Chi mi segue da più tempo nel blog avrà imparato a conoscere le mie passioni più grandi, che in questo spazio personale e totalmente libero ho sempre cercato di assecondare, ma allo stesso tempo si sarà pure capito che, causa principalmente i vari impegni, non sono solito soggiornarvi quotidianamente.
D’altronde PELLE e CALAMAIO non è una testata giornalistica, nonostante dia ad ogni pezzo qui pubblicato la stessa valenza e dignità di quelli che invece scrivo per le riviste e i siti con cui collaboro. Anzi, a maggior ragione, essendo questo un blog mio al cento per cento, ci tengo a offrire un servizio fatto bene ai miei lettori o a chiunque passasse di qui anche per caso.
Periodicamente ad esempio mi piace dedicare alla musica italiana, parlo di quella in genere fuori dai grossi circuiti, una particolare attenzione, indicando i nomi degli artisti che più mi hanno colpito, o i titoli che ritengo meritevoli di essere scoperti o quanto meno ricordati.
Ovvio, non posso “accontentare” tutti quelli che mi contattano in varie forme per avere una recensione o anche più semplicemente un parere, e credo che una selezione vada sempre messa in conto e sia doverosa farla, ma come ripeto sempre se qualcosa riesce a colpirmi, il modo poi di metterlo in luce lo trovo, anche dovesse trattarsi di una segnalazione.
È il caso di sette album che ora andrò di seguito ad elencare, lavori molto differenti tra di loro ma in egual misura in grado di contenere più di un elemento di interesse.
In alcuni casi si tratta di album che da tempo ho in stand-by e che per un motivo o per un altro non sono riuscito a trattare prima, e in maniera più approfondita, ma non essendo quello del giornalista il mio principale lavoro giocoforza i tempi di pubblicazione si possono dilatare.
Detto ciò, e scusandomi per la lunga (e magari per molti pleonastica) premessa, ecco quindi sette dischi di artisti italiani che consiglio di ascoltare, appartenenti come anticipato a galassie musicali differenti.
KREKY – TIME RUNS OUT
Il primo nome è quello di KREKY, cantautore sardo con già all’attivo diverse pubblicazioni, la cui musica guarda con ammirazione ad epigoni a stelle e strisce, creando così un ponte tra Italia e USA e in maniera quasi inconsapevole trasmettendoci al contempo un senso di appartenenza a dei luoghi magari lontani geograficamente ma vicini per affinità di spirito.
Nella sua ultima fatica, intitolata “Time Runs Out” il Nostro fa i conti con il tempo che inesorabilmente passa e induce domande e riflessioni, intessendo il tutto di chitarre ora ariose, ora distorte e vagamente rabbiose, senza mai far prevalere però quella sorta di nichilismo che le liriche potrebbero suggerire.
Il fantasma del Boss riecheggia qua e là ma a me Kreky, per la qualità interpretativa e l’innata capacità melodica ricorda più da vicino una band che amo, i Counting Crows. Ascoltate una ballata come “Friday” per credere!
PUAH – DUE ACCA HHO
Cambiamo totalmente scenari e attitudini con l’artista che segue, il cui vero nome è Alessandro Pagani, che per il suo esordio solista dopo varie esperienze non solo come cantante, ma anche come batterista e discografico, ha scelto di farsi chiamare PUAH (acronimo che sta per Piccola Unità Anti Hi-fi)
Mettendosi all’ascolto del disco “Due acca HHO” si rischia di rimanere quanto meno spiazzati, travolti da liriche a tratti ermetiche, quando non proprio nonsense, e da musiche ondivaghe che spesso e volentieri sul più bello, quando credi di essere stato in grado di catturarle, decidono di cambiare direzione, lasciandoti pieno di punti di domande. Ma in fondo è proprio questo che rende queste dieci composizioni affascinanti, perché dopo lo straniamento iniziale, ti accorgi invece di come sanno sorprenderti.
È un indie volutamente sghembo, lo-fi per definizione (e punk nell’indole, a partire dall’urticante copertina) ma certamente ben congegnato (e per nulla raffazzonato) quello di Pagani, una sorta di manifesto programmatico “contro” la musica di facile consumo.
Tra minimalismo, esperimenti, art-pop e vocazione cantautorale, Puah ti fa entrare in una centrifuga di suggestioni, riuscendo anche ad emozionare in un brano delicato come “Noè”.
GIOVANNI LUCA VALEA – CANZONI
GIOVANNI LUCA VALEA è un artista a tutto tondo, arrivato forse tardi alla musica ma che proprio con essa pare aver trovato il modo ideale di esprimersi, facendo confluire al meglio le sue inclinazioni più naturali.
