Alla scoperta di Valerio Bruner, autore di “Vicarìa”, album dai pregevoli spunti letterari e musicali

Tra i tanti dischi che mi capitano di ascoltare me ne giungono alcuni che, in ordine temporale, sono usciti diverso tempo fa, il che renderebbe difficile per me poi recuperarli ai fini di una recensione; tuttavia, come dico sempre, la buona musica non ha una scadenza, e soprattutto se ascolto delle canzoni è per il puro piacere di farlo, non necessariamente quindi legato poi al fatto che ne dovrò scrivere da qualche parte.

E di musica, anche buona grazie al cielo, ne viene realizzata molta ancora oggi, e capita quindi di “sfruttare” questo blog per andare a segnalarla, come nel caso di oggi, visto che il personaggio in questione, e il lavoro che ha realizzato, merita assolutamente di essere conosciuto.

Valerio Bruner è un artista napoletano trentaseienne che vanta una lunga esperienza non solo in ambito prettamente musicale, visto che è impegnato ad esempio anche nel teatro, ma che in special modo proprio grazie alla magia delle sette note ha saputo coltivare e miscelare diverse passioni e inclinazioni, costruendosi una via personale, uno stile che diventa presto riconoscibile, basta davvero mettersi all’ascolto dei suoi lavori, purtroppo non così facilmente reperibili ma dei quali si può comunque trovare traccia.

Credit foto: Arianna Di Micco

Il suo ultimo disco in ordine di tempo è anche il suo progetto più compiuto, quello dove si è riappropriato pianamente delle sue radici: “Vicarìa” prende il nome dall’omonimo quartiere della sua città, dove è cresciuto, una zona di Napoli in qualche modo dimenticata, di confine non puramente geografico ma più che altro fra quella parte più rinomate e l’altra, quella non più “alla moda”.
Ed è proprio agli ultimi, ai più emarginati, a quelli che non vivono sotto i riflettori che Bruner ha sentito l’esigenza di dare voce, di dare dignità.

Avendo soggiornato spesso e volentieri a Londra – che ritiene in qualche modo speculare alla sua Napoli, città dalla quale sente talvolta di “fuggire” per poi farne inevitabilmente ritorno, come ne fosse inestricabilmente richiamato – e avendone assorbito le istanze culturali e artistiche, gli è venuto naturale interpretare in lingua inglese i suoi primi dischi, tutti significativi non solo per i contenuti importanti ma anche per la pregevole ricerca musicale, all’insegna di un rock ruvido, trascinante e suggestivo al tempo stesso.

Pensiamo quindi al suo esordio discografico assoluto, segnato da “Down the River” (2017), cui hanno fatto seguito due progetti incentrati sull’universo femminile (“La Belle Dame”) i cui proventi furono destinati all’Associazione Le Kassandre che si occupa del tema ahimè sempre drammaticamente attuale della violenza sulle donne.

Tuttavia per valorizzare appieno il suo nuovo progetto, l’artista, nelle cui vene scorre il rock di mostri sacri come Bruce Springsteen e il fuoco irruente del punk, Bruner ha optato per la lingua napoletana, anche rifacendo dei classici della musica internazionale, rendendoli oltretutto in maniera assai credibile.

Dotato di una voce graffiante ed espressiva, Valerio Bruner, rinnovato il sodalizio con il valente musicista e produttore Alessandro Liccardo – il quale ha composto le musiche del disco su testi dello stesso Bruner, oltre ad aver suonato le chitarre – ha così amalgamato le sue due anime, una più europea e l’altra legata alla sua Terra, realizzando un’opera assai interessante, tra rock, folk, blues e la canzone d’autore.

Credit foto: Arianna Di Micco

L’album è stato presentato una prima volta il 26 maggio scorso presso lo Spazio Comunale Forcella e il 5 giugno in un concerto presso il Carcere di Secondigliano per un gruppo  di  detenuti  di  alta  sicurezza, un’esperienza per lui unica e molto emozionante.

