Il triste (e ingiusto) epilogo di Mangia

 
Alla fine Zamparini ha colpito ancora: era nell'aria l'ennesima burrasca a Palermo, dopo la gestione del caso Sogliano, uno dei giovani direttori sportivi più bravi su piazza. Ora a fare le spese dell'irrazionalità del prresidente è stato Mangia, soltanto alcuni mesi fa accreditato come uno dei tanti "uomini nuovi" dell'asfittico calcio italiano. La realtà sta nel mezzo: come prima certamente non era un fenomeno, adesso l'umile Devis non può essere additato come cpolpevole di una stagione iniziata malissimo e rimessa quantomeno in carreggiata grazie all'intervento in corsa dell'esordiente trainer lombardo. Forse a Palermo si aspettavano davvero lo scudetto? Perchè, se così fosse, allora nulla da eccepire sull'esonero repentino dell'allenatore rosanero. Ma se invece, come ragione imporrebbe, la realtà siciliana potesse "accontentarsi" di una stagione a ridosso delle grandi, in zona Europa League, per capirci, allora la cacciata di Mangia griderebbe vendetta! Torniamo un attimo al calcio d'agosto. Che si pensava di un Palermo indebolito dalle pesanti cessioni di talenti come Pastore e Sirigu e della magra figura europea durata meno di un soffio, e che già era costata la panchina a un bravo tecnico come Pioli? Per caso qualcuno sognava un calcio sbarazzino come quello poi messo in mostra in casa da Mangia? Si puntava alla Champions? Devis Mangia pecca di inesperienza, questo è palese e non potrebbe essere altrimenti, visto che ha l'età di Del Piero e solo 6 mesi fa portava il Varese Primavera a un traguardo pressochè storico in ambito giovanile (secondo posto dietro la corazzata Roma) ma ha un sicuro talento come allenatore, idee chiare su come far giocare la squadra e l'incoscienza e la voglia di emergere dei giovani rampanti. E dire che la gavetta l'ha già masticata, nelle infuocate categorie dilettantistiche da dove proviene (da vincitore, ovvio). Sono sicuro che ripartendo magari da un ambiente più tranquillo, con meno pressioni, possa tornare ad essere considerato "the next big thing" del calcio italiano. Ma purtroppo con uno stritola allenatori del genere, la vita è dura per tutti, figuriamoci per uno alle prime armi. Ci vorrebbe più equilibrio e magari pure una piazza che merita tantissimo, come quella di Palermo, potrebbe raggiungere risultati soddisfacenti.

 

Il più grande showman italiano


 

E' terminato con un successo travolgente il programma di Fiorello, che ha annichilito il Gf (ma ci vuole tanto in fondo?), superando persino gli ascolti di un cult come Sanremo. Il più grande spettacolo dopo il weekend ha sbaragliato tutto, grazie unicamente al talento e alla verve di quello che è definito dai più il miglior conduttore italiano insieme a Paolo Bonolis. 
Ma è davvero Rosario Fiorello da Augusta un semplice conduttore tv? Io direi di no, non ha la medesima capacità organizzativa del citato Bonolis, i tempi giusti li sfora puntualmente, il copione diventa un optional.. e allora? Chisseneimporta se poi la genuinità, la spontaneità e la capacità di tenere vastissime platee con le sole parole è sufficiente a intrattenere per 4 ore senza mai annoiare un pubblico transgenerazionale. 
Fiorello ha dimostrato di saper cantare, recitare persino ma non eccelle in nessuno di questi campi: lui è un istrionico, un giullare, un acuto osservatore della realtà, un sempre giovane in fondo, che con candore raro riesce dove in molti infastidiscono. Ospiti sempre azzeccati, gag perfette per la sua versatilità, un savoir faire che mischia passato remoto (soprattutto nell'eleganza dei modi e nella volgarità solo sfiorata ma mai utilizzata per far ridere.. come conviene a un altro grande talento come Zalone) e modernità. Avercene di conduttori così. (che poi, dicendole tutta, ieri sera Benigni forse per la prima volta non  mi ha entusiasmato, risultando simpatico ma un filino banale e scontato)

si può ancora parlare di rock a fine 2011?

