L’ultima edizione del Festival di Sanremo targata Amadeus andrà agli annali come la più magniloquente a livello di “numeri”, debordanti per quanto riguarda gli ascolti ma pure banalmente per il numero di canzoni presentate in gara.
Se sul primo punto posso solo limitarmi ad applaudire l’operato del conduttore, che di certo ha riportato la kermesse a punte di popolarità vicine solo a certe annate legate al nome di Pippo Baudo, sul secondo invece sin da subito avevo espresso dei dubbi, gli stessi che ho nel vedere eliminata del tutto una categoria importante come le “Nuove Proposte”.
Trenta canzoni tutte insieme in gara sono tante, troppe, col rischio che molte di esse passino in silenzio, non riuscendo a emergere, regalando sì un momento “di gloria” ad artisti trovatosi lì magari per scommessa del direttore artistico, ma più di tutto mi sorge la domanda (a cui pleonasticamente vado subito a rispondere) se fossero tutte così “indispensabili”, tutte immancabili all’interno del carrozzone, impossibili insomma da escludere in fase di selezione che, ricordiamo, si è tenuta al cospetto di centinaia di titoli giunti all’attenzione.
No, non erano tutti brani sopra la media, ma probabilmente pensati per lo più in ottica futura, il ché va anche bene, ma non sarebbe meglio una rassegna che, senza rinunciare alla matrice “popolare” non desse spazio alle tante espressioni artistiche rappresentate in Italia negli anni?
Non si è troppo spinto l’acceleratore in direzione di una propensione radiofonica, smaccatamente commerciale dei pezzi? Per me sì, ma ripeto non sarebbe un peccato capitale se solo avessimo ascoltato trenta capolavori!
Cosa rimane invece? La sensazione di aver ascoltato canzoni abbastanza “di passaggio” nell’ambito della storia del Festival con brani piacevoli, orecchiabili, persino “ballabili” ma senza i crismi del classico. Senza che a un primo ascolto ci si potesse ritrovate a dire “wow”.
Non occorre in fondo scomodare i classici del passato per avvalorare la mia tesi, basti rapportare il livello delle canzoni in gara quest’anno a quello di “Due vite” di Marco Mengoni, che giusto dodici mesi fa ci diede già chiara la sensazione di trovarsi davanti a un brano che indiscutibilmente fosse da primo posto, quasi una “vittoria annunciata”. La sua era una canzone “forte”, da inserire di diritto tra le punte di diamante del suo percorso, e se da una parte è forse più interessante e democratico che ci siano più titoli candidabili a issarsi in cima alla graduatoria, la cosa perde valore se generalmente il livello della rassegna è mediamente più basso.
Vorrei sorvolare – ma è abbastanza impossibile farlo senza venire fraintesi – sulle polemiche sollevate alla parziale proclamazione del primo posto a Geolier, ma proprio si è trattato di un momento brutto, di una mancanza di rispetto grave nei confronti dell’artista, specie se certe illazioni sono state supportate dalla stampa stessa.
A mio avviso (come vedremo tra poco nel dettaglio) la canzone del giovane trapper napoletano non era la migliore fra le trenta in gara ma lo stesso meccanismo di giudizio (che poi lo ha visto perdere in volata, perché si sa che non esiste solo il televoto) non può andarci bene solo quando va a premiare chi vogliamo noi!
E allora tutti contenti che abbia vinto l’esordiente di lusso, Angelina Mango, figlia d’arte degna di un grandissimo artista che invero qui su questo palco non ottenne mai quei riconoscimenti che sarebbero stati meritati, gli stessi che ha avuto invece lei, la ex di “Amici” con un brano fresco, ballabile, interpretato con assoluta naturalezza e consapevolezza dei propri grandi mezzi, al di là di un genuino stupore manifestato all’annuncio del suo exploit. ll trionfo di Angelina è stato poi supportato anche da altri due riconoscimenti, il premio della sala stampa e quello per la migliore composizione musicale. Ma la sua è stata davvero la migliore canzone di questo Sanremo 2024?