In “Vicarìa” hanno suonato i fidati Antonio Castaldo al basso e Alfonso Capone alla batteria e collaborato nomi prestigiosi quali la grande Brunella Selo nell’intensa “Tutto e niente” (davvero riuscita la commistione delle due voci) e Marilena Vitale, che ha scritto “Ya No Me Voy”, versione in portoghese della già nota “Sempe Ccà”, una delle canzoni più significative del lotto.
Il brano infatti era stato scritto due anni prima da Valerio Bruner in memoria dell’amico Mario Paciolla, giovane cooperante ONU scomparso in circostanze misteriose in Colombia. “Sempe Ccà” faceva parte di un progetto più ampio, fungendo da colonna sonora per il film documentario “Come fuoco”.

Nel momento di mettere nero su bianco il nuovo disco (pubblicato per l’etichetta indipendente napoletana Santa Marea Sonora Records), Valerio ha voluto comunque inserire in coda alla scaletta il brano in questione, in chiave acustica e come ghost track.

Detto ciò, andando più a fondo con la presentazione del lavoro, a colpire sono le intense liriche e la giusta alchimia tra musica e parole di quei brani inediti posti invece in apertura, vale a dire “Priavamo a Dio” – davvero suggestiva e in grado di trasmettere emozioni tangibili all’ascoltatore – e “Core Mio”, altrettanto coinvolgente, esempi lampanti del talento narrativo e poetico del Nostro.

Il rock torna vivido e pulsante in “Carne ‘e Maciello”, mentre reminiscenze folk ammantano la morbida “Ave Maria” che fa da preludio a “Maronna Nera”, ottimo rifacimento della celebre “House of the Rising Sun”, in cui Bruner mostra ottime doti interpretative e vocali.

Nell’album quest’ultima è inserita in versione live, così come le seguenti “Napule Chiamma”, cover di “London Calling” dei maestri Clash, gruppo a cui Bruner deve indubbiamente molto per la sua formazione, e “Arraggia ‘E Chi Nun Vence Maje (Hey Hey, My My)”.

Credit foto: Arianna Di Micco

“Vicarìa” mette in mostra quindi tutto il valore del suo autore, che tra le pieghe di queste canzoni sembra essersi svuotato, avendo riversato tutto se stesso: è un lavoro vivo, autentico, passionale, che giunge con forza lanciando un messaggio di speranza, ammonendoci di non volgere lo sguardo da un’altra parte quando vediamo chi sta realmente in difficoltà. Perché nonostante la società sembra volerci imporre per forza solo determinati modelli vincenti, è giusto ricordare che esiste un popolo che non si riconosce in quei valori spesso artificiosi e che ogni giorno combatte non solo per affermarsi ma proprio per condurre in porto al meglio la propria vita.

Recensione di “Aleph”, nuovo album della cantautrice Pamela Guglielmetti

Sono convinto che nel panorama della musica d’autore nostrana ci sia tantissimo fermento: un anno fa di questi tempi stava raccogliendo grandi consensi la pubblicazione di un’opera mastodontica, unica, come il Dizionario sui Cantautori e le Cantautrici del nuovo millennio di Michele Neri (direttore della prestigiosa rivista “Vinile”), a cui ebbi modo di collaborare anch’io occupandomi di un centinaio di schede.

Lì dentro erano raccolti migliaia di nomi emersi appunto dagli anni duemila in poi, alcuni di essi (o forse la maggior parte) diranno poco alla massa, essendo parecchio di nicchia, ma ciò non toglie che le loro siano opere di valore, assolutamente meritevoli di citazione. In fondo le cose basterebbe iniziare a conoscerle per poi apprezzarle, e come detto di carne al fuoco ce n’è tanta, soprattutto di sostanza.

Pamela Guglielmetti non si può certo definire un’artista alle prime armi, anzi, può già vantare un curriculum di tutto rispetto, eppure meriterebbe decisamente di più, perché nelle sue canzoni si percepisce, oltre ad un’autentica passione per il canto nelle sue varie forme, quanta ricerca vi sia tra quelle note, quanti stimoli riesca poi a incanalare al meglio sotto forma di musica.

