di recente ha esordito nella Nazionale A agli ordini di Mancini).

Il Bologna lungo tutto il campionato ha messo in vetrina altri giocatori di sicuro avvenire, come il forte difensore Saer Diop, il trequartista Cesari e l’attaccante Ravaglioli, pure lui a segno nella finalissima e meritevole di citazione anche per essere della classe 2006, quindi in pratica ha giocato da sotto età.

Per il Bologna è stata un’annata davvero ottima, se pensiamo appunto che anche l’Under 18 è arrivata in finale – poi persa come detto contro la Spal -, avvalendosi di campioncini come l’attaccante Antonio Raimondo e il difensore Amey (entrambi già esordienti in serie A, con quest’ultimo capace di macinare record: più giovane esordiente assoluto in A, e più giovane a giocare una partita da titolare sempre nella massima serie).

L’affermazione dei ragazzi bolognesi assume particolare valore se pensiamo che l’ultima vittoria a livello di Under 17 risale a più di vent’anni fa, quando allenati da un certo Stefano Pioli, i vari Meghni, Loviso, Terzi, Claiton e Della Rocca sconfissero, nel lontano 2001, nella finale del campionato “Allievi” i rivali della Roma, in cui all’epoca giocavano tanti futuri professionisti come Aquilani, Ferronetti, Corvia, Galasso, il portiere Paoloni (noto soprattutto poi per vicende extracalcistiche) e il povero difensore Andrea Servi, che ci ha lasciato prematuramente nel 2013.

Concludo il momento amarcord, andando ancora più a ritroso nel tempo per trovare un Bologna vincente, stavolta nella categoria “Giovanissimi” (l’attuale Under 15); era il 1989, i ragazzi in campo erano nati nel 1974, e ad allenarli vi era un giovane mister (che, come Pioli, sarebbe poi arrivato su panchine prestigiose in serie A): Davide Ballardini.

Contro il napoli del baby bomber Baglieri (anche per lui in seguito una buona carriera da goleador di provincia), i rossoblu si imposero per due reti a zero, sospinti in campo da autentici gioielli come il terzino Traversa – che da lì a poco sarebbe stato acquistato dal Milan -, Pepè Anaclerio, che collezionò anche un buon numero di presenze in carriera con la prima squadra del Bologna, e Graziano Lorusso, gran centrocampista che due anni dopo giocò un Mondiale Under 17 insieme a gente come Del Piero, Eddy Baggio, Della Morte, Sartor, Moro, Birindelli, Giraldi, Sereni… ebbi modo di raccontare la vicenda di Lorusso su questo blog: lasciò presto il calcio per motivi personali, sentendo forte il richiamo della Fede e da diversi anni ormai è diventato sacerdote.

Di quella “colonia pugliese” trapiantata nel capoluogo emiliano – oltre ai citati Anaclerio, Lorusso e Traversa- faceva parte anche Giuseppe Campione, che pareva il più bravo di tutti, tanto da debuttare in serie A con il Bologna a soli 15 anni e 10 mesi: una carriera lanciatissima, stroncata da un terribile incidente, in cui perse la vita a soli 21 anni.

UNDER 16

Scendiamo di uno scalino, dal punto di vista anagrafico, e veniamo al campionato nazionale Under 16 (con protagonisti i ragazzi del 2006). Come scritto in apertura il titolo è andato ai giovani giallorossi della Roma guidato da Falsini, ex calciatore tra le altre di Verona e Parma.

La finale andata in scena contro il Milan di Ignazio Abate è stata una vera battaglia, con i capitolini in grado di imporsi solo ai tempi supplementari grazie a un colpo di testa dell’attaccante mancino Nardozi.

Non si può certo trattare di una sorpresa in toto, ma in ogni caso i pronostici sembravano rivolgersi soprattutto ai rossoneri (tra le cui fila vorrei sottolineare almeno i nomi di Scotti e Mancioppi, entrambi fanno parte della Nazionale italiana Under 16), e lo stesso Falsini ha ammesso che alla vigilia del campionato pochi avrebbero scommesso su una vittoria della sua Roma.

Eppure, a onor del vero, bisogna riconoscere la grande crescita dal punto di vista tecnico (ma anche fisico) di un gruppo di ragazzi che hanno saputo giocare “da squadra”, senza primedonne in campo; tanti di questi poi giocano assieme da quando avevano 12 anni: penso a Mirra, Ceccarelli, Guglielmelli, lo stesso Nardozi, senza dimenticare quel Mattia Almaviva a cui un certo Francesco Totti aveva simbolicamente passato la fascia di capitano, mettendogliela al braccio, nel giorno del suo addio al calcio.

Ecco, proprio Almaviva è l’esempio lampante di un giocatore cresciuto sotto ogni punta di vista, laddove la tecnica pura non gli è mai mancata; in questa stagione ha agito spesso da primo riferimento offensivo, lui che non ha certo le caratteristiche del centravanti, eppure in ogni caso – un po’ da falso nueve – alla fine è riuscito a imporsi e a dare un grande contributo.

Mi aspettavo una maggior partecipazione attiva in questo campionato del già citato Guglielmelli, perchè a mio avviso, fino a qualche anno fa, non dico sembrasse di un’altra categoria rispetto ai compagni ma di certo svettava grazie a uno strapotere fisico e atletico. Probabilmente deve ancora trovare una precisa collocazione tattica, ed essere meno individualista di quanto non fosse da bambino, quando in un certo senso poteva “permettersi” di andare in porta con la palla, grazie alle sue indubbie qualità tecniche.

Al gruppo storico, cui fa parte anche il forte portiere De Franceschi, occorre citare altri grandi protagonisti della cavalcata giallorossa: gente come Feola, Tumminelli e, soprattutto, Plaia e Mannini, sovente utilizzati (anche da titolari) con la Roma Under 17.