Rileggendo di tanto in tanto i libri (ebbene sì, mi capita di farlo e ogni volta scopro qualcosa di nuovo), mi capita di imbattermi in tematiche a me care. Ad esempio, nello splendido volume di Ernesto Assante e Gino Castaldo intitolato in modo eloquente Blues Jazz Pop Rock, il Novecento Americano, lungi dall'essere un pacco mostruoso e pretenzioso, ho trovato tutte quelle istanze socio – artistiche che da sempre mi appassionano e mi fanno riflettere sulla connessione "musica – società in cui viviamo". Ci si interroga arrivati ai giorni nostri se il rock abbia perso del tutto le sue principali valenze e funzioni, o almeno quella parte che non è solo sfogo di istinto generazionale o irruenza cieca, ma anche linguaggio universale di un sintomo più ampio, che riguarda non più micorcosmi individuali ma un mondo intero. Io credo che non esistano più fenomeni della portata di Nirvana, U2 o meglio ancora Beatles, gruppi epocali e non solo per le splendide canzoni ma anche per tutto l'apparato che si portavano dietro, il carico di tensioni e la vasta gamma di emozioni che riuscivano a interpretare e a manifestare. Cos'è ora rock? Noel Gallagher? i Coldplay? i Radiohead? (tanto per citare artisti che assolutamente stimo!) o peggio ancora lo specchio del rock adesso è fedele ad effimere e spesso poco credibili band da un punto di vista meramente artistico come My Chemical Romance o 30 seconds to Mars? Nel dubbio mi tengo aggiornato, perchè la passione non muore mai, ma lo spettro della musica si allarga e in fondo ho sempre ascoltato e apprezzato generi che non muovono le masse. Il suono singolo di un  contrabbasso ad esempio mi fa sognare, così come l'assolo di un sassofono! come dire: Charlie Parker sì che era un mito!

In serie B vola l’Hellas Verona: 6 vittorie consecutive!

In serie B vola l'Hellas Verona di Mandorlini: ben 6 vittorie consecutive, vale a dire la più lunga striscia vincente di tutto il campionato, meglio del Toro capolista o del Padova grande accreditato alla vigilia. Eppure i fari non si sono ancora accesi sulla gloriosa compagine veneta, che 26 anni fa vinse uno storico scudetto ma che negli ultimi 4 anni fa era scivolato in una sorta di spirale negativa, veleggiando in Lega Pro senza infamia e senza lode. Poi, proprio l'avvento di un tecnico vincente e navigato come Mandorlini aveva dato il via alla prodigiosa rimonta, culminata nello spareggio playoff vinto contro una forte Salernitana. L'ossatura era rimasta la stessa all'inizio di questa stagione, che segnava quindi un ritorno in cadetteria. Pochi acquisti mirati e fiducia al blocco della promozione, costituito (è bene sottolinearlo) da atleti in possesso di buone qualità individuali, ottime per una salvezza tranquilla, quale sembrava essere da principio il primo obiettivo stagionale. Ma i primi risultati e soprattutto le prime apparizioni sempre convincenti hanno fatto presto intuire che il torneo avrebbe potuto regalare ben altre soddisfazioni ai gialloblu. E ora, dopo un consolidamento in categoria di alcuni elementi, è partito l'inseguimento verso posizioni di vertice, certamente più consoni al blasone dell'Hellas. Una squadra solida, concreta ma pure spettacolare a tratti, grazie soprattutto alle intuizioni di un genio (sinora poco compreso) come Juanito Gomez e alla straordinaria regolarità del nazionale islandese Halfredsson, autentico lusso per la serie B. Oltre a loro, a comporre un mosaico ben assortito, ci pensano l'affidabile e svelto portiere brasiliano Rafael, i difensori laterali Abbate (insolito goleador di stagione) e l'esperto Scaglia (che col suo rendimento ottimo è riuscito a relegare in panca uno dei migliori terzini sinistri della passata stagione, Pugliese), i centrali Maietta e Mareco (ben assortiti, col primo autentico leader), a centrocampo la forza e la personalità di Russo e il citato islandese, uniti al talento grezzo del greco Tachtsidis, un gigante del '91, fortissimo in interdizione, migliorabile nel costrutto, infine in avanti a rotazione Gomez, il furetto D'Alessandro, le torri Ferrari (protagonista l'anno scorso) e il ritrovato Piki.. altri buoni rincalzi il regista di gran tecnica Esposito, gli emergenti Doninelli e Galli, i sempre verdi Berrettoni, Ceccarelli e Cangi. Non si sa se la squadra abbia sin da ora i mezzi per arrivare in serie A, ma di certo alcune componenti base come la determinazione, la motivazione, la forza del gruppo e la fame di vittorie non mancano e non sono da invidiare a squadre come Sassuolo, Pescara, Reggina (di recente battuta) o lo stesso Padova.