La cantautrice Pamela Guglielmetti – (Credit foto: Franco Marino)

Si tratta di un’artista davvero poliedrica, in grado di miscelare diverse sue attitudini tra i solchi dei dischi, in quanto è facile ritrovarvi dentro la sua esperienza anche di attrice e di scrittrice.
“Aleph” (La Stanza Nascosta Records) è il suo ultimo lavoro in ordine di tempo, pubblicato sul finire dell’anno scorso, e sin dal titolo non nasconde una natura letteraria, dei riferimenti “nobili” che poi andranno a riflettersi sui vari brani (12) in scaletta.

Per la cantautrice una parola come Aleph rappresenta tanti significati, e li possiamo ritrovare allacciandosi alla raccolta di racconti del grande Jorge Luis Borges, ma anche (e soprattutto) considerando questo termine come il numero zero, da dove ogni cosa prende forma e ogni cosa inevitabilmente finisce.

Aleph è pure la prima lettera dell’alfabeto fenicio e di quello ebraico, insomma, non mancano i rimandi e le interpretazioni, ma la stessa autrice ha spiegato che il nome è adattissimo al contesto del disco proprio perché rappresenta il punto di confine dove il tempo e lo spazio si fondono, dando modo di ricostruirsi e rinnovarsi.

Una premessa simile è doverosa, oltre che utile a contestualizzare l’opera ma si rischierebbe di farla passare come troppo “cervellotica” o teorica, e se è vero che nessun elemento è lasciato al caso bisogna anche ammettere che il tutto poi all’ascolto risulta piacevole e assolutamente fruibile.

Non c’è nessuna intenzione pretenziosa della Nostra, solo il bisogno di comunicare vivide emozioni attraverso dodici canzoni accomunate magari da un punto di vista prettamente musicale (con gli arrangiamenti ad opera di Salvatore Papotto a fare spesso e volentieri la differenza!) ma tutte con delle storie diverse da raccontare, degli stati d’animo da scandagliare.

La copertina di “Aleph”, il nuovo album di Pamela Guglielmetti

Scritto interamente dalla Guglielmetti (assieme al valente Franco Tonso che l’ha coadiuvata nelle musiche) “Aleph” incanta già dalla opening track, una “Lascio che sia” dai toni fortemente autobiografici, per poi colpire emotivamente con la successiva “Alisha”, una canzone di estrema bellezza.

In un apparato musicale che si avvale principalmente di voce e pianoforte, arrivano anche dei momenti a sparigliare le carte, come accade all’altezza della terza traccia, nella frizzante e cadenzata “Un sogno per Cloe”, più che altro recitata e sorretta dalle programmazioni elettroniche del già citato Salvatore Papotto, o ne “La quarta casa” che risalta col suo ritmo incalzante e le musiche che donano un che di esotico ad un brano dove riemergono dei riferimenti personali.


I pezzi forti però risiedono a mio avviso altrove, si trovano ad esempio tra le note dolenti e cariche di pathos di “Uomo di carta”, in una “Rinascere d’inverno” dai cenni poetici e in particolar modo nell’accorata “Dio degli ultimi”, che spicca per un testo meraviglioso.

(Credit foto: Franco Marino)

Ritengo giusto menzionare anche “Terra di vento”, forte di un arrangiamento che ne acuisce i toni evocativi e la struggente “Non andare via”, posta in chiusura, magnifica cover di “Ne me quitte pas” del cantautore Jacques Brel, qui nella versione scritta da Gino Paoli e portata al successo da Patty Pravo.

“Aleph” è un disco che conferma appieno il talento di un’artista come Pamela Guglielmetti, ormai del tutto padrona della sua arte e vicina a trovare una via musicale sempre più originale e personale.

Sanremo 2024: il bilancio finale – nell’ultima edizione targata Amadeus trionfa Angelina Mango

L’ultima edizione del Festival di Sanremo targata Amadeus andrà agli annali come la più magniloquente a livello di “numeri”, debordanti per quanto riguarda gli ascolti ma pure banalmente per il numero di canzoni presentate in gara.
Se sul primo punto posso solo limitarmi ad applaudire l’operato del conduttore, che di certo ha riportato la kermesse a punte di popolarità vicine solo a certe annate legate al nome di Pippo Baudo, sul secondo invece sin da subito avevo espresso dei dubbi, gli stessi che ho nel vedere eliminata del tutto una categoria importante come le “Nuove Proposte”.