UNDER 15

Il Milan, pur sconfitto di misura a livello di Under 16, ha coronato una stagione straordinaria, aggiungendo allo Scudetto dei “grandi”, quello vinto dai ragazzi dell’Under 15, nati nel 2007.

I rossoneri, guidati dall’allenatore Roberto Bertuzzo (c’era lui in panchina anche quando il Milan vinse l’ultimo suo scudetto nella categoria “Giovanissimi”: era il 2009/10 e tra i piccoli campioncini figuravano i futuri professionisti Cristante, Pinato e Petagna), hanno vinto ben oltre l’1 a 0 finale ai danni della Fiorentina.

Senza togliere meriti ai piccoli viola, in cui spiccano il portiere Vannucchi e l’attaccante Maiorana (facenti parte entrambi della Nazionale Under 15), se c’è una squadra che per tutto l’arco della stagione ha meritato, per continuità e qualità del gioco espresso, quella è proprio il Milan, sorretto da pilastri come il capitano Emanuele Sala (che eguaglia così il fratello Alessandro, classe 2001, anch’egli vincente con le giovanili del Milan e ora alla Pro Sesto in serie C, quest’anno salvatosi dopo aver vinto i playout), il centrocampista Perin, il difensore Colombo e i due assi offensivi Mattia Liberali (fantasista/attaccante, stella anche della Nazionale Under 15) e Francesco Camarda, autore del gol-scudetto.

Proprio a quest’ultimo va la copertina dell’intera stagione: centravanti classe 2008, quindi più giovane di un anno rispetto ai compagni e agli avversari, gioca con una grinta, una personalità e una classe assolutamente rare a questi livelli, ed è considerato l’ uomo dei record del vivaio milanista, avendo segnato sinora nella sua esperienza in rossonero qualcosa come 400 gol!

Il futuro è tutto dalla sua parte, come si spera quello di tanti altri nomi incontrati in questo articolo: diamo la possibilità a questi ragazzi di coltivare il proprio sogno, solo così potremo avere tante nuove soddisfazioni anche in chiave azzurra!

L’ex viola Cristiano Piccini protagonista con la nuova maglia dello Sporting Lisbona: classico esempio di giovane promessa del calcio italiano non valorizzato in Patria

Cristiano Piccini è uno di quei giocatori a cui non è mai stata data una vera chance di dimostrare il proprio valore in serie A. All’estero invece si sta raccogliendo diverse soddisfazioni e il suo nome è senz’altro noto tra gli innamorati della Liga.

Già, perchè il terzino destro – tra un mese venticinquenne – dopo essere cresciuto nella Fiorentina, lui nativo proprio della città capoluogo della Regione Toscana, dal 2014 si è messo all’attenzione generale, divenendo pedina insostituibile nello scacchiere bianco verde del Betis Siviglia. Acquistato quando la società militava in Segunda Division – quasi per “sbaglio” verrebbe da dire, visto il blasone del club – è stato tra i veri protagonisti della promozione, sfoderando prestazioni superbe da motorino instancabile sulla fascia destra, in possesso pure di due ottimi piedi.

La fine della corsa sembrava coincidere con un serio infortunio e conseguente operazione al crociato ma Cristiano non si è mai abbattuto, la società e l’allenatore hanno sempre creduto in lui e lo hanno aspettato. Risultato: subito titolare una volta ristabilitosi dal brusco stop e pronto a stupire anche nel massimo campionato spagnolo.

Dopo 3 anni splendidi a Siviglia, molte squadre si sono interessate a lui, soprattutto militanti nella Liga ma anche in Premier. Ovviamente in A nessuno c’ha pensato, e d’altronde bisogna tornare ai tempi di Livorno nel 2013, unico anno vissuto da titolare nella massima serie italiana per ricordarlo tra i talenti più promettenti in un ruolo così carente di interpreti validi alle nostre latitudini.

Lui che a soli 18 anni aveva debuttato in A agli ordini di Mihajlovic nella “sua” amata Fiorentina, squadra con cui nelle giovanili aveva vinto uno scudetto Allievi e una Coppa Italia Primavera (ricordo che vi giocavano fra gli altri anche il centrale difensivo Camporese, il mediano figlio d’arte De Vitis, il trequartista Carraro – ormai perso per il grande calcio ma che di quella compagine, e più in generale della leva calcistica dei ’92 era un vero big, e le punte Matos e Iemmello) ma che poi, secondo nostra consuetudine, ha cominciato la girandola dei prestiti, partendo “ovviamente” dalla serie C.

in campo con lo Sporting Lisbona

Fu Joaquin, all’epoca tornante viola, a consigliare a Piccini di tentare fortuna in Spagna al Betis, sorta di squadra del cuore per il nazionale spagnolo (e infatti poi i due si ritroveranno compagni di club nel 2015) e il suo pronostico non fu certo sbagliato.

Sirene spagnole e inglesi a parte, alla fine il terzino italiano, che negli anni 80 avremmo definito fluidificante, è stato acquistato dalla forte squadra portoghese dello Sporting Lisbona (ancora bianco e verde nel destino di Cristiano!), dove si sta imponendo da titolare in questo primissimo scorcio di campionato, lasciando le briciole al suo pari ruolo (e vecchio conoscente della nostra serie A) Ezequiel Schelotto. Non ce ne voglia l’ex interista (che debuttò pure da oriundo in Nazionale sotto la guida di Prandelli ai tempi in cui giocava nell’Atalanta), ma Piccini è proprio di tutt’altra pasta, il suo talento è innegabile e non è detto che Lisbona sia solo un’altra tappa del suo percorso calcistico, di una carriera che potrebbe davvero prendere il volo.

Piccini vince il duello sulla fascia con il madridista Marcelo

E’ l’Inter la squadra giusta per Gagliardini?

Quella mia del titolo non è una provocazione… In questi giorni di calciomercato, la domanda più insistente è se Gagliardini sia o meno l’uomo giusto per il centrocampo dell’Inter.