Di seguito ecco un mio commento ad ogni partecipante in ordine di classifica:
ANGELINA MANGO – poco da aggiungere sulla sua vittoria, che ci sta e non fa storcere alcun naso. Angelina continua la sua imperiosa ascesa nel mondo del pop nostrano, anche se verrà ricordata (almeno da me) soprattutto per l’intensa ed emozionante rivisitazione del classico del padre “La rondine”.
GEOLIER – rappresentava la quota “giovanilistica” dell’edizione, volendo proprio generalizzare, la stessa occupata da Lazza l’anno scorso, e allo stesso modo ne eguaglia il risultato, portando se stesso al Festival. Nel suo ha fatto un figurone!
ANNALISA – partita come sempre con grandi favori dei pronostici, forte dello straordinario successo dei suoi singoli ammazzaclassifica, nemmeno stavolta alla bella Annalisa è riuscita l’impresa di vincere a Sanremo. Le sta tentando tutte: ballate classiche, moderne, brani frizzanti e spigliati, ora pure la carta del potenziale tormentone. Ecco, questa canzone si aggiungerà a quella schiera, ma non aveva a mio avviso lo spessore per vincere. Direte che la stessa cosa valeva per il brano di Angelina ma tant’è, è andata così…
GHALI – una delle rivelazioni di questo Festival è stato senz’altro lui, che arriva con un pezzo adatto al contesto, pur non snaturando la sua indole. Bel messaggio il suo mandato soprattutto nella serata delle cover, di identità nazionale che non smarrisce la propria storia.
IRAMA – il suo pezzo è cresciuto con gli ascolti, dopo una prima esibizione vocalmente incerta. Pur non raggiungendo le vette della precedente “Ovunque sarai”, prosegue felicemente su quella falsariga intimista.
MAHMOOD – libero di sperimentare senza dover dimostrare niente a nessuno dopo due Festival vinti, Mahmood porta in gara una canzone musicalmente notevole, purtroppo non coadiuvata da un testo all’altezza.
LOREDANA BERTÈ – salutata dal tripudio della sala stampa e da forti consensi popolari, Loredana si mostra in gran forma con un brano cucito apposta su di lei. Il Premio della Critica è suo ma per ambire alla vittoria finale forse serviva qualcosa di più. Io personalmente l’avevo preferita nella sua precedente partecipazione con “Cosa ti aspetti da me”.
IL VOLO – tentano la carta del pop nobile abbandonando così il canto lirico, il loro tratto peculiare. Che dire? Mi sembrava una banale canzone d’amore, innocua, ma poi mi sono trovato ad ascoltarla mentre giocavo abbracciato a mio figlio piccolo e un po’ mi sono commosso…
ALESSANDRA AMOROSO – arrivata al Festival fuori tempo massimo dopo anni di attesa, sembra un po’ superata nei gusti dei più giovani (o del pubblico in generale), eppure ha presentato una canzone più che dignitosa, ed è parsa misurata e assai rispettosa della manifestazione. Dal mio punto di vista promossa.
ALFA – ok, il suo brano come ho avuto modo di sottolineare qua e là in alcuni commenti. è una sorta di plagio mascherato ma come si fa a voler male a sto ragazzo, il cui talento pop pare comunque evidente? Il duetto con Vecchioni poi mi ha veramente emozionato!
GAZZELLE – all’esordio su questo palco a mio avviso se l’è cavata, e la posizione buona certifica come sia riuscito a convincere anche chi magari lo conosceva meno. La sua è un’onesta ballata, interpretata bene alla sua maniera.
IL TRE – altra rivelazione, per una canzone partita in sordina ma cresciuta una volta inserito il televoto. A me però non ha colpito particolarmente, mi aspettavo del rap fatto bene, invece il Nostro è andato molto sul sicuro.