Basta con i complessi di inferiorità!

Dopo la splendida affermazione del Napoli di Mazzarri e Cavani al cospetto dei favoritissimi del City e la sfortunata prova del Milan contro i marziani del Barca, direi che sarebbe ora di riappropriarsi di un po’ di autostima. Il calcio italiano può ancora dire la sua, specie se mette in gioco le sue caratteristiche: qualità e tanta abnegazione, senso tattico e personalità, oltre alla necessaria esperienza europea. Il Napoli ha disputato un partitone, ma in fondo è tutta la competizione che si sta imponendo come una forza emergente, in grado di mettere in difficoltà chiunque incontri. Certo, la strada da fare è ancora lunga, la panchina di contro appare corta e a rimetterci per ora è il campionato (anche se lo scontro diretto col Milan, vinto agevolmente, sta a significare che il livello generale è di molto migliorato), ma il tempo per recuperare c’è tutto. Ciò che sinora ha colpito dell’esperienza in Champions dei partenopei è la mentalità, il giusto approccio, la personalità e lo scarso timore riverenziale nei confronti di squadre certamente più accreditate. Magari tra un paio di anni i Citizens trionferanno ma per il momento sembrano acerbi, o meglio, non sembrano un gruppo, latita in loro lo spirito di squadra, lo stesso messo in campo dai ragazzi di Mazzarri, che si conoscono e giocano insieme da una vita, trattandosi di un ciclo le cui basi sono state gettate addirittura in cadetteria. Il Milan, se all’andata è riuscito a ottenere il massimo risultato col minimo sforzo, dimostrandosi letale nell’occasione dei due gol, al ritorno contro i campioni d’Europa in carica del Barcellona, ha messo nel rettangolo verde di gioco le sue armi migliori, rivaleggiando quasi alla pari per possesso palla e tecnica individuale. I blaugrana sono apparsi più rodati ma se non ci fosse stato quel rigore che definire generoso è un eufemismo, staremmo a parlare di grande Milan. Quindi, l’imperativo è “Gioca!”, non temere di essere inferiore agli altri, e ciò vale anche per l’altra squadra italiana impegnata qui, l’Inter di Ranieri che, ricordiamo, soltanto due anni e mezzo fa trionfava contro il Bayern Monaco (anche se in panchina c’era quel vincente di Mou). Basta con i complessi di inferiorità, il calcio italiano è ancora competitivo.

Una serata con Piotr degli Adorable tra maccheroni e grande musica!