Scrittore e poeta in origine, e quindi abile ovviamente con le parole, abbinando ad esse la forma musicale sente di poter valorizzare al meglio il suo messaggio, che si tratti di temi esistenziali come di trasmettere istanze sociali. Non a caso il suo ultimo lavoro si intitola “Canzoni” a rimarcare questa nuova espressione da coltivare. E pazienza se il canto sembra al momento passare in secondo piano, quasi se l’azione declamatoria facesse parte del suo dna; in fondo basta ascoltare episodi salienti come l’evocativa “La Costellazione del Cane”, “Principessa” o l’iniziale “James Dean” per coglierne un senso di urgenza e di autenticità.
RAESTA – FUOCO DI PAGLIA
L’Ep “Fuoco di paglia” di RAESTA sa catturarti appieno sin dalle note trascinanti e vivaci di “Ehi monsieur”, lasciandoci una piacevole sensazione di novità e freschezza.
Sono in tutto cinque pezzi ma ognuno di essi ti mostra una sfaccettatura diversa, a livello in primis di sound e attitudine, senza mai però far deragliare il lavoro, disperdendone energia e compattezza.
Il comune denominatore del disco è infatti dettato dalla personalità del giovane cantautore, che al brio unisce anche profondità e spessore in un brano come “Ragazzi marsigliesi”, la cui atmosfera rimanda agli anni settanta, seppur ottimamente attualizzati, o nella conclusiva “Pop Corn”, il cui titolo è fuorviante, considerata la nota malinconica che lo contraddistingue.
ANTONIO CLEMENTE – CASAVACANZE
Il nome di ANTONIO CLEMENTE non è nuovo su questo blog, perché al cantautore genovese (siciliano d’origine) avevo già dedicato uno scritto ai tempi dell’interessante “Ai confini del giorno”. D’altronde trovai la sua proposta musicale non solo vicina ai miei gusti personali ma proprio ricca e suggestiva in ogni sua traccia, e questo “Casavacanze” non fa altro che confermare quelle piacevoli sensazioni.
Qui si da’ libero sfogo ai ricordi, alla nostalgia, all’ebbrezza del desiderio, al fascino del tempo che passa, portando asperità ma soprattutto consapevolezze.
Un brano-manifesto dell’intera opera parrebbe essere “La mia casa”, che racchiude molti significati e sa inchiodare all’ascolto, ma all’interno vi si trovano tante scintille di qualità (“Notte di Giugno”, “Parlami di te” fra queste), grazie a un tessuto sonoro assolutamente variegato e multiforme che denota un ulteriore salto di qualità di Clemente, sempre più a suo agio alle prese con una canzone d’autore che non vuole inseguire fantasmi o imitare pedissequamente i più grandi.
PAOLO ZANGARA – SCUSI, DOV’È IL BAR?”
PAOLO ZANGARA ha rappresentato per me la grande sorpresa di questa prima parte dell’anno: il suo album di debutto, o meglio il suo primo pubblicato con tanto di nome e cognome “Scusi, dov’è il bar?” ha davvero un fascino d’altri tempi e sa rapirti abbinando tante componenti tutte importanti e funzionali per l’ottima riuscita del progetto.
Artista navigato, con all’attivo molteplici esperienze e collaborazioni, mai come in questo lavoro ha saputo estrarre l’anima da cantautore lasciando da parte per una volta quelle tentazioni sperimentali che tanto hanno caratterizzato il suo percorso precedente.
Sin dalle notturne e soffuse note di “Silenzi irrequieti” si coglie il senso profondo di un’opera che non teme di scomodare mostri sacri della canzone italiana come Luigi Tenco o Piero Ciampi, ma il disco si sintonizza presto su scenari più morbidi e placidi, come accade in “Dall’altra parte del mare” o nella jazzata “Parole”. Un album volutamente retrò, fuori dal tempo, ma che diventa un ascolto necessario anche oggi, nel 2024!
MARIA MAZZOTTA – ONDE
Infine, ci tengo a spendere qualche riga per un disco “italiano” ma che nell’anima e nel cuore sa guardare molto più al di là di stretti confini.
Quella dell’artista salentina MARIA MAZZOTTA è da sempre musica che rifugge i generi e le definizioni.
È arte allo stato puro, voce sontuosa ed espressiva che si sposa con melodie intense ed eterogenee. “Onde” mette in mostra le qualità che sono riconosciute unanimemente alla sua autrice, quella capacità di dare linfa alle parole e innestarle in un contesto etnico dove le matrici del folk e del rock creano il terreno fertile per un sound in tutto per tutto moderno e contaminato.
Si tratta di un album davvero trascinante, pieno di ritmo e colori, ma anche di dolcezza (come in “Damme la manu”) e pathos (nella struggente “Terra ca nun senti”).