Le belle collaborazioni pt.5: “Indie For Bunnies”, webzine musicale in continua crescita

Con il mondo dei blog e delle riviste digitali ho iniziato molto presto un rapporto che si è fatto via via sempre più stretto, dandomi modo oltretutto di assecondare la mia indole con grande autonomia e libertà d’azione.

Mi affascinava non poco l’idea di aprire qualcosa di mio in cui potermi esprimere e dare libero sfogo alle mie più grandi passioni, nella fattispecie la musica e lo sport; il calcio in particolare è stata a lungo la mia principale “materia” in fatto di scrittura, visto che cominciai a collaborare appena maggiorenne con il mensile “Calcio Dilettante” per passare poi tra i ranghi del mitico “Guerin Sportivo” sotto la magistrale gestione di Matteo Marani e dell’altro bel mensile “Il Nuovo Calcio”.

Insomma, se siete miei lettori avrete capito come poi ho sviluppato questo piccolo grande desiderio facendolo diventare realtà.

La musica, dicevo, almeno come argomento giornalistico, venne dopo, anche se in realtà una prima esperienza in tal senso, oltretutto entusiasmante direi perché condivisa dei carissimi amici ai tempi dell’università (Riccardo Cavrioli, Fabrizio Massegnan, Nicola Poffo, Claudio Rizzi), avvenne già nel 1998, quando debuttai a Radio Popolare Verona come co-conduttore di un programma sulla musica inglese (“L’impaziente inglese”, così battezzato giocando sul titolo di un celebre film dell’epoca e alludendo al contempo all’abitudine tipica di quelle parti di attendere sempre la next big thing in grado di rinverdire certi gloriosi fasti).

Già quello fu un modo importante di entrare a far parte di questo mondo, visto che iniziai a girare per concerti, intervistare tanti artisti e gruppi, specie quelli di passaggio nella mia città (Verona) e a conoscere tanti nomi più o meno illustri tra appassionati e addetti ai lavori.

Ebbi l’opportunità di realizzare in parte un piccolo sogno, quello di diventare giornalista musicale, e il bello appunto era che lo stavo condividendo con amici come Riccardo Cavrioli, il cui nome ricorrerà di nuovo più avanti.

La musica per me ha iniziato molto presto ad essere un affare “serio” e se è vero che in famiglia se n’è sempre ascoltata tanta, regalandomi il cosiddetto imprinting, devo dire che poi ho intrapreso una mia strada personale, sia per quanto riguarda gli ascolti, sia per come appunto ho cominciato a “viverla”, divenendo già in adolescenza un assiduo e curioso ascoltatore, consumatore di dischi e divoratore di riviste e libri musicali.

Certo, non era facile in tempi pre-Internet (soprattutto se come me si proveniva da un piccolo comune di provincia) entrare in contatto con certa editoria, tanto che il classico “romanzo nel cassetto”, guarda caso ambientato in contesti musicali, lo scrissi già durante gli anni dell’università, precisamente nel 1998 ma rimase appunto “fermo” addirittura fino al 2010 quando proprio grazie alla Rete e al fiorire di blog a tema riuscii a contattare la casa editrice (Nulla die di Massimiliano e Salvatore Giordano) che poi avrebbe messo il proprio marchio sia su quel mio primo vagito letterario – che intitolai “Verrà il tempo per noi” – sia nei libri successivi.

Alla luce di quanto detto, pertanto, ripensando ai giorni della radio mi pareva difficile cominciare a collaborare con qualcuna di queste riviste.

Sto divagando troppo lo so, fatto sta che poi sarebbero arrivate anche le riviste musicali ad accogliermi, e con esse tante altre belle occasioni ed esperienze da vivere e ricordare, ma tutto iniziò appunto dal web, dai siti musicali, dai magazine online, non solo delle vere palestre formative ma in alcuni casi soprattutto delle grandi opportunità di crescita.

Ho scritto negli anni per diversi blog e webzine, alcune delle quali non esistono più, da Indie Rock-It a Troublezine fino ad approdare a Indie For Bunnies, con cui invece il rapporto di collaborazione va avanti tuttora con mia grande soddisfazione.