Gagliardini in un'azione contro la Roma. Una delle sue migliori prestazioni in serie A

Gagliardini in un’azione contro la Roma. Una delle sue migliori prestazioni in serie A

Io provo invece a rivoltare il quesito, chiedendomi se l’Inter possa rappresentare il trampolino di lancio definitivo per il ventiduenne cresciuto nelle giovanili dell’Atalanta.

Non me ne vogliano i tifosi nerazzurri della Beneamata, ma mi sorge questo dubbio alludendo al fatto che le risorse che il club sta mostrando di avere (con acquisiti e relativi pesanti ingaggi di gente come Kondogbia, Candreva, Joao Mario, Perisic…)non collimino poi con un reale progetto tecnico.

La bussola sembra finalmente avere trovato un uomo guida adeguato in Pioli, che pare tutt’altro che un traghettatore, ma in un progetto tecnico che non miri solamente a strappare il talentino di turno alle concorrenti, o peggio a volere emulare il rinnovato spirito Made in Italy che poco si addice alla squadra milanese, come viene considerato l’inserimento dell’atalantino?

E’ risaputo che uno dei problemi tecnici dell’Inter sia il fatto che manchi un regista in campo, figura tuttavia in estinzione nel calcio moderno, ma di vitale importanza qualora si trovasse l’uomo giusto.

Quell’uomo che non è il combattivo Medel (tra l’altro uno dei migliori da due anni a questa parte), nè il falloso Felipe Melo, nè il talentuoso Brozovic, portato più a muoversi in campo, così come il sinora deludente Banega, l’argentino che forse lascerà il posto libero proprio a Gagliardini.

Cercando di ricostruire a livello tecnico un profilo veritiero del talento bergamasco, tutto verrebbe da dire tranne che si tratti di un organizzatore di gioco. Ha indubbiamente piedi buoni, uniti a un fisico notevole e a lunghe leve con cui riesce a “spaccare” la partita con le sue incursioni. Non è velocissimo ma intelligente tatticamente, sa appoggiare bene l’azione, vede il gioco, sa inserirsi bene negli spazi e ha una buona tecnica sia di destro che di sinistro.

Una sorta di Pogba italiano, investitura alquanto pesante tra il serio e il faceto da parte del tecnico Gasperini.

Un quadro impeccabile, a leggerlo così. Niente di cui stupirsi, se si avesse visto Gagliardini negli anni delle giovanili dell’Atalanta, con cui spesso indossando la fascia di capitano, guidava letteralmente i compagni, agendo prevalentemente da mediano o da interno, sempre comunque nel vivo dell’azione, con tanti palloni che passavano dai suoi piedi.

Un giovanissimo Gagliardini capitano nelle giovanili dell'Atalanta

Un giovanissimo Gagliardini capitano nelle giovanili dell’Atalanta

Stupiva piuttosto che negli anni immediatamente successivi al termine dell’iter giovanile, non avesse mai mostrato segni concreti delle sue qualità, spesso finendo relegato in panca nei prestiti di Cesena, La Spezia e Vicenza.

Avrà inciso una maturità non ancora conseguita, ma credo abbiano influito anche aspetti ambientali in seno a quelle squadre, in uno Spezia composto da nomi importanti per la categoria (e perennemente alla ricerca del gran salto in A) e in un Vicenza alle strette per non retrocedere. Mi aspettavo qualcosa in più invece nel suo anno a Cesena, il primo da professionista, una squadra che solitamente ha fiuto per i giovani talenti, per quanto acerbi possano essere giungendo direttamente dalla Primavera. Qui per dire, solo pochi mesi fa mostrarono le loro grandi doti i suoi attuali compagni Kessie e Caldara (come lui da tempo ormai in orbita Big italiane ed europee), ma anche Ragusa e Sensi che ben si stanno destreggiando in A col Sassuolo.

Gagliardini invece ha saputo imporsi soltanto con l’intervento di Gasperini, che ha mostrato di puntare su di lui, parlandone quando ancora il suo nome era sconosciuto ai più e dandogli fiducia con i fatti, proprio nel momento più critico della squadra, all’epoca non era in grado di mettersi in carreggiata.

Non solo per merito suo, ma certamente anche per la sua freschezza, la sua voglia, la sua motivazione e la sua qualità, l’Atalanta ha poi fatto quello che tutti abbiamo visto: risultati, vittorie – spesso dando spettacolo, trascinando letteralmente il pubblico e gli appassionati sull’onda di un entusiasmo contagioso – grandi exploit fino a un fisiologico rientro nei ranghi, dall’alto comunque di una posizione in classifica invidiabile per una compagine che a inizio stagione mirava solo a salvarsi il più in fretta possibile.

Non si sa quale sarà il futuro degli orobici senza il suo faro… e non si sa bene se in un club come l’Inter, prestigioso, in crescita, ma pur sempre in “subbuglio tecnico”, Gagliardini saprà dare il suo contributo.

Certo, la sua ascesa ha del clamoroso, con Ventura che ha contribuito quasi al pari di Gasperini a lanciarlo, convocandolo in Nazionale sin dalle prime positivissime apparizioni in serie A.

Anche Ventura ci vide giusto, convocando in tempi non sospetti Gagliardini in Nazionale

Anche Ventura ci vide giusto, convocando in tempi non sospetti Gagliardini in Nazionale

Il dubbio è se sia il calciatore a voler bruciare le tappe, o il calcio italiano tutto ad avere questo proposito, nella speranza che emerga e spicchi una generazione in grado di far voltare pagina a tutto il movimento.

Tecnicamente non pare un’eresia il voler affidarsi a un nucleo italiano, perchè i fatti stanno dando ragione a club come il Milan – che si sta ricostruendo grazie a una forte componente tricolore – la stessa Juventus pluricampione d’Italia (che sta dando sempre più spazio a gente come Rugani e Sturaro) o Torino e Sassuolo, che forti di avere in organico alcuni tra i migliori nostri rappresentanti in assoluto, stanno trovando una nuova dimensione.

