Alla scoperta di Valerio Bruner, autore di “Vicarìa”, album dai pregevoli spunti letterari e musicali

Tra i tanti dischi che mi capitano di ascoltare me ne giungono alcuni che, in ordine temporale, sono usciti diverso tempo fa, il che renderebbe difficile per me poi recuperarli ai fini di una recensione; tuttavia, come dico sempre, la buona musica non ha una scadenza, e soprattutto se ascolto delle canzoni è per il puro piacere di farlo, non necessariamente quindi legato poi al fatto che ne dovrò scrivere da qualche parte.

E di musica, anche buona grazie al cielo, ne viene realizzata molta ancora oggi, e capita quindi di “sfruttare” questo blog per andare a segnalarla, come nel caso di oggi, visto che il personaggio in questione, e il lavoro che ha realizzato, merita assolutamente di essere conosciuto.

Valerio Bruner è un artista napoletano trentaseienne che vanta una lunga esperienza non solo in ambito prettamente musicale, visto che è impegnato ad esempio anche nel teatro, ma che in special modo proprio grazie alla magia delle sette note ha saputo coltivare e miscelare diverse passioni e inclinazioni, costruendosi una via personale, uno stile che diventa presto riconoscibile, basta davvero mettersi all’ascolto dei suoi lavori, purtroppo non così facilmente reperibili ma dei quali si può comunque trovare traccia.

Credit foto: Arianna Di Micco

Il suo ultimo disco in ordine di tempo è anche il suo progetto più compiuto, quello dove si è riappropriato pianamente delle sue radici: “Vicarìa” prende il nome dall’omonimo quartiere della sua città, dove è cresciuto, una zona di Napoli in qualche modo dimenticata, di confine non puramente geografico ma più che altro fra quella parte più rinomate e l’altra, quella non più “alla moda”.
Ed è proprio agli ultimi, ai più emarginati, a quelli che non vivono sotto i riflettori che Bruner ha sentito l’esigenza di dare voce, di dare dignità.

Avendo soggiornato spesso e volentieri a Londra – che ritiene in qualche modo speculare alla sua Napoli, città dalla quale sente talvolta di “fuggire” per poi farne inevitabilmente ritorno, come ne fosse inestricabilmente richiamato – e avendone assorbito le istanze culturali e artistiche, gli è venuto naturale interpretare in lingua inglese i suoi primi dischi, tutti significativi non solo per i contenuti importanti ma anche per la pregevole ricerca musicale, all’insegna di un rock ruvido, trascinante e suggestivo al tempo stesso.

Pensiamo quindi al suo esordio discografico assoluto, segnato da “Down the River” (2017), cui hanno fatto seguito due progetti incentrati sull’universo femminile (“La Belle Dame”) i cui proventi furono destinati all’Associazione Le Kassandre che si occupa del tema ahimè sempre drammaticamente attuale della violenza sulle donne.

Tuttavia per valorizzare appieno il suo nuovo progetto, l’artista, nelle cui vene scorre il rock di mostri sacri come Bruce Springsteen e il fuoco irruente del punk, Bruner ha optato per la lingua napoletana, anche rifacendo dei classici della musica internazionale, rendendoli oltretutto in maniera assai credibile.

Dotato di una voce graffiante ed espressiva, Valerio Bruner, rinnovato il sodalizio con il valente musicista e produttore Alessandro Liccardo – il quale ha composto le musiche del disco su testi dello stesso Bruner, oltre ad aver suonato le chitarre – ha così amalgamato le sue due anime, una più europea e l’altra legata alla sua Terra, realizzando un’opera assai interessante, tra rock, folk, blues e la canzone d’autore.

Credit foto: Arianna Di Micco

L’album è stato presentato una prima volta il 26 maggio scorso presso lo Spazio Comunale Forcella e il 5 giugno in un concerto presso il Carcere di Secondigliano per un gruppo  di  detenuti  di  alta  sicurezza, un’esperienza per lui unica e molto emozionante.

In “Vicarìa” hanno suonato i fidati Antonio Castaldo al basso e Alfonso Capone alla batteria e collaborato nomi prestigiosi quali la grande Brunella Selo nell’intensa “Tutto e niente” (davvero riuscita la commistione delle due voci) e Marilena Vitale, che ha scritto “Ya No Me Voy”, versione in portoghese della già nota “Sempe Ccà”, una delle canzoni più significative del lotto.
Il brano infatti era stato scritto due anni prima da Valerio Bruner in memoria dell’amico Mario Paciolla, giovane cooperante ONU scomparso in circostanze misteriose in Colombia. “Sempe Ccà” faceva parte di un progetto più ampio, fungendo da colonna sonora per il film documentario “Come fuoco”.

Nel momento di mettere nero su bianco il nuovo disco (pubblicato per l’etichetta indipendente napoletana Santa Marea Sonora Records), Valerio ha voluto comunque inserire in coda alla scaletta il brano in questione, in chiave acustica e come ghost track.

Detto ciò, andando più a fondo con la presentazione del lavoro, a colpire sono le intense liriche e la giusta alchimia tra musica e parole di quei brani inediti posti invece in apertura, vale a dire “Priavamo a Dio” – davvero suggestiva e in grado di trasmettere emozioni tangibili all’ascoltatore – e “Core Mio”, altrettanto coinvolgente, esempi lampanti del talento narrativo e poetico del Nostro.

Il rock torna vivido e pulsante in “Carne ‘e Maciello”, mentre reminiscenze folk ammantano la morbida “Ave Maria” che fa da preludio a “Maronna Nera”, ottimo rifacimento della celebre “House of the Rising Sun”, in cui Bruner mostra ottime doti interpretative e vocali.

Nell’album quest’ultima è inserita in versione live, così come le seguenti “Napule Chiamma”, cover di “London Calling” dei maestri Clash, gruppo a cui Bruner deve indubbiamente molto per la sua formazione, e “Arraggia ‘E Chi Nun Vence Maje (Hey Hey, My My)”.

Credit foto: Arianna Di Micco

“Vicarìa” mette in mostra quindi tutto il valore del suo autore, che tra le pieghe di queste canzoni sembra essersi svuotato, avendo riversato tutto se stesso: è un lavoro vivo, autentico, passionale, che giunge con forza lanciando un messaggio di speranza, ammonendoci di non volgere lo sguardo da un’altra parte quando vediamo chi sta realmente in difficoltà. Perché nonostante la società sembra volerci imporre per forza solo determinati modelli vincenti, è giusto ricordare che esiste un popolo che non si riconosce in quei valori spesso artificiosi e che ogni giorno combatte non solo per affermarsi ma proprio per condurre in porto al meglio la propria vita.

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