DIODATO – la sua canzone era la mia preferita sin dal primo ascolto, pur ammettendo che non raggiungeva per pathos la precedente “Fai rumore”, che a Sanremo vinse nel 2020. Cosa aggiungere? Diodato è un artista ormai con uno stile personale e riconoscibile, così come la sua classe innata.
EMMA – per me è rimasta a metà del guado, con un brano pronto a esplodere, moderno, ben congegnato ma a cui mancava qualcosa, forse un ritornello incisivo. La posizione comunque dignitosa rispecchia in fondo il mio pensiero.
FIORELLA MANNOIA – a metà classifica si piazza anche lei, che mi aveva convinto già dalla prima serata. Ok, al Festival era stata più volte e sempre con soddisfazione; qui ha tentato una carta vagamente etnica, con un testo bello e col giusto grado di “impegno”, che meritatamente si è aggiudicato il relativo premio.
THE KOLORS – pezzo senza infamia e senza lode, una replica meno riuscita di “Italo Disco” con in più qualche rimando alla vecchia “Salirò” di Daniele Silvestri, come fosse però più che altro un omaggio velato. Si sono divertiti, hanno fatto ballare, credo non avessero velleità di vittoria.
MR. RAIN – è stato coraggioso, o forse avventato a seconda dei punti di vista, a tornare al Festival a un solo anno di distanza dopo oltretutto un grande exploit come “Supereroi”. Non demerita ma neppure stupisce con un brano molto simile a quello per stile ma anche meno impattante.
SANTI FRANCESI – hanno sorpreso in positivo il pubblico generalista che forse non li conosceva bene ma era piuttosto risaputa in loro una certa classe formale e interpretativa. Possono avere un buon futuro, non mi spiacerebbe però sentire un po’ di mordente in più.
NEGRAMARO – posso dirlo? Il vero flop dell’edizione sono stati i Negramaro, altro che nel lontano 2005, quando furono clamorosamente eliminati fra le “Nuove proposte”. Là si trattò di un abbaglio generale a fronte di un pezzo meraviglioso come “Mentre tutto scorre”, qui invece il tutto sa di occasione mancata. Premesso che a me la canzone è piaciuta, ma ha pagato non solo una melodia non propriamente orecchiabile e facile, ma anche un cantato un po’ sofferente, e la cosa stride se pensiamo alle innegabili qualità vocali di Giuliano Sangiorgi.
DARGEN D’AMICO – per me il caso di Dargen D’Amico al Festival rappresenta una contraddizione, perché se è indubbio che il suo intento e i suoi interventi extramusicali siano oltremodo lodevoli, mi mette un po’ a disagio poi trovarmi a cantare e ballare allegramente frasi come “sta arrivando, sta arrivando l’onda alta”… insomma, è un tema importante e così invece mi pare venga, non dico banalizzato ma quanto meno frainteso, ecco. Invece il suo messaggio necessitava di arrivare a tutti con la stessa forza e dirompenza, senza equivoci di sorta.
RICCHI E POVERI – mi stanno simpatici e mi ricordano i vecchi Festival vissuti assieme alla mia carissima nonna Gisella, ma già nel ’85 avrei preferito la vittoria del giovanissimo Luis Miguel al posto loro. Scherzi a parte, non è riuscita per me l’operazione ripescaggio, la canzone la trovo davvero vacua, nonostante avesse un bel significato di fondo.
BIG MAMA – non mi ha entusiasmato particolarmente, anche qui una produzione danzereccia ha macchiato quello che poteva diventare un brano “profondo”; peccato perché da come ne avevo sentito parlare mi aspettavo qualcosa di più viscerale e passionale.
ROSE VILLAIN – a mio avviso la posizione è addirittura troppo alta. La bella Rose Villain non incanta con la sua canzone, che inizia in un modo per sfociare in un ritornello ritmato utile per TikTok et similia ma del tutto inadeguato per un palco così. Anche il duetto con la Nannini non ha aiutato a farle guadagnare punti in classifica, vista la precaria esecuzione al cospetto di una gigante della nostra musica.