L’investimento che l’Inter intende fare sul giocatore potrebbe sembrare eccessivo sulla carta, ma non se tu presupponi di aver acquistato un calciatore che potenzialmente è tra i migliori della sua generazione. In fondo a distanza di un anno e poco più si può ancora imputare al Milan di aver buttato via i soldi per un giovane come Romagnoli? Io dico di no, e mi pare che anche la Juventus non sia andata al risparmio per assicurarsi Caldara e Orsolini.

Insomma, la parola ora spetta al campo e, nel caso dell’Inter, sarà Pioli a dover giostrare al meglio tutto il potenziale di cui dispone da metà campo in su.

Appello alle big italiane: non fatevi scappare il talento di Riccardo Saponara

Non è la prima volta che mi sbilancio su questo blog o in articoli vari sul talento di Riccardo Saponara.

Il trequartista dell’Empoli ha 25 anni, quell’età che certifica – casi persi a parte, vedi Balotelli e compagnia – come la maturità tecnica di un calciatore sia ormai acquisita.

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E Riccardo ne ha dovute già passare di traversie, soprattutto dal punto di vista fisico, giacchè da quello tecnico sin da giovanissimo aveva messo in mostra doti tali da poter fare la differenza ovunque, prima di essere considerato a ragione l’uomo simbolo del calciomercato, almeno per quanto riguarda gli italiani.

Purtroppo i sostenitori “pigri”, quelli che seguono solo le cronache domenicali, hanno negli occhi l’opaca stagione vissuta in un’altrettanto carente situazione generale al Milan, preludio della deriva attuale, che vede il Diavolo partire da posizioni declassate nella griglia di partenza della nuova serie A.

Proprio da lì invece, da quella manciata scarsa di gettoni messi assieme da Ricky in rossonero, è partita, forse iniziata sul serio, la sua rincorsa ai vertici del calcio nazionale.

Afflitto da problemi fisici, spesso in infermeria, non ha saputo mostrare ciò di cui è capace, per un infortunio che in qualche modo ne compromise pure un Europeo Under 21 che in quell’edizione poteva davvero puntare al bersaglio grosso, forte di individualità quali Gabbiadini, Paloschi, Insigne, Immobile, Verratti, Florenzi e, appunto lui, Saponara.

In origine, quando ancora giocava a Ravenna, mostrava meraviglie in campo sulla fascia, fino a far spendere paragoni eccellenti con il portoghese Figo, che gli consentirono di bruciare le tappe fra i coetanei e di attirare l’attenzione di club più prestigiosi.

Se lo aggiudicò l’Empoli, da sempre attenta a nutrire il proprio vivaio, e con gli azzurrini toscani da subito Saponara fu in grado di prendere la leadership di un gruppo molto ben amalgamato e costruito, con gente come l’amico del cuore Tonelli, Angella, Pucciarelli, Signorelli e il meno fortunato Guitto, purtroppo perso nelle categorie minori.

Uno scudetto Primavera sfuggito solo in finale di un soffio, ma sirene della prima squadra ormai dirette su di lui, che in campo ama giocare con numeri sulla maglia non propriamente da attaccante o da fantasista (principalmente il 5 o l’8).

Gli infortuni non tarderanno ad arrivare ma per fortuna nemmeno le gioie, tanto che i vari allenatori che siederanno in prima squadra, all’epoca in B, compatti gli daranno fiducia, fino ad affidargli le redini del gioco.

Sarà Sarri a spostarlo in modo definitivo dall’esterno al centro del campo, in una posizione di raccordo, sempre più in estinzione, cioè colui che agisce dietro le due punte e davanti a un altro play, quell’anno Valdifiori, più vertice basso. Insomma, in soldoni, un 10, merce assai rara appunto nel calcio d’oggidì.

La consacrazione, con un campionato di B da protagonista in cui tra gol, delizie e assist si contraddistinse come il calciatore copertina di tutta la cadetteria, giunse al termine della stagione 2012/’13 quando si fece avanti il Milan.

Come detto, l’approccio con una maglia così pesante, e il passaggio dalla B di (sana)provincia al palcoscenico della A in uno stadio glorioso come San Siro non fu facile, ma come d’incanto, tornato a indossare nel gennaio 2015 la maglia empolese, Riccardo tornò a fare con naturalezza quello che già aveva mostrato anni prima. Una tecnica sublime, una visione di gioco ottima, una padronanza del ruolo, dietro le punte, sempre più solida, per uno score niente male: 17 presenze e 7 reti.

Sarri, decisivo in questo scorcio di stagione nell’imporlo come trequartista titolare alla conquista di una splendida salvezza in serie A, l’avrebbe portato con sè già il suo primo anno a Napoli, proprio nel momento in cui tutte le big del calcio italiano si stavano accorgendo di essere davanti a un talento ormai del tutto sbocciato, ma ancora giovane e con margini di miglioramento.

In particolare la “solita” Juventus sembrava aver già chiuso la pratica acquisto, opzionandolo, ma alla fine il presidente toscano Corsi decise di trattenerlo, confidando in una sua ulteriore crescita, con una conferma fragorosa nella massima serie.

Lo scorso anno, nemmeno per un attimo, fece capolino in lui la delusione per non essere passato a una big, anche perchè col nuovo tecnico Giampaolo, e una rosa ancora più giovane e da svezzare, le cose cominciarono subito a filare bene per gli empolesi. Tanti i nuovi virgulti lanciati in orbita dal neo tecnico, anch’egli desideroso di un rilancio in panchina: Paredes, Zielinski, Buchel, Pucciarelli, Barba… Su tutte però, furono le quotazioni dei campioncini del vivaio a impennare, gente come Tonelli e il nostro Saponara, ormai sì pronti a seguire le orme dell’ex compagno Rugani, volato 12 mesi prima in una grande, la Juventus.