L’elemento di congiuntura tra le varie esperienze è stato ancora una volta Riccardo Cavrioli che attualmente scrive pure per la storica rivista di settore Rockerilla, che mi ha sempre coinvolto ovunque andasse, ribadendo la stima e la fiducia nei miei confronti… stima e fiducia ampiamente ricambiate visto che posso dire senza timore di smentita sia una delle persone più importanti nella mia cerchia di amicizie, al punto che l’ho voluto anche come testimone di nozze, e gli affidai pure tornando a questioni musicali, la prefazione di un mio saggio sulla musica italiana degli anni novanta (“Revolution 90”).

Ricky mi aveva parlato benissimo di Indie For Bunnies, soprattutto per il modo in cui veniva gestito al di là che rispecchiasse al meglio i nostri gusti musicali e che avesse tante sezioni interessanti.

Non dubitai di queste sue sensazioni, anche se venivo da un momento in cui mi ero concentrato più su questioni prettamente lavorative, oltre che ero stato in effetti molto impegnato nella scrittura tra libri e quant’altro, ma alla fine avevo anche voglia di rimettermi a scrivere con continuità di musica, avendo possibilità di prendermi comunque i miei tempi.

Se devo fare un bilancio, beh, posso dire che la scelta di intraprendere questa collaborazione fu sicuramente giusta, tant’è che nel frattempo è divenuta quella più longeva della mia “carriera”, se consideriamo che il primo articolo su Indie For Bunnies con la mia firma risale al 21 maggio 2017 (in occasione del ventennale di “Ok Computer” magnifico album dei Radiohead) e che da allora ne ho pubblicati ben 314!

In mezzo mi sono occupato certamente di artisti e gruppi che amo, dedicando tanti pezzi ad esempio ai R.E.M., agli Oasis, agli Smashing Pumpkins o agli stessi Radiohead, tra celebrazioni, recensioni e approfondimenti, ma sono anche riuscito a intervistare nomi importanti legati alla musica italiana e ad ascoltare davvero molti dischi tra i più belli usciti negli ultimi anni… oltre ovviamente ad altri che invece non mi sono piaciuti, ma d’altronde la critica musicale serve ancora a dare giudizi il più possibile obiettivi, e a orientare un po’ il lettore spesso travolto dalle tantissime pubblicazioni di roba nuova, vero?

Proprio di recente tra l’altro Alessio Pomponi, direttore e factotum di Indie For Bunnies, ha inaugurato il nuovo sito, reso sicuramente più “bello” da vedere e più funzionale alla lettura anche da smartphone, ma mantenuto inalterato nei contenuti, nella sostanza, laddove ovviamente c’è sempre spazio e tempo per migliorare.

Ciò che colpisce in primis è la varietà delle sezioni che formano la testata: dalle news alle recensioni, con tanto di “Disco della Settimana”, alle varie rubriche (su cui spicca “Any Given Friday”, bollettino sulle uscite indie italiane con tantissima attenzione rivolta ai nomi emergenti, a cura di Manuel Apice, a sua volta promettente cantautore) che spaziano pure su libri, cinema, video, senza tralasciare una delle più seguite, vale a dire quella dei “compleanni” di album particolarmente significativi.

E poi i “Live Report”, le tanto apprezzate Top 10 brani, la “Other Side” (vale a dire la contro-recensione in casi di dischi particolarmente divisivi), e last but not least quella che è un po’ il fiore all’occhiello, vale a dire “Brand New”, dove viene letteralmente scandagliato il panorama indie italiano ed internazionale, seguendo sin dai primi passi i più fulgidi talenti in sboccio.

Insomma, ce n’è per tutti i gusti, ogni aspetto viene trattato con passione, impegno e competenza, senza nessuno che si atteggi da “professorone”

Giunto a questo punto, oltre ai già citati Alessio Pomponi e Riccardo Cavrioli, che si “smazzano” gran parte del lavoro in redazione, mi preme citare almeno tra le tante penne interessanti da tempo in organico Antonio Paolo Zucchelli, Valentina Natale, Alessandro Tartarino, Anban, Michele Brigante Sanseverino, Giuseppe Loris Ienco, Fabrizio Siliquini, Corrado Frasca e Luca Morello (l’elenco dei nomi sarebbe davvero lungo, tenendo conto anche delle “ospitate” eccellenti di Michele Corrado e Stefano Bartolotta), ai quali più di recente si sono aggiunti nuove leve di valore tra cui Dimitra Gurduiala, Gianluca Quadri e il già citato Manuel Apice, ma la rosa dei collaboratori (che spesso, come capita in ogni rivista, web e cartacea, è soggetta a cambiamenti) attualmente in organico ne comprende anche altri che si stanno inserendo nella maniera giusta, facendo ben sperare per il futuro del sito.

Ognuno ha un proprio stile, talvolta anche molto riconoscibile, ma mi piace pensare che lavoriamo come una squadra, in maniera seria e rigorosa, intenti a perseguire il medesimo obiettivo che è quello di regalare un buon servizio a tutti i lettori.

Dopo tutto questo “papirozzo” non mi resta che lasciarvi il link al sito di Indie For Bunnies, esortandovi a farci un giretto con la giusta voglia di farsi assorbire da tanta bella musica da noi proposta.

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Le belle collaborazioni pt.3: “Vinile”, rivista di approfondimento musicale

Tra le collaborazioni che più mi stanno dando soddisfazioni in questi anni va annoverata sicuramente quella con la rivista musicale “Vinile”, edito da Sprea Edizioni e il cui direttore è Michele Neri che già ho avuto modo di citare e ringraziare nell’articolo dedicato al suo preziosissimo “Cantautori e Cantautrici del nuovo millennio. Il Dizionario”, del quale ho avuto modo di curare molte schede lì inserite assieme ad altri validi colleghi.


“Vinile” è un periodico che tratta la musica in maniera approfondita, e questo è senz’altro un punto a suo favore, qualcosa che – felici eccezioni a parte – lo va a distinguere da tante altre testate (cartacee, quelle che sono rimaste) e online, perché si rivolge a un pubblico di lettori attenti e molto appassionati.

Al suo interno è possibile trovare quindi articoli riguardanti discografie commentate di artisti significativi di varie epoche (sia italiani che internazionali), monografie, ricche e succose interviste, escursioni nel mondo del costume e tanto altro ancora, sempre comunque partendo da un’ottica di interesse storico e culturale.

Non mancano ovviamente i riferimenti all’attualità, non solo mediante recensioni ma anche attenendoci a eventi del momento, senza tralasciare le giuste celebrazioni a determinati artisti per il loro percorso.

Grande spazio, e qui ci tengo a sottolinearlo, viene dato agli emergenti, a quelle espressioni della musica italiana che magari troppe poche volte riescono a uscire in superficie: nomi però che presentano insite delle qualità evidenti, e che si cerca di far conoscere e valorizzare.

E poi il nome della testata è piuttosto emblematico, perché non mancano sezioni dedicate ai vinili e al collezionismo.

Insomma, per chi ama la musica in ogni sua sfumatura, per chi ricerca la modernità ma al contempo desidera saperne di più attraverso le storie dei suoi più importanti protagonisti dagli anni sessanta ad oggi (ma anche andando talvolta più a ritroso), “Vinile” è la rivista perfetta, perché punta sempre e soprattutto sulla qualità dei suoi contributi.

A me fa molto piacere far parte di questa squadra, composta da persone che stimo e con cui sento delle affinità e nel mio piccolo cerco di dare il mio contributo, mettendo in campo tutta la mia passione e la competenza acquisita in tanti anni di ascolti e scrittura.

Sanremo Story – “Vorrei incontrarti fra cent’anni” (1996)

Il decennio dei novanta, specie nella sua prima parte, va annoverato come quello del grande successo di pubblico per il Festival di Sanremo, che trovò in Pippo Baudo un grande condottiero.

L’ultima sua edizione consecutiva fu quella del 1996, prima di ritrovarlo in sella qualche anno più tardi nel nuovo millennio. Ad aggiudicarsi la quarantaseiesima edizione con la ballata Vorrei incontrarti fra cent’anni fu una valorosa coppia di artisti, formata da Ron e Tosca, quest’ultima in gara tra le Novità quattro anni prima.

Il loro duetto a un primo ascolto può suonare canonico, ma in realtà il tema è assai suggestivo, un amore che prevarica il tempo e lo spazio, divenendo così eterno. Il brano sa arrivare diritto al cuore dell’ascoltatore, con un testo che presenta degli interessanti tratti poetici (con alcuni richiami a Shakespeare), ed è permeato da un’atmosfera romantica e struggente, alla quale contribuisce indubbiamente l’interpretazione appassionata della cantante romana.

Le voci dei due protagonisti si amalgamano in maniera perfetta e il tasso emozionale si innalza notevolmente nella seconda parte: insomma, una vittoria meritata quella di Ron e Tosca, che rimarrà però a lungo offuscata da una pesante accusa di combine. Secondo molti infatti i veri vincitori dovevano essere Elio e le Storie Tese, gruppo rivelazione giunto secondo tra tante illazioni.

Tuttavia, agli annali va giustamente questa raffinata perla che è riuscita a superare la prova del tempo, mantenendo inalterata a distanza di più di 25 anni la sua eterea bellezza.

Sanremo Story – “Destinazione Paradiso” (1995)

Gianluca Grignani si era già fatto notare con la morbida ballata La mia storia tra le dita nelle selezioni novembrine che davano accesso alla gara fra le Nuove Proposte e sarà proprio quel battesimo di fuoco sul palco dell’Ariston nell’edizione del ’95 a consacrarlo al grande pubblico.

Il suo esordio sanremese con Destinazione Paradiso per molti rappresenta un’autentica folgorazione: bello e dannato, dal piglio ribelle e in possesso del giusto carisma per arrivare a bucare lo schermo, da subito opterà per una forte proposta musicale, lontano dai clichè di certa musica leggera italiana all’epoca imperante.

Accompagnato dal suo produttore Massimo Luca, la cui intro chitarristica rimarrà impressa nella memoria collettiva, Grignani interpreta in modo intenso e naturale un testo tardo-adolescenziale (l’autore, al periodo ventiduenne la scrisse prima di compiere 18 anni) dai tocchi poetici, nel quale velatamente ci si riferisce a un’idea di suicidio.

Il Paradiso del titolo diventa così destinazione agognata per raggiungere la pace e una certa stabilità interiore.

Il successo del brano, un fulgido pop che si mantiene aggraziato nonostante la tematica, non sarà limitato al solo Sanremo (arriverà sesto in un’edizione in cui a trionfare saranno i Neri per Caso) ma diverrà straordinario, traghettando l’album omonimo ben oltre i confini italici, attestandosi su due milioni e più di copie vendute.

Il primo accecante bagliore di un talento forse mai pienamente espresso.

Sanremo Story – “In amore” (1995)

Nella quarantacinquesima edizione del Festival di Sanremo, Anno Domini 1995, c’era un’inedita coppia che suscitava la giusta curiosità e che ben presto si sarebbe guadagnata i favori dei pronostici, quella composta dal veterano Gianni Morandi e dall’esordiente (a questi livelli perlomeno) Barbara Cola.

Se del primo si conosceva a menadito tutta la vicenda artistica, essendo da sempre tra i maggiori beniamini del pubblico festivaliero (nella sua ultima partecipazione, datata 1987, aveva letteralmente trionfato in trio con Ruggeri e Tozzi con Si può dare di più), della giovane interprete che l’avrebbe affiancato si sapeva ben poco, se non che fosse la sua corista.

La tanta distanza a livello di percorso, oltre che anagrafica (Morandi aveva già spento cinquanta candeline, lei da poco compiuto 25 anni) era stata infine del tutto cancellata una volta che le sublimi voci dei due si incontrarono sul palco.

L’affiatamento e l’intesa infatti tra i protagonisti parve sin dalle prime note evidente e tangibile, per quella che era a tutti gli effetti un’ode amorosa (sin dal titolo) con tutti i crismi.

Canzone sanremese fino al midollo (scritta da Duchesca e Bruno Zambrini), con accorati versi che si richiamavano e cercavano a mo’ di incalzante dialogo, In amore aveva tutte le carte in regola per ambire a una vittoria (sulla quale nessuno avrebbe gridato allo scandalo) ma, complice il clamoroso exploit della giovane Giorgia (che trionferà con Come saprei) si dovette accontentare del secondo gradino del podio.

Sanremo Story – “Portami a ballare” (1992)

Nel 1992 Luca Barbarossa è ormai alla stregua degli habituè della rassegna sanremese: dopo l’esordio nel 1981, è stato in gara altre tre volte e i tempi sono ormai in teoria maturi per una piena affermazione su questo prestigioso palco.

La marcia di avvicinamento al bersaglio grosso si era arenata quattro anni prima sul punto più basso del podio ma, a conti fatti, la sua L’amore rubato aveva il solo neo di figurare nella stessa competizione con canzoni divenute poi immortali quali Emozioni dell’eterno secondo Toto Cutugno e la vincente Perdere l’amore di Massimo Ranieri.

Eppure, ai nastri di partenza della quarantaduesima edizione del Festival di Sanremo, i favoriti d’obbligo parevano altri, su tutti la rediviva Mia Martini che però si dovette accontentare della seconda piazza.

Già, perché sarà proprio il buon Luca stavolta a sbaragliare la concorrenza grazie alla delicatezza e alla forza intrinseca di un brano genuino, intimo e dalla disarmante dolcezza come Portami a ballare, dedicato dal cantautore alla madre.

E’ a lei infatti che rivolge quell’affettuoso invito, e il ballo diventa un pretesto per stare vicini, guardarsi negli occhi e confidarsi sulla vita trascorsa insieme ma che poi inevitabilmente ti porta pure incomprensioni e lontananze.

Ma la canzone è soprattutto una fotografia dell’oggi, di un rapporto madre/figlio ormai maturo, dove può essere anche quest’ultimo a doversi occupare di lei nel momento del bisogno: “Ciao mamma, ciao/Domani vado via/Ma se ti senti troppo sola/Allora ti porto via”.

Sanremo Story – “La forza della vita” (1992)

Il cantautore fiorentino Paolo Vallesi che nel 1992 si appresta a debuttare tra i Campioni è in piena ascesa. Solo l’anno prima si era imposto nella kermesse sanremese in gara fra le Nuove Proposte con la profonda Le persone inutili, dai connotati sociali, e in seguito le vendite del suo primo album si erano fatte copiose.

Non appariva fuorviante quindi inserire anche il suo nome tra i papabili vincitori alla vigilia della quarantaduesima edizione del Festival.

Ci andrà molto vicino, giungendo infine terzo (ricalcando così pari pari il percorso del collega concittadino Marco Masini) ma la sua La forza della vita si fisserà istantaneamente nell’immaginario dei tanti ascoltatori, colpiti dal significato evocativo del brano (scritto da Vallesi con il noto paroliere Beppe Dati).

E’ una canzone di speranza, un’esortazione alla persona amata a non mollare, a non lasciarsi sopraffare dalle difficoltà e dalla disperazione, perché è proprio in quei momenti che la vita si dimostra più potente di ogni cosa.

Non dobbiamo quindi pensare a un pezzo triste, tutt’altro, e difatti musicalmente siamo in territori pop, che raggiunge le sue vette nell’arioso ritornello.

Al di là del risultato, era in fondo facile prevederne un successo su larga scala, tanto che, spinto dal brano sanremese in questione, l’album omonimo che lo contiene seppe raggiungere il primo posto in classifica, risultando tra i più venduti dell’anno, con felicissime escursioni in America Latina, dove tuttora è un classico.

Sanremo Story – “Via Margutta” (1986)

Il romano Luca Barbarossa esordisce appena ventenne al Festival di Sanremo nel 1981, dopo aver vinto l’anno precedente a Castrocaro, all’epoca viatico sicuro per approdare poi in riviera.

La prima testimonianza sanremese del cantautore, amante del folk americano, è assolutamente degna di nota, con l’ispirata dedica alla sua città Roma spogliata (con cui si classificherà quarto). Dopo cinque anni, in cui la sua crescita artistica è stata graduale ma promettente, lo ritroviamo in gara con un’altra canzone intimista dai forti connotati territoriali, indice di un legame forte, inscalfibile con la Capitale.