Trenta canzoni tutte insieme in gara sono tante, troppe, col rischio che molte di esse passino in silenzio, non riuscendo a emergere, regalando sì un momento “di gloria” ad artisti trovatosi lì magari per scommessa del direttore artistico, ma più di tutto mi sorge la domanda (a cui pleonasticamente vado subito a rispondere) se fossero tutte così “indispensabili”, tutte immancabili all’interno del carrozzone, impossibili insomma da escludere in fase di selezione che, ricordiamo, si è tenuta al cospetto di centinaia di titoli giunti all’attenzione.
No, non erano tutti brani sopra la media, ma probabilmente pensati per lo più in ottica futura, il ché va anche bene, ma non sarebbe meglio una rassegna che, senza rinunciare alla matrice “popolare” non desse spazio alle tante espressioni artistiche rappresentate in Italia negli anni?

Non si è troppo spinto l’acceleratore in direzione di una propensione radiofonica, smaccatamente commerciale dei pezzi? Per me sì, ma ripeto non sarebbe un peccato capitale se solo avessimo ascoltato trenta capolavori!
Cosa rimane invece? La sensazione di aver ascoltato canzoni abbastanza “di passaggio” nell’ambito della storia del Festival con brani piacevoli, orecchiabili, persino “ballabili” ma senza i crismi del classico. Senza che a un primo ascolto ci si potesse ritrovate a dire “wow”.

Non occorre in fondo scomodare i classici del passato per avvalorare la mia tesi, basti rapportare il livello delle canzoni in gara quest’anno a quello di “Due vite” di Marco Mengoni, che giusto dodici mesi fa ci diede già chiara la sensazione di trovarsi davanti a un brano che indiscutibilmente fosse da primo posto, quasi una “vittoria annunciata”. La sua era una canzone “forte”, da inserire di diritto tra le punte di diamante del suo percorso, e se da una parte è forse più interessante e democratico che ci siano più titoli candidabili a issarsi in cima alla graduatoria, la cosa perde valore se generalmente il livello della rassegna è mediamente più basso.

Vorrei sorvolare – ma è abbastanza impossibile farlo senza venire fraintesi – sulle polemiche sollevate alla parziale proclamazione del primo posto a Geolier, ma proprio si è trattato di un momento brutto, di una mancanza di rispetto grave nei confronti dell’artista, specie se certe illazioni sono state supportate dalla stampa stessa.
A mio avviso (come vedremo tra poco nel dettaglio) la canzone del giovane trapper napoletano non era la migliore fra le trenta in gara ma lo stesso meccanismo di giudizio (che poi lo ha visto perdere in volata, perché si sa che non esiste solo il televoto) non può andarci bene solo quando va a premiare chi vogliamo noi!

E allora tutti contenti che abbia vinto l’esordiente di lusso, Angelina Mango, figlia d’arte degna di un grandissimo artista che invero qui su questo palco non ottenne mai quei riconoscimenti che sarebbero stati meritati, gli stessi che ha avuto invece lei, la ex di “Amici” con un brano fresco, ballabile, interpretato con assoluta naturalezza e consapevolezza dei propri grandi mezzi, al di là di un genuino stupore manifestato all’annuncio del suo exploit. ll trionfo di Angelina è stato poi supportato anche da altri due riconoscimenti, il premio della sala stampa e quello per la migliore composizione musicale. Ma la sua è stata davvero la migliore canzone di questo Sanremo 2024?

Di seguito ecco un mio commento ad ogni partecipante in ordine di classifica:


ANGELINA MANGO – poco da aggiungere sulla sua vittoria, che ci sta e non fa storcere alcun naso. Angelina continua la sua imperiosa ascesa nel mondo del pop nostrano, anche se verrà ricordata (almeno da me) soprattutto per l’intensa ed emozionante rivisitazione del classico del padre “La rondine”.