Non a caso Sarri già a inizio mercato fece i loro nomi per rinforzare l’organico del suo Napoli, dopo la splendida stagione scorsa. Il difensore, ambito anche dalla Roma, andrà in effetti a riabbracciare uno dei suoi mentori già nella prima settimana di sessione estiva, mentre a tutt’oggi, ovvero passata la prima metà di agosto, il “termine” suggerito dal presidente Corsi nei confronti di possibili acquirenti di Saponara, il fantasista è ancora un giocatore dell’Empoli, che nel frattempo ha visto già salutare l’allenatore Giampaolo, oltre che Zielinski e Paredes.

Tantissime le squadre che hanno tentato un approccio con la società toscana, ma nessuna in grado di sopperire alla richiesta di partenza indicata per trattare una cessione: 15 milioni di euro.

Il Bologna sembra non poter competere a questi livelli, la Sampdoria pure, nonostante la spinta di Giampaolo che lo riterrebbe ideale come pedina in mezzo al campo, specie dopo la partenza di Soriano al Villarreal.

La Juve dopo i botti (Higuain, Pjanic, Dani Alves, Pjaca, Benatia) sembra aver placato il suo appetito, anche se un po’ di qualità sulla trequarti, dopo l’addio di Pogba non guasterebbe; l’Inter appare ai più esterofila, e lo stesso Milan timidamente sembrava voler ridare una chance al suo ex giocatore, salvo poi ripiegare su un giocatore meno costoso, più anziano e meno decisivo come Sosa.

A Empoli molti compagni di squadra, a partire dal big Maccarone, si sono esposti affinchè rimanga, e la scelta a inizio ritiro di prendersi la maglia numero 10 sembrava aver fatto desistere il giocatore a partire.

A questo punto, posto che molto probabilmente ad Empoli non vogliono smettere di stupire nemmeno col nuovo corso targato Martusciello, credo che Saponara meriti davvero arrivato al top della carriera di cimentarsi in un club dalle ambizioni più alte, che sia in Italia o all’estero. Da noi ad aver messo sul piatto un’offerta ufficiale è stato il Sassuolo, società che non sbaglia un colpo e in cui avrebbe terreno facile per inserirsi, grazie al tipo di gioco propositivo e moderno del suo tecnico Di Francesco, e soprattutto per la stima di cui gode presso lo staff tecnico.

Tuttavia sono le squadre straniere ad avere più disponibilità economiche in questo periodo storico. Hanno chiesto informazioni su di lui il Leicester di Ranieri – che però nel trionfale anno appena trascorso, con tanto di Premier League in saccoccia, giocava con un 4-4-2 piuttosto rigido – e in Spagna squadre come il Villarreal (che ha già pescato da noi i due “tedeschi” Soriano e Sansone) e il fortissimo Atletico Madrid, ormai una certezza in Europa. Lì recentemente ha floppato di brutto Alessio Cerci, ma Riccardo Saponara a mio avviso ha una personalità meno complessa dell’ex torinista, e soprattutto più umiltà e determinazione, che a questi livelli fanno la differenza.

Mi dispiacerebbe vederlo andar via dall’Italia, perchè sono convinto che potrebbe essere molto utile anche in contesti grandi.

Secondo me la Juve – a parte che Allegri sembrava non vederlo di buon occhio al Milan, ma in fondo si diceva lo stesso del suo rapporto con Pirlo… – farebbe un affare ad accaparrarselo. Anche perchè, pur in una rosa di assoluto livello, a mancare è proprio un trequartista, un giocatore in grado di legare i reparti, dispensando tutta la qualità di cui lui è invece in possesso.

Federico Macheda, un talento ritrovato grazie al boom di Birmingham, ora ripartirà dal Cardiff

 

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Federico Macheda è pronto a giocarsi una grande chance di tornare protagonista a certi livelli grazie al Cardiff City, la squadra gallese appena retrocessa dalla Premier League. Tuttavia qui ci sono solide basi per un progetto, e soprattutto il fatto che l’attaccante italiano ritroverà uno dei suoi mentori, quel Ole Gunnar Solskjaer, ex Manchester Utd come lui, che tanto lo apprezza dai tempi in cui l’ex laziale deliziava il pubblico che assisteva alle partite delle “riserve” dello United. L’ex bandiera ai tempi di Ferguson è uno dei più promettenti allenatori d’Inghilterra e ha già speso parole d’elogio nei confronti di Kiko che, dopo gli esordi folgoranti con la maglia dei Red Devils (come dimenticare il suo gol decisivo all’esordio in prima squadra quando non era ancora maggiorenne, sollevando l’entusiasmo dei più navigati compagni e di tutti i tabloid inglesi?). Di acqua da allora ne è passata sotto i ponti e Federico, pur continuando a godere della stima dell’ambiente e di Ferguson non si è confermato a certi livelli, fallendo clamorosamente con le maglie di Qpr, Sampdoria e Stoccarda (mai a segno con queste maglie in campionato) fino al ridimensionamento avvenuto l’estate scorsa col passaggio alla matricola Doncaster Rovers in Championship.

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Qui la parziale rinascita (3 gol in 14 partite) ma soprattutto una ritrovata condizione fisica – atletica e una rinnovata fiducia nei propri notevoli mezzi tecnici che hanno sancito la sua piena affermazione col passaggio a gennaio nella più prestigiosa Birmingham City. Qui Macheda ha fatto letteralmente la differenza, segnando con una regolarità spaventosa, ben 10 reti in 18 gare, divenendo stella della squadra e idolo indiscusso della tifoseria. A 22 anni non è troppo tardi per riprendersi palcoscenici importanti, e lui possiede molte doti che agli inglesi piacciono, prime fra tutte la determinazione e la voglia di lottare.

Focus giovani italiani: tre storie molto diverse. Falco della Juve Stabia, Lussardi ex Inter, ritiratosi a 21 anni e la nuova sensazione Daniele Guglielmi, a 15 anni titolare in serie C.