Prima dell’ufficiale passaggio in un’altra piattaforma, mi piace congedarmi con un post dedicato a un grande artista con cui ho avuto il piacere di condividere una splendida serata ieri a Pedemonte, in Valpolicella. Piotr Fijalkowski è quello che gli addetti ai lavori definiscono un “artista di culto”, ma è stato (ed è) soprattutto un grande cantante, capace di emozionare con la sua voce oggi come allora, quando guidava gli inglesi Adorable.
Di origine polacca,  cresce in Inghilterra e si fa portavoce assieme a Ride e Suede di quel fenomeno musicale anticipatore di un paio d’anni del movimento Britpop, del quale tuttavia il suo gruppo possedeva già in grembo tutti i cromosomi, miscelati sapientemente a un’aurea new wave e shoegazer (attitudine che stava imperando e che durò per una breve ma intensa stagione, grazie a band quali My Bloody Valentine e, soprattutto, Jesus & Mary Chain). Piotr è da subito artista sensibile e dalle spiccate doti compositive e il suo debutto arriva nella top 50 inglese, in un’epoca (’93) in cui stavano emergendo con forza i già citati Suede e i Verve. L’esordio contiene già un gioiello, “Homeboy” , il cui video ha una buona diffusione sui canali tematici di Mtv, in particolare nel programma cult “Alternative Nation”. Il seguito “Fake” non delude le aspettative degli appassionati di indie rock ma affievolisce l’interesse dei media, tutti protesti a salutare l’avvento di Oasis e l’esplosione dei Blur.
Piotr torna gradualmente nell’anonimato, come i suoi Adorable, che di lì a poco si sciolgono per dissidi interni. Lui non demorde e fonda i più intimisti Polak, gruppo che regala assolute perle ma che non raggiunge le classifiche. Il culto di Pete resiste negli anni e la musica degli Adorable rimane intatta nella sua bellezza, fino alle sporadiche uscite in acustico in giro per l’Europa, sempre salutate dal calore di un pubblico sparuto ma fedele e costante negli anni. Quello che ha combinato il mio carissimo amico Ricky Cavrioli ha dell’incredibile, in quanto insieme all’altro amico ed ex collega di radio Claudio Ricci, è riuscito a organizzare una serata live all’Osteria Pane e Vino di Pedemonte.
Un’atmosfera raccolta, un clima intimo e familiare, nel contesto di un paesino che sembra uscito da una favola. Seduti a un tavolone, sono capitato proprio di fronte a lui, mentre Ricky di fianco furoreggiava col suo inglese e con le sue curiosità. Piotr mi ha confidato che per la prima volta aveva mangiato polenta e brasato, per non parlare degli spaghetti alla carbonara e al pesto gustati a casa di Ricky, grazie alla sua gentilissima mamma. Il giorno prima Claudio gli aveva fatto visitare Venezia. Piotr era loquace, simpatico, cordiale. Man mano che la gente nel locale aumentava, cresceva in loro la curiosità nel vedere un artista così a suo agio con noi, e noi con lui. Conosco tanti nell’ambiente in Italia e posso assicurare che raramente mi è capitato di assistere a una serata così, da noi si tende a “tirarsela”, mentre già Rick Witter degli ShedSeven mi aveva impressionato tantissimo alcuni mesi fa per la sua semplicità. Con noi ieri anche la mitica Sara Mazo, ex cantante dei mai dimenticati Scisma, un’amica che rivedo sempre con piacere, e poi componenti dei bresciani Edwood, i trentini Camp Lion (meritano tanto questi ragazzi!), e autentici cultori della musica indie come Aurelio, Corrado, Elena, Elisa. Una serata che mi ha regalato tante risate, sorrisi ma per una volta hanno davvero prevalso le emozioni più forti, e un po’ di commozione, lo ammetto!
Grande, grande Piotr Fijalkowski!

Se Splinder chiude veramente… PELLEeCALAMAIO continua!