Via Margutta nel titolo omaggia l’omonima strada cittadina, scenario ideale che induce il protagonista a una serie di riflessioni di natura personale (e non solo), fino all’indimenticabile ritornello in cui si lascia andare al ricordo, invocando l’amata con toni nostalgici e affidandosi a struggenti versi quali: “Amore vedessi/Com’e’ bello il cielo/A via Margutta insieme a te/A guardarlo adesso/Non sembra vero che sia lo stesso cielo/Che ci ha visto soffrire/Che ci ha visto partire”.

Nonostante le tante buone frecce al proprio arco (un’efficace melodia, un testo non banale e l’orecchiabile ritornello) il brano si classificò nelle retrovie (solo diciottesimo su ventidue partecipanti) ma il tempo saprà essere galantuomo, riscattando il deludente risultato in gara, tanto che a distanza di 35 anni Via Margutta, diventato dopo il Festival un successo, è tuttora uno degli episodi più amati del suo repertorio.

Sanremo Story – “Noi, ragazzi di oggi” (1985)

All’inizio della trentacinquesima edizione del Festival di Sanremo, nel 1985, tra i Big in gara desta molta curiosità il nome di Luis Miguel, teenager messicano che in America Latina sta mietendo successi dall’età di undici anni.

Figlio d’arte, sembra a tutti gli effetti un predestinato quando lo vediamo muovere i suoi primi passi sul palco dell’Ariston. La naturalezza e la disinvoltura con cui si fa portavoce, a non ancora quindici anni compiuti, del mondo adolescenziale, stupisce tutti, con una canzone pensata e realizzata apposta per essere generazionale.

Scritta da Toto Cutugno e Cristiano Minellono (stessa coppia vincente di autori dell’evergreen L’italiano), presenta i crismi dell’inno, sia per la musica (a tratti epica e ridondante) che per un testo che mette in evidenza rivendicazioni e speranze di tanti ragazzi che a metà degli anni ottanta vogliono guardare con fiducia e ottimismo al futuro, alla ricerca di un proprio spazio in cui affermarsi.

E di sicuro ad affermarsi di lì a poco fu proprio l’enfant prodige Luis Miguel, giunto secondo in classifica (dietro ai veterani Ricchi e Poveri con un brano tra l’altro che porta la firma dello stesso Minellono) ma che insieme al talento nostrano Eros Ramazzotti saprà entrare nel cuore di milioni di telespettatori.

Per un po’, sull’onda dell’exploit sanremese, il nome di Miguel divenne molto familiare in Italia, ma poi la sua carriera si dipanerà soprattutto in America Latina dove a tutt’oggi è considerato l’artista di maggior successo di tutti i tempi.

Sanremo Story – “Una storia importante” (1985)

Nel 1985 Eros Ramazzotti si appresta a salire per la seconda volta consecutiva sul palco dell’Ariston, stavolta in gara tra i cosiddetti Big, dopo aver sorpreso e conquistato tutti l’anno precedente tra le Nuove Proposte con l’intensa Terra promessa.

La sua esibizione di Una storia importante è pertanto tra le più attese. Ha un viso e un look giovane, d’altronde non ha ancora compiuto ventidue anni, ma il piglio è più sicuro e lui pare maggiormente a suo agio, in tal senso il canto in playback (consuetudine di quegli anni di rinascita del Festival) aiuta a non far trasparire emozione.

Il brano ci mette pochissimo ad arrivare al pubblico, forte com’è di una scrittura incisiva che cattura perfettamente lo spirito del suo interprete. Coadiuvato da due autori di rilievo come Adelio Cogliati (a lungo suo stretto collaboratore per i testi) e Piero Cassano, Eros tratteggia i dubbi esistenziali comuni a tanti suoi coetanei alle prese con la paura di crescere, quella che ti fa evitare una storia importante, parafrasando il titolo.

Viene davvero facile identificarsi in versi così asciutti e sinceri (dove il protagonista non rifugge le proprie responsabilità), la musica poi è molto incalzante, fino al ritornello in cui ci si lascia andare al desiderio e al rimpianto.

Una storia importante arriva sesta in gara, ma prepara il terreno al boom dell’anno successivo, e si attesta sul milione di copie vendute, mietendo successo anche all’estero. E’ nata una nuova stella nel firmamento della musica leggera italiana.