Oggi voglio porre l’attenzione sulle vicende recenti di tre giovani, giovanissimi protagonisti del calcio italiano, dedicando queste righe in un sabato “casalingo” causa piccolo malessere influenzale. Meglio prevenire che curare, o meglio, dovrei fare entrambe le cose e lo farò, di certo non voglio rischiare di buscarmi un febbrone da cavallo, viste le precedenti esperienze. Chiusa la parentesi autobiografica, volevo scrivere di tre ragazzi che sono saliti alle cronache (poche, perchè purtroppo di giovani non se ne parla mai abbastanza e, peggio, quando lo si fa, spesso è a sproposito).

Comunque sia, inizio dal più “famoso”, o meglio dal più esperto: Filippo Falco, talento cresciuto nel florido vivaio del Lecce, un tempo nemmeno remoto capace di partorire ben 2 scudetti consecutivi a livello Primavera. Una squadra fantastica, quella agli ordini di Rizzo, composta da Pellè, Camisa, Agnelli, Rosati, Rullo e altri che avrebbero meritato maggior fortuna, su tutti l’attaccante esterno Italo Mattioli e Alessio Carteni, che ebbi il piacere di intervistare

PELLEeCALAMAIO ospita Alessio Carteni, classe ’85, vincitore di due scudetti Primavera con la maglia giallorossa del Lecce

Ora i tempi sono cambiati ma la politica del Lecce è quella di forgiare giovani campioni, indipendentemente dalla categoria in cui si trova (sembra che però finalmente dopo due stagioni tribolatissime, il trend sia finalmente cambiato in modo favorevole). Tra gli ultimi fuoriusciti di una buona nidiata, quelli tra il ’92 e il ’94 vanno segnalati i buoni esordi tra i pro del fantasista Falcone, già buon protagonista a Lanciano un paio d’anni fa, Rosafio, Malcore, il più giovane di tutti Di Mariano, un funambolo dalle doti tecniche evidenti, passato di recente a completare la sua maturazione nel vivaio giallorosso, ma della Roma.

Ma il più pronto, il più talentuoso in assoluto sembrava davvero Filippo Falco, ribattezzato con poca fantasia, a dire il vero “il Messi del Salento”. Ai tempi di Maradona c’era anche qui l’epigono, trovato in Miccoli, tornato come da sempre desiderava, a casa per chiudere la carriera proprio nel capoluogo salentino.

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Falco ovviamente non potrà mai avvicinarsi alle vette di colui che vorrebbe in qualche modo ricordare, per modo di muoversi, dribblare e per l’uso del mancino, ma almeno le qualità per approdare nella massima serie ci sono tutte, e l’ottimo impatto avuto nella sua nuova squadra, la Juve Stabia è stato a dir poco esplosivo, basti guardare che razza di gol ha segnato su punizione contro il favorito Spezia. Falco che in precedenza aveva stentato a mostrare le sue doti, una volta lasciato Lecce e un esordio in prima squadra da 27 presenze condite da 2 gol,  prima a Pavia (dove comunque aumentò il suo bottino, mettendo a referto 8 gol in 29 partite), poi a Reggio Calabria, in una squadra di blasone ma impelagata in una stagione nata male. Ora a Castellammare di Stabia, pur in un contesto di classifica a dir poco deficitario, può fungere da uomo decisivo, da jolly capace di svelarsi quando meno te lo aspetti.

Sempre a Pavia è transitato per poco tempo il suo coetaneo Andrea Lussardi, ex giovanili fra gli altri dell’Inter che lo aveva prelevato a sua volta giovanissimo dal Piacenza. Tornante vecchio stampa, ala classica dai piedi buoni, pronto al dribbling alla bisogna ma soprattutto felice pedina tattica per ogni allenatore, ha cominciato purtroppo presto a manifestare anomalie cardiache, emerse pubblicamente col senno di poi. Sporadiche le sue presenze, tra problematiche fisiche, una volta rientrato a Piacenza da professionista, mentre a Pavia nel 2012 fece un buon campionato da titolare, anticamera purtroppo del canto del cigno, giunto non del tutto inaspettatamente, dopo la stessa identica sorte toccata a un altro ex grande giovane talento interista, Felice Natalino.

Felice Natalino si ritira dal calcio giocato a 21 anni: ripercorriamo la sua storia

Un peccato davvero per questa promessa del calcio italiano, capace di arrivare anche a vestire le maglie della nazionale giovanile azzurra, fino all’Under 19.

lo sfortunato Lussardi, costretto a lasciare il calcio per problemi cardiaci

lo sfortunato Lussardi, costretto a lasciare il calcio per problemi cardiaci

E se vogliamo parlare di autentiche promesse, nella giornata che ha visto finalmente debuttare positivamente dal primo minuto in serie A il predestinato portiere dell’Udinese Scuffet, votato miglior portiere al recente Mondiale Under 17 giocato quest’estate, non posso proprio evitare anch’io di spendere qualche meritatissima parola sull’enfant prodige del calcio italiano: Daniele Guglielmi, difensore centrale ormai titolare del Barletta, Lega Pro, prima divisione, ex serie C/1 per capirci, classe… 1998!

Ebbene sì, questo è un giovane non da tenere d’occhio…  ma da prendere assolutamente. Gli amici cronisti pugliesi – ne ho diversi per motivi personali, visto che la mia ragazza è originaria della provincia di Foggia  🙂 – me ne parlano come di un giocatore già pronto sin dal debutto, con una personalità e una maturità incredibili per un quindicenne qual era all’epoca del suo recente esordio. Stazza da granatiere a dispetto della giovanissima età, sguardo timido ma che non tradisce emozione, gara dopo gara si sta misurando contro attaccanti navigati per la categoria e finora è riuscito a domarli tutti con maestria e sicurezza, in un ruolo assai cruciale e delicato, dove non contano solamente le doti tecniche. Poi che accadrà, fermo restando ovviamente che dovrà confermarsi partita dopo partita in un campionato impegnativissimo? Andrà come pare scontato, in una big italiana che gli farà completare tutto l’iter giovanile? Ricordo che quest’anno i ragazzi che chiuderanno il ciclo della categoria Primavera sono i ’95, quindi di 3 anni più vecchi di Guglielmi. Che farà, 3 anni di settore giovanile dopo un anno da titolare in serie C a 16 anni? Io mi auspicherei un passaggio almeno in B, per continuare a crescere, salendo di categoria e testandosi con giocatori ancora più validi ed esperti. Ma le logiche italiane in fatto di calcio giovanile, a me, che pure per passione e per lavoro, seguo con particolare interesse da tanti anni, ancora talvolta sfuggono!