Manca una settimana esatta alla (presunta ma sempre più probabile) chiusura di Splinder, per come lo intendiamo noi. Su Facebook o commentando amici bloggher mi sono già pronunciato in merito. In pochi mesi che sono qui ho potuto beneficiare dei vantaggi e del piacere di curare uno spazio simile. Ho sempre amato scrivere e ho indirizzato la mia professione verso quelle attività che potessero in qualche modo darmi la possibilità di "sfogare" questo mio bisogno. Scrivo articoli, sceneggiature, commedie teatrali, ho scritto pure un romanzo ma non mi ero mai approcciato al mondo dei blog. Sapevo bene cosa fossero e ne leggevo tantissimi, trovandoli per certi versi molto più attendibili e ricchi di testate anche importanti. Ma un po' lo scarso tempo disponibile, un po' la pigrizia ma soprattutto la mia scarsa propensione agli affari tecnici e informatici mi avevano tenuto alla larga da questo "mondo". Poi però un giorno ho pensato che.. sarebbe stupendo parlare delle cose che più mi piacciono dando un taglio personale al tutto. Ho immaginato un mio blog semplice, scarno dal punto di vista tecnico, senza fronzoli o abbellimenti, incentrato sugli scritti. Alla fine, molti dei post che sono qui sono stati poi pubblicati in vari siti, quindi magari non correrei il rischio di veder cancellato un pezzo di me, come probabilmente corrono il rischio diversi colleghi bloggher. Ma anch'io rischio qualcosa con la chiusura di splinder, e voglio preminirmi. Rischio di perdere dei contatti con quelle persone che hanno contribuito in modo silenzioso ma forte alla riuscita di PELLEeCALAMAIO: parlo dei molti visitatori, delle persone (alcune diventate molto familiari, penso a Marksale, donburo, calciomercato, carloca e altri) che commentano con regolarità e con i quali ho scambiato bellissime chiacchiere, seppur virtuali. E' stupendo trovare persone con i tuoi stessi gusti, le medesime passioni, confrontarsi con gente competente e sincera. Ho sempre evitato i "flame", termine che odio, non ho mai voluto alimentare polemiche, anche se è pure successo di non trovarsi d'accordo con alcune persone (spesso anonime) che magari dissentivano su un pezzo o uno scritto. Grazie anche a loro, davvero. E grazie a quelle persone che si sono interessate spontaneamente al mio blog, perchè magari mi leggono già in rete o nel Guerin Sportivo o perchè hanno acquistato il romanzo e mi hanno così voluto manifestare la loro stima. Grazie di cuore, amici, vi porterò sempre con me. Certamente, con queste premesse, PELLEeCALAMAIO andrà avanti, mi sono spostato su "io bloggo" e a giorni magari mi attiverò.
Grazie a quella piattaforma in maniera molto semplice e sbrigativa è possibile mantenere intatto tutto il blog splinderiano.. informerò tutti gli amici a tempo debito, dovessi cambiare ulteriormente piattaforma.

Ma l'idea che mi frulla in testa è quella di creare un sito mio (ovviamente non me ne occuperei da solo, viste le mie lacune informatiche 🙂 ), acquistando un dominio in rete. Non so quando accadrà ma è un progetto che mi stuzzica e che vorrei realizzare, magari con l'inizio dell'anno nuovo. Non ci perderemo di vista amici, continuerò a scrivere, sperando di raccogliere sempre più sostenitori o anche semplici curiosi, e se in mezzo spunterà qualche detrattore.. amen, non si può piacere a tutti! Io vado avanti per la mia strada, con questo stile e scrivendo delle cose che mi piacciono, magari tenendo maggiormente aggiornato lo stato del libro, in quanto in molti mi hanno contattato per avere più informazioni o anche per soddisfare qualche curiosità.

Un abbraccio a tutti da Gianni!

“La leggenda del Paron” di Gigi Garanzini: ecco come dovrebbero essere le biografie!