GEOLIER – rappresentava la quota “giovanilistica” dell’edizione, volendo proprio generalizzare, la stessa occupata da Lazza l’anno scorso, e allo stesso modo ne eguaglia il risultato, portando se stesso al Festival. Nel suo ha fatto un figurone!

ANNALISA – partita come sempre con grandi favori dei pronostici, forte dello straordinario successo dei suoi singoli ammazzaclassifica, nemmeno stavolta alla bella Annalisa è riuscita l’impresa di vincere a Sanremo. Le sta tentando tutte: ballate classiche, moderne, brani frizzanti e spigliati, ora pure la carta del potenziale tormentone. Ecco, questa canzone si aggiungerà a quella schiera, ma non aveva a mio avviso lo spessore per vincere. Direte che la stessa cosa valeva per il brano di Angelina ma tant’è, è andata così…

GHALI – una delle rivelazioni di questo Festival è stato senz’altro lui, che arriva con un pezzo adatto al contesto, pur non snaturando la sua indole. Bel messaggio il suo mandato soprattutto nella serata delle cover, di identità nazionale che non smarrisce la propria storia.

IRAMA – il suo pezzo è cresciuto con gli ascolti, dopo una prima esibizione vocalmente incerta. Pur non raggiungendo le vette della precedente “Ovunque sarai”, prosegue felicemente su quella falsariga intimista.

MAHMOOD – libero di sperimentare senza dover dimostrare niente a nessuno dopo due Festival vinti, Mahmood porta in gara una canzone musicalmente notevole, purtroppo non coadiuvata da un testo all’altezza.

LOREDANA BERTÈ – salutata dal tripudio della sala stampa e da forti consensi popolari, Loredana si mostra in gran forma con un brano cucito apposta su di lei. Il Premio della Critica è suo ma per ambire alla vittoria finale forse serviva qualcosa di più. Io personalmente l’avevo preferita nella sua precedente partecipazione con “Cosa ti aspetti da me”.

IL VOLO – tentano la carta del pop nobile abbandonando così il canto lirico, il loro tratto peculiare. Che dire? Mi sembrava una banale canzone d’amore, innocua, ma poi mi sono trovato ad ascoltarla mentre giocavo abbracciato a mio figlio piccolo e un po’ mi sono commosso…

ALESSANDRA AMOROSO – arrivata al Festival fuori tempo massimo dopo anni di attesa, sembra un po’ superata nei gusti dei più giovani (o del pubblico in generale), eppure ha presentato una canzone più che dignitosa, ed è parsa misurata e assai rispettosa della manifestazione. Dal mio punto di vista promossa.

ALFA – ok, il suo brano come ho avuto modo di sottolineare qua e là in alcuni commenti. è una sorta di plagio mascherato ma come si fa a voler male a sto ragazzo, il cui talento pop pare comunque evidente? Il duetto con Vecchioni poi mi ha veramente emozionato!

GAZZELLE – all’esordio su questo palco a mio avviso se l’è cavata, e la posizione buona certifica come sia riuscito a convincere anche chi magari lo conosceva meno. La sua è un’onesta ballata, interpretata bene alla sua maniera.

IL TRE – altra rivelazione, per una canzone partita in sordina ma cresciuta una volta inserito il televoto. A me però non ha colpito particolarmente, mi aspettavo del rap fatto bene, invece il Nostro è andato molto sul sicuro.

DIODATO – la sua canzone era la mia preferita sin dal primo ascolto, pur ammettendo che non raggiungeva per pathos la precedente “Fai rumore”, che a Sanremo vinse nel 2020. Cosa aggiungere? Diodato è un artista ormai con uno stile personale e riconoscibile, così come la sua classe innata.

EMMA – per me è rimasta a metà del guado, con un brano pronto a esplodere, moderno, ben congegnato ma a cui mancava qualcosa, forse un ritornello incisivo. La posizione comunque dignitosa rispecchia in fondo il mio pensiero.