Guglielmi, baby prodigio classe '98

Guglielmi, baby prodigio classe ’98

Crisi Lazio: e se per uscirne si provasse a far giocare i giovani migliori? Cataldi, Tommaso Ceccarelli e Rozzi sono forse peggio di Perea e Vinicious?

Si fa un gran parlare delle esternazioni di  Barbara Berlusconi in merito alla presunta spesa mal gestita da parte della dirigenza negli ultimi anni in casa Milan. Soldi spesi, ma in malo modo, traducendo in modo schietto. Ogni allusione a Galliani è stata ben raccolta e spedita al mittente.

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Anche in casa Lazio le polemiche si sprecano, e la panchina di Petkovic, tecnico rivelazione della passata stagione, ora appare traballante. Ma davvero si possono così banalizzare le crisi di due grandi di casa nostra? A mio avviso le radici dei problemi sono riconducibili a fattori più lontani, da un ridimensionamento in atto da diversi anni, finora compensato dalla bravura dei tecnici, da un pizzico di fortuna (che, per carità, solitamente va in soccorso degli audaci) e dalla forza di un gruppo di giocatori in grado di trascinare e tirare la carretta. Rose ridotte all’osso per qualità, soprattutto se riferite al blasone e alla storia di queste due squadre.

Della Lazio poi, da due anni, vado a scrivere che la coperta è sin troppo corta, e ieri l’allenatore biancoceleste mi ha fatto quasi tenerezza quando gli hanno chiesto come mai continui a cambiare formazione …  lui ha candidamente risposto che non gli è stato possibile materialmente mantenere l’ossatura della sua squadra. Che poi il problema della Lazio, a mio avviso, è proprio questo: da due/tre anni giocano sempre gli stessi, le alternative latitano e i rincalzi non paiono all’altezza dei titolari. Se poi big riconosciuti come Klose e Hernanes giocano col broncio o risultano poco efficaci, ecco che la giostra per forza di cose comincia a girare a fatica.

Anche nell’ultimo mercato, Lotito e Tare, che hanno il merito di aver riportato la squadra a buoni livelli, dopo le sbornie dell’era Cragnotti, non sono riusciti a trovare giocatori in grado di non far sopperire alle assenze dei titolari. Prendiamo ad esempio il reparto avanzato, dove alla fine dei conti il più affidabile vice- Klose appare il “vecchio” riciclato Floccari, più che l’acerbo Perea, con un talentuoso Felipe Anderson ancora alle prese con i postumi di un grave infortunio e in ogni caso di difficile collocazione tattica nello scacchiere del mister. Altre “scommesse” come quelle legate a Vinicious appaiono parecchio azzardate nel contesto di una serie A più competitiva rispetto a 12 mesi fa.

Con una formazione Primavera capace di ottenere risultati straordinari negli ultimi due anni (una finale persa contro l’Inter due anni fa e una trionfale vittoria ottenuta quest’anno), era necessario acquistare a peso d’oro stranieri magari promettenti ma tutti da vedere nel contesto della serie A?

Per carità, non dico che si possa vincere solo con i giovani di casa, o costruire le vittorie sulle spalle ancora troppo strette di acerbi talenti, ma almeno si potrebbero rimpolpare le rose con gli elementi migliori, altrimenti che senso ha dominare a livello giovanile senza raccogliere i frutti alla prova del campo?

Nella Lazio ad esempio gente come Cataldi, mezz’ala trascinatore l’anno scorso in Primavera – e che ora è titolare a centrocampo nel sorprendente Crotone di Drago – non poteva fare comodo? Leggendo un commento della stellina Tommaso Ceccarelli, uno che nelle giovanili faceva davvero la differenza e che ora sta ben figurando in Lega Pro alla FeralpiSalò, mi sono ritrovato d’accordissimo con la sua affermazione riguardo proprio il giovane colombiano Perea?

il fantasista Tommaso Ceccarelli, fenomeno nelle giovanili laziali, ora sta deliziando i palati fini della Lega Pro, alla Feralpisalò... ma meritava una chance tra i "grandi"!

il fantasista Tommaso Ceccarelli, fenomeno nelle giovanili laziali, ora sta deliziando i palati fini della Lega Pro, alla Feralpisalò… ma meritava una chance tra i “grandi”!

Senza mettere in dubbio la forza dell’attaccante neo laziale, Ceccarelli si chiedeva se davvero questo fosse più forte di lui stesso o dell’altro astro nascente delle giovanili biancocelesti, quel Rozzi che ora sta facendo divertire i sostenitori della cantera del Real Madrid! Semplici constatazioni, ma sembra veramente che, a parità di talento (e Ceccarelli e Rozzi ne hanno tantissimo!), vengano sempre privilegiati i ragazzi stranieri, forse perché un nome esotico può fungere da volano per una tifoseria “disattenta” diciamo così. Nomi esteri da dare in pasto a tifosi che chiedono alle società di muoversi sul mercato. Tutto legittimo e valido, se  corroborato dai risultati, ma vanificato spesso dalla prova del campo. E, ripeto, il mio è un discorso generale, magari Perea a fine anno sarà stato uno degli uomini-rivelazione della serie A, però sono del parere che bisognerebbe dare più spazio e possibilità ai giovani, specie quando c’è da costruire qualcosa, da recuperare. Non affidare in toto, altrimenti il rischio di “bruciare” anche quelli più bravi diventerebbe concreto, ma confidare nell’apporto, nell’entusiasmo e nella motivazione e voglia di emergere dei migliori potrebbe essere una soluzione adatta e low coast per uscire da certe sabbie mobili. Anche perché, quando lo si è fatto, ad esempio l’anno scorso utilizzando sempre di più il promettente centrocampista Onazi (classe ’94), protagonista nelle giovanili laziali l’anno precedente sconfitto solo in finale, i risultati sono stati soddisfacenti, visto il buon rendimento offerto dal colored nigeriano (già Nazionale nel suo Paese), sempre tra i migliori anche in questo inizio di stagione.