CLARA – a mio avviso non ha demeritato, si tratta pur sempre di un’esordiente, che però rischia di perdersi nel marasma di proposte similari e poco personali. Probabilmente le andrà meglio con la carriera di attrice dove pare lanciatissima grazie al successo di “Mare fuori”, ma una chance nella musica merita di giocarsela.
RENGA NEK – non avevo grosse aspettative su questi nomi forti della mia generazione, però mi chiedo che senso abbia accumulare partecipazioni sanremesi tanto per? Come duo stanno ottenendo nuovi consensi, hanno rivitalizzato un po’ la loro già gloriosa carriera ma allora perché non provare a portare un brano da lasciare a bocca aperta, anziché una onesta ballata sull’amore “adulto” che si fa ascoltare ma senza mai sfociare in una direzione precisa? Spiace ammetterlo ma il verdetto così severo in fase di classifica mi trova tutto sommato d’accordo.
MANINNI – non mi ha sorpreso, nel senso che conoscevo la sua capacità melodica e il suo buon gusto pop. La ballata è un po’ all’acqua di rose ma comunque carina e dal bel ritornello. Meritava una posizione più alta.
LA SAD – Che vi devo dire? A me non urtano le loro creste o i loro piercing (ci mancherebbe, ai miei tempi imperversavano i Prodigy e Marylin Manson che a loro volta a quelli più vecchi di me facevano ancora meno paura), e la canzone ascoltata in radio è pure passabile (si sente la mano di Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari nel testo) ma sto atteggiamento ribelle, le urla, la finta tragressione proprio sì, questi aspetti li trovo ridicoli. Alla fine come accadde anni fa con il caso di Junior Cally, tanto rumore per nulla!
BNKR44 – i più innocui però sono loro, sei ragazzini spacciati addirittura per boy-band e che portano in scena una canzone così leggera da passare del tutto inosservata. Era necessario a mio avviso per loro un altro step, la famosa categoria delle “Nuove Proposte” purtroppo abolita in questa gestione ma hanno ovviamente tutto il tempo davanti per costruirsi una carriera.
SANGIOVANNI – che delusione il buon Sangiovanni... capisco il voler evolversi e mostrare un lato più maturo ma la sua canzone, che magari necessita di più ascolti, è apparsa da subito deboluccia, quasi impalpabile. Magari in canna ha qualche hit pronta per l’estate, e a questo punto glielo auguro perché altrimenti rischia l’anonimato. Ha dimostrato delle capacità ma per restare nel tempo bisogna quanto meno rimanere allineati con proprio pubblico, sperando di conquistarne un altro. L’intento credo fosse quello ma serviva allora un pezzo migliore, più a fuoco.
FRED DE PALMA – il re del reggaeton italiano tenta la carta della “serietà” con una canzone poco nelle sue corde e che non arriva a scuotere gli ascoltatori. Troppo “Lazza” per sembrare autentico. Meglio torni a fare il suo, visto che di successi ne aveva messi in fila parecchi.
Si chiude così il “regno” di Amadeus come deus ex machina del Festival di Sanremo, un quinquennio incredibilmente positivo in quanto a riscontri oggettivi – audience e i tanti successi partiti da qui – ma che proprio in occasione della sua ultima volta ha iniziato a mostrare segni di stanchezza, tanto che quella appena conclusa mi è sembrata l’edizione meno interessante dal punto di vista musicale, e pertanto a mio avviso meno riuscita. Certo è che il suo successore si troverà a raccogliere un’eredità pesantissima ma è arrivato il tempo di cambiare nuovamente la faccia di questa manifestazione storica e importante che ogni anno tiene incollato milioni di telespettatori animando infinite discussioni.
Viva Sanremo!