Dovessi mai cimentarmi in una biografia di un personaggio sportivo (ammetto che ho un progetto in cantiere che aspetta solo di essere sviluppato), non nego che ad ispirarmi sarebbe il bellissimo omaggio di Gigi Garanzini (stimatissimo giornalista sportivo) al grande Nereo Rocco.
Uscito ormai più di 10 anni fa, in occasione del ventennale della morte dell'allenatore triestino (avvenuta nel '79), illustra in modo credibile e mai scontato un personaggio unico del nostro calcio, non scadendo mai nell'apologia o nel memoriale gonfio di buoni sentimenti. Garanzini lascia raccontare il "Paron" a chi lo ha conosciuto e amato da vicino: suo figlio, l'amico di infanzia, sporadiche testimonianze della moglie ma soprattutto molti suoi discepoli, giocatori divenuti poi allenatori che a chiare lettere si autoproclamano suoi eredi legittimi. In tutti prevale il gusto dell'anedottica ad accompagnare un ritratto assai variopinto di un uomo che non è stato solo un allenatore vincente, ma un personaggio assolutamente sui generis in un mondo (quello calcistico) che stava crescendo vorticosamente come movimento italiano, nel bel mezzo del boom economico che aveva attraversato il nostro paese. Goliardia e poesia viaggiano di pari passo, tanto che ci si può commuovere per un calcio che chiaramente non esiste più, ma anche sorridere (talora si ride nel vero senso della parola) delle battute fulminanti, comiche o involontariamente tali, del Nostro. Nereo Rocco ha attraversato diverse fasi, come uomo e come rappresentante di uno sport che negli anni'60 è stato specchio fedele dei mutamenti sociali. Un grande tecnico che si contrapponeva nel migliore dei modi al rivale Helenio Herrera negli anni di trionfi delle due squadre milanesi. Ma Rocco aveva un tratto umano ineguagliabile, una concezione dello spogliatoio che rasentava il sistema familiare, almeno quello in voga il secolo scorso. Squadra come famiglia, giovani calciatori (anche promettenti, pensiamo a Gianni Rivera) che prima di tutto dovevano dimostrare di essere maturi come uomini, pronti a soffrire prima di cimentarsi nella massima serie. Infiniti i ricordi proposti da Carraro, Trapattoni, il povero Rosato, lo stesso Rivera, gli scagnozzi di Padova come il fido difensore Scagnellato (che visse col Paron l'epopea del Grande Padova dell'Appiani), ma su tutti spiccano i racconti del grande attaccante brasiliano Josè Altafini, uno dei più legati e in sintonia con il mister. Quelle battute in dialetto triestino- veneto che non lasciavano scampo.. (come quando un francese gli si rivolse dicendogli "Monsieur Rocco, mon ami!" e lui che rispose "Mon ami? Mona ti e anca testa de gran casso!"), quegli scatti contro i giocatori che trovava in flagrante, come l'inglese Greaves, o "quel matto di Smersy". Un libro che trabocca di sincera umanità, una storia appassionante e coinvolgente, un modo di scivere calcio, abbinando qualità letterarie e competenze linguistiche non indifferenti.

Torna il cantautore Daniele Scarsella – “Con l’olio nell’acqua”

 

Daniele Scarsella, trentanovenne cantautore frusinate, è un artista che ama osare. Ma il suo coraggio nel proporre musica colta e di pregevole fattura non è sbandierato e urlato ma assomiglia alla sua musica, è connaturato in essa. Questo perché nel 2011 chi fa musica di qualità, indipendentemente dai generi, è costretto a vedersi superato – quando non del tutto sostituito – da pseudo cantanti-musicisti che si limitano a scimmiottare ciò che va per la maggiore, si fanno beatamente plasmare da programmi tv belli e buoni scambiati per talent show e produttori mascherati da conduttori o viceversa. Sembra di parlare di due discipline diverse, eppure Daniele Scarsella fa lo stesso mestiere di Marco Mengoni, per dire. E ho citato probabilmente il migliore, il più “talentuoso” tra quei prodotti usciti in serie dalla tv generalista. Come potrebbe quindi emergere un moderno cantautore, posto che si tratta di una categoria che non ha mai approfittato dei media, nemmeno nei tempi più gloriosi, con gli immorali De Andrè, De Gregori, Guccini in auge decenni fa? Semplice,il pericolo è che non possa emergere mai! Perché i dischi ora si divorano alla velocità della luce, le tracce si perdono nei multicd pieni zeppi di mp3 da by passare, non appena ci accorgiamo che il ritornello non arriva nei tempi stabiliti (da altri). Daniele Scarsella si smercia dal dilemma, rimanendo fedele a sé stesso, mostrando col quarto album, una piena consapevolezza della sua struttura musicale, invero molto simile da un brano all’altro, giocando molto sull’originalità e la varietà degli arrangiamenti. Coadiuvato da validissimi musicisti, propone un doppio lp (scelta già di per sé rischiosa ai fini discografici, a meno che tu non sia un big impegnato a catalogare un “best of” di singoli di successo) che spruzza melodie latine, venate di malinconico folk, non certo quello “fracassone”, un po’ di bossanova, ma soprattutto molto jazz, modern jazz o be bop. Niente ritmi funambolici, piuttosto il cd è pervaso di atmosfere notturne, quasi a ricordare il primo fumoso Vinicio Capossela. Ma rispetto a quest’ultimo manca certamente l’eclettismo e di certo non ci immaginiamo uno Scarsella in grado di scrivere ad esempio un pezzo come “Maraja”, spartiacque nella carriera di Vinicio. I testi toccano temi per lo più esistenzialisti, specie in “Cose da perdonare”, la sognante “Sopra un cielo di vetro” e la dolcissima, dai toni soffusi, “Amore cantami”. Un disco edito molti anni dopo l’ultima fatica e concepito presso lo studio casalingo dell’autore stesso, che ha voluto in prima persona lavorare ad ogni aspetto del lavoro. Non un album facile, rapisce per l’intensità e per il modo soave di insinuarsi nelle nostre orecchie. Un disco da ascoltare per purificarci da tutti quei suoni inquinati da cui purtroppo siamo pervasi accendendo le radio commerciali.
 

 

Verrà il tempo di.. Luis Enrique!

Quanto è bella la Roma di Luis Enrique! Lo dico a chiare lettere, nonostante la squadra sia fattibile di figuracce o sconfitte a breve. Troppo altalenante sinora il cammino della squadra capitolina, in virtù di una rosa senz'altro interessante a livello di individualità ma alquanto acerba e per questo soggetta a svarioni e grandi partite. Ieri è stata una di quelle, contro il Novara, nonostante il risultato sia stato raggiunto solo nel secondo tempo, dopo l'ingresso di Bojan. Se il bravo Meggiorini avesse concluso bene una bellissima azione personale, neutralizzata da un sempre più sicuro Stekelenburg magari non sarei qui a elogiare l'operato di Luis Enrique. Ma io provo sempre a essere obbiettivo e ammetto che mi intriga molto il gioco dello spagnolo. Lasciamo stare paragoni fuorvianti e nocivi come quello con il mentore Guardiola. La squadra è composta da giovani di sicuro talento come il già citato Bojan Krkic, l'ex Lione Pjanic, l'argentino Lamela che si sta imponendo con una facilità disarmante, l'italo argentino Osvaldo, un altro giocatore rispetto al timido attaccante che lasciò la serie A tre anni fa. E poi Borini, il terzino tutto sprint Josè Angel, l'ex Palermo Kjaer, il rivitalizzato Gago, l'enfant prodige Borini ben miscelati con i campioni della vecchia guardia (Totti, De Rossi, Perrotta, Taddei).
Col Genoa sono bastate poche ma fatali disattenzioni difensive per compromettere una buona gara, ma l'importante è che dietro le spalle della squadra ci sia il supporto e la piena fiducia della società. Di Benedetto si sta dimostrando sulla lunga distanza un buon presidente, di quelli "deleganti", nel senso che non si intromette minimamente nelle scelte tecniche (per forza, mi direte voi, di calcio non capisce nulla.. ma lo sceicco Mansour secondo voi conosce la Premier?) e ha vagliato con Sabatini (lui sì un grande addetto ai lavori) un vero progetto a lungo termine. Questa sì una vera novità del calcio italiano: la capacità di aspettare, di programmare, di non bruciare. La Roma può andare lontano.