 

Felice Natalino si ritira dal calcio giocato a 21 anni: ripercorriamo la sua storia

nata

Il giovane difensore calabrese (classe ’92) Felice Natalino dice addio al calcio giocato. La notizia era nell’aria: da tempo purtroppo le voci riguardo le sue condizioni fisiche non erano confortanti, e così ci ha pensato lui con un innocuo ma al contempo commovente tweet a ridestare attenzione su una vicenda che ha colpito tutti gli appassionati di calcio giovanile, ma non solo, perché il calciatore che aveva debuttato assai precocemente in prima squadra nell’Inter per tanta gente era molto più di una scommessa su cui puntare. Su questo blog in tempi non sospetti avevamo iniziato a seguire la sua vicenda e nel corso dei mesi quel post rimase tra i più letti, e tuttora detiene il record assoluto di visite in un solo giorno (il 9 febbraio furono ben 1181)

https://giannivillegas.wordpress.com/2012/11/08/giovani-talenti-che-fine-ha-fatto-felice-natalino/

No, niente a che vedere con coloro che si “perdono” presto per strada, per coloro che, giunti nel mondo del professionismo del pallone, non ne assecondano ritmi, stili di vita e maturità a più livelli, niente sfacciataggine o comportamenti poco irreprensibili. Da questo punto di vista il crotonese era proprio immune a simili “pericoli”, essendo in possesso di tante doti riconosciute e che aveva mostrato nelle sue pur brevi esperienze da calciatore “vero”:  era serio, atletico, ben strutturato, si impegnava molto, si sacrificava, non aveva vizi particolari. Però aveva pure un cuore “ballerino” e alle prime importanti esibizioni emerse con forza il problema di una seria aritmia, elemento certo da non sottovalutare. In prestito al Verona, dopo i buoni esordi in maglia Inter, dove pareva un predestinato, visto come affrontava gli allenamenti e seguiva con personalità le disposizioni tattiche in allenamento e in gara, non riuscì mai in pratica a giocare,causa un cavillo burocratico. L’allarme era già scattato, coi primi accertamenti, le visite specialistiche, la giusta e normale apprensione. Poi il ritorno nella natìa Crotone, ma nemmeno in quel contesto Natalino potè emergere, e non certo per limiti tecnici. A questo punto la notizia sui suoi problemi di salute era già rimbalzata da più parti, e l’Inter fu magistrale nel sostenere il ragazzo, soprattutto a livello psicologico, non facendogli mai mancare supporto, fiducia, assistenza. I tempi passano inesorabili, i mesi si rincorrono ma il rientro pare sempre più lontano. Nel 2013 Felice comincia seriamente a fare i conti con sé stesso e con la sua vita, ma già immagina un responso che a quel punto gli farà meno male del previsto, avendo vissuto sulla propria pelle poco prima un peggioramento delle funzioni cardiache che lo costringerà a farsi trasportare d’urgenza in elicottero per scongiurare guai estremamente peggiori.

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Così, notizia di poche ore fa, ecco l’annuncio di un ritiro precoce ma doveroso, per sé e per le persone che più gli vogliono bene: con la vita non si può scherzare, specie quando si ha 21 anni e le risorse per poter emergere in altri mille ambiti. Lo ha capito per primo lui stesso, che si è sempre fidato ciecamente del giudizio dei suoi medici che da anni lo seguono, tanto da non prendere nemmeno in minima considerazione l’ipotesi di andare all’estero dove probabilmente (i casi di Fadiga e Kanu, tra l’altro curiosamente ex interisti entrambi) avrebbe ottenuto il nulla osta dai medici locali per disputare gare di livello agonistico, riprendendo così una vera carriera. Una carriera che in Italia era iniziata prestissimo, partendo a 15 anni da prodigio difensivo del Crotone in direzione Inter, dove in poco tempo divenne una stella nel contesto di uno squadrone (lo stesso pool di giocatori che avrebbe messo le mani su scudetto Primavera e Next Generation, per capirci). Nazionale giovanile di categoria, disputò da stella conclamata un buon Mondiale Under 17, in una squadra che vedeva presenti anche Perin, El Shaarawy, Fossati – con cui spesso duettava in mediana, zona che occupava saltuariamente ma con grande maestria – De Vitis, Carraro e altre giovani promesse come lui.

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Abile soprattutto da terzino incursore, nonostante i centimetri potessero indurre qualche allenatore a schierarlo in prospettiva pure da centrale difensivo, faceva della velocità e della leggiadria nei movimenti le sue armi migliori; come detto in Nazionale capitava di vederlo anche come perno centrale in mediana,  con licenza di muoversi e di inserirsi, sempre grazie alle sue doti atletiche. Un peccato che tante belle premesse siano state disilluse così presto, ma a Felice non possiamo fare altro che augurare una buona vita e tante soddisfazioni anche al di fuori del mondo del calcio. D’altronde lo ha scritto lui stesso, la vita vale molto più di ogni altra cosa e comunque il ricordo vivido di aver giocato a fianco di campioni come Eto’ o (immortalato nella foto postata a completamento del suo intervento su twitter) rimarrà sempre con lui.