FIORELLA MANNOIA – a metà classifica si piazza anche lei, che mi aveva convinto già dalla prima serata. Ok, al Festival era stata più volte e sempre con soddisfazione; qui ha tentato una carta vagamente etnica, con un testo bello e col giusto grado di “impegno”, che meritatamente si è aggiudicato il relativo premio.

THE KOLORS – pezzo senza infamia e senza lode, una replica meno riuscita di “Italo Disco” con in più qualche rimando alla vecchia “Salirò” di Daniele Silvestri, come fosse però più che altro un omaggio velato. Si sono divertiti, hanno fatto ballare, credo non avessero velleità di vittoria.

MR. RAIN – è stato coraggioso, o forse avventato a seconda dei punti di vista, a tornare al Festival a un solo anno di distanza dopo oltretutto un grande exploit come “Supereroi”. Non demerita ma neppure stupisce con un brano molto simile a quello per stile ma anche meno impattante.

SANTI FRANCESI – hanno sorpreso in positivo il pubblico generalista che forse non li conosceva bene ma era piuttosto risaputa in loro una certa classe formale e interpretativa. Possono avere un buon futuro, non mi spiacerebbe però sentire un po’ di mordente in più.

NEGRAMARO – posso dirlo? Il vero flop dell’edizione sono stati i Negramaro, altro che nel lontano 2005, quando furono clamorosamente eliminati fra le “Nuove proposte”. Là si trattò di un abbaglio generale a fronte di un pezzo meraviglioso come “Mentre tutto scorre”, qui invece il tutto sa di occasione mancata. Premesso che a me la canzone è piaciuta, ma ha pagato non solo una melodia non propriamente orecchiabile e facile, ma anche un cantato un po’ sofferente, e la cosa stride se pensiamo alle innegabili qualità vocali di Giuliano Sangiorgi.

DARGEN D’AMICO – per me il caso di Dargen D’Amico al Festival rappresenta una contraddizione, perché se è indubbio che il suo intento e i suoi interventi extramusicali siano oltremodo lodevoli, mi mette un po’ a disagio poi trovarmi a cantare e ballare allegramente frasi come “sta arrivando, sta arrivando l’onda alta”… insomma, è un tema importante e così invece mi pare venga, non dico banalizzato ma quanto meno frainteso, ecco. Invece il suo messaggio necessitava di arrivare a tutti con la stessa forza e dirompenza, senza equivoci di sorta.

RICCHI E POVERI – mi stanno simpatici e mi ricordano i vecchi Festival vissuti assieme alla mia carissima nonna Gisella, ma già nel ’85 avrei preferito la vittoria del giovanissimo Luis Miguel al posto loro. Scherzi a parte, non è riuscita per me l’operazione ripescaggio, la canzone la trovo davvero vacua, nonostante avesse un bel significato di fondo.

BIG MAMA – non mi ha entusiasmato particolarmente, anche qui una produzione danzereccia ha macchiato quello che poteva diventare un brano “profondo”; peccato perché da come ne avevo sentito parlare mi aspettavo qualcosa di più viscerale e passionale.

ROSE VILLAIN – a mio avviso la posizione è addirittura troppo alta. La bella Rose Villain non incanta con la sua canzone, che inizia in un modo per sfociare in un ritornello ritmato utile per TikTok et similia ma del tutto inadeguato per un palco così. Anche il duetto con la Nannini non ha aiutato a farle guadagnare punti in classifica, vista la precaria esecuzione al cospetto di una gigante della nostra musica.

CLARA – a mio avviso non ha demeritato, si tratta pur sempre di un’esordiente, che però rischia di perdersi nel marasma di proposte similari e poco personali. Probabilmente le andrà meglio con la carriera di attrice dove pare lanciatissima grazie al successo di “Mare fuori”, ma una chance nella musica merita di giocarsela.

RENGA NEK – non avevo grosse aspettative su questi nomi forti della mia generazione, però mi chiedo che senso abbia accumulare partecipazioni sanremesi tanto per? Come duo stanno ottenendo nuovi consensi, hanno rivitalizzato un po’ la loro già gloriosa carriera ma allora perché non provare a portare un brano da lasciare a bocca aperta, anziché una onesta ballata sull’amore “adulto” che si fa ascoltare ma senza mai sfociare in una direzione precisa? Spiace ammetterlo ma il verdetto così severo in fase di classifica mi trova tutto sommato d’accordo.

MANINNI – non mi ha sorpreso, nel senso che conoscevo la sua capacità melodica e il suo buon gusto pop. La ballata è un po’ all’acqua di rose ma comunque carina e dal bel ritornello. Meritava una posizione più alta.

LA SAD – Che vi devo dire? A me non urtano le loro creste o i loro piercing (ci mancherebbe, ai miei tempi imperversavano i Prodigy e Marylin Manson che a loro volta a quelli più vecchi di me facevano ancora meno paura), e la canzone ascoltata in radio è pure passabile (si sente la mano di Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari nel testo) ma sto atteggiamento ribelle, le urla, la finta tragressione proprio sì, questi aspetti li trovo ridicoli. Alla fine come accadde anni fa con il caso di Junior Cally, tanto rumore per nulla!

BNKR44 – i più innocui però sono loro, sei ragazzini spacciati addirittura per boy-band e che portano in scena una canzone così leggera da passare del tutto inosservata. Era necessario a mio avviso per loro un altro step, la famosa categoria delle “Nuove Proposte” purtroppo abolita in questa gestione ma hanno ovviamente tutto il tempo davanti per costruirsi una carriera.

SANGIOVANNI – che delusione il buon Sangiovanni... capisco il voler evolversi e mostrare un lato più maturo ma la sua canzone, che magari necessita di più ascolti, è apparsa da subito deboluccia, quasi impalpabile. Magari in canna ha qualche hit pronta per l’estate, e a questo punto glielo auguro perché altrimenti rischia l’anonimato. Ha dimostrato delle capacità ma per restare nel tempo bisogna quanto meno rimanere allineati con proprio pubblico, sperando di conquistarne un altro. L’intento credo fosse quello ma serviva allora un pezzo migliore, più a fuoco.

FRED DE PALMA – il re del reggaeton italiano tenta la carta della “serietà” con una canzone poco nelle sue corde e che non arriva a scuotere gli ascoltatori. Troppo “Lazza” per sembrare autentico. Meglio torni a fare il suo, visto che di successi ne aveva messi in fila parecchi.

Si chiude così il “regno” di Amadeus come deus ex machina del Festival di Sanremo, un quinquennio incredibilmente positivo in quanto a riscontri oggettivi – audience e i tanti successi partiti da qui – ma che proprio in occasione della sua ultima volta ha iniziato a mostrare segni di stanchezza, tanto che quella appena conclusa mi è sembrata l’edizione meno interessante dal punto di vista musicale, e pertanto a mio avviso meno riuscita. Certo è che il suo successore si troverà a raccogliere un’eredità pesantissima ma è arrivato il tempo di cambiare nuovamente la faccia di questa manifestazione storica e importante che ogni anno tiene incollato milioni di telespettatori animando infinite discussioni.

Viva Sanremo!

Festival di Sanremo 2024 – un commento al primo ascolto dei trenta (!) brani in gara

E’ stata una vera maratona quella di ieri sera in occasione della prima serata del Festival di Sanremo, l’ultimo targato Amadeus.
Un’edizione che a un primo ascolto ci consegna alcune canzoni dal livello generalmente medio-alto ma che, in quanto formata da ben trenta titoli, risente inevitabilmente anche di qualche calo qualitativo, con degli episodi davvero poco ispirati e che fanno gridare vendetta conoscendo alcuni nomi “scartati”. Specie nella seconda parte il livello sembra essersi abbassato, e lo dico non solo perché ci si stava inoltrando nelle ore tarde della notte.

È indubbio come la componente di orecchiabilita e modernità sia stata pressoché sempre presente in tutti gli anni del regno di Ama ma a mio avviso stavolta si è un po’ esagerato spingendo su sonorità up-tempo e pseudo-dance, inducendo magari in maniera inconsapevole gli artisti a uniformarsi troppo a certi stilemi.

In pratica i brani sono tutti assimilabili con facilità e ciò fa pensare che avranno una buona diffusione radiofonica.
Detto ciò qualcuno di questi crescerà con gli ascolti, altri molto probabilmente verranno a noia presto ma rimango della mia idea e in generale quindi sento di dire che da una parte è giusto che il Festival voglia stare al passo coi tempi e rinnovarsi, ma nel farlo dovrebbe mantenere la propria identità… ieri sembrava davvero di vedere (e soprattutto sentire) una puntata del Festivalbar!

Dopo questa premessa, ecco di seguito i miei commenti a ogni singola canzone in gara dopo il primo ascolto:

CLARA –  ottima presenza scenica, ha cantato con la giusta sicurezza, pur essendo quasi un’esordiente assoluta. Il pezzo è moderno e dal  ritornello efficace, mettiamoci poi che sto guardando l’ultima serie di “Mare fuori” e, insomma, io la promuovo.

FIORELLA MANNOIA –  pezzo di matrice etnica, sullo stile di Mannarino, che Fiorella interpreta magnificamente. Arrangiamento sublime.

LA SAD – no, non è per partito preso o per pregiudizio ma la loro presenza è inspiegabile, e non basta il bravo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari a confezionare un brano che, se nelle intenzioni dovrebbe rappresentarli, in realtà finisce per farli sembrare una parodia dei Dari.

GHALI – il pezzo funziona, lui sembra divertirsi e il testo è interessante. Uno dei casi a cui accennavo dove il pezzo pare più adatto al Festivalbar che non al Festival di Sanremo.

IRAMA – forse non bisserà il successo della recente “Ovunque sarai” ma la matrice e’ quella, un pop d’autore interpretato con intensità.

NEGRAMARO – erano invero attesissimi e al netto di alcune imperfezioni vocali (sembra assurdo ma è così) del leader Giuliano Sangiorgi e di un arrangiamento a tratti sfarzoso alla Coldplay, la canzone risulta di gran spessore, candidata alla vittoria.

DIODATO – la classe fatta persona, una ballata degna delle sue migliori canzoni. Quello che mi è piaciuto di più.

MAHMOOD – al terzo Festival dopo due vittorie consecutive può permettersi di portare un pezzo ancora meno sanremese rispetto a “Soldi” e “Brividi”: il tutto risulta ottimamente prodotto e al solito cantato divinamente, lascia a desiderare però per alcune espressioni verbali.

ALESSANDRA AMOROSO – l’altra grande attesa del Festival assieme ai Negramaro, non delude le aspettative portando una canzone nelle sue corde. Non rischia sostanzialmente nulla ma di contro non raggiunge gli standard dei suoi successi passati.

ANNALISA – ogni anno parte favorita ma le manca sempre il pezzo per sbaragliare la concorrenza. Il brano è sullo stile dei suoi successi-tormentoni ma senza le stimmate per vincere.

ANGELINA MANGO – un brano molto rappresentativo della sua giovane carriera, un mix tra il suo stile è quello più sperimentale di Madame che con lei lo firma.

LOREDANA BERTÈ – il pezzo è cucito ad hoc su di lei ma manca di quel guizzo, di quell’energia che caratterizzava la precedente “Cosa ti aspetti da me”, più convincente e, a conti fatti, maggiormente nelle sue corde.

GEOLIER – probabilmente non bisserà il risultato di Lazza, del quale appare come degno erede al Festival ma la sua canzonr rimane impressa e, al netto di polemiche sterili sull’utilizzo scorretto dei dialetti, certamente raccoglierà grandi consensi tra i più giovani.

THE KOLORS – posso comprendere il voler replicare i fasti della loro hit “Italo Disco”, che in pratica li ha rilanciati ma per il palco di Sanremo si poteva cambiare registro puntando un po’ di più sulla sostanza. Ballabile, piacevole ma mi aspettavo di meglio.

SANGIOVANNI – si è percepito che il brano sia particolarmente sentito dal suo autore e probabilmente autobiografico ma rimane nel limbo, senza decollare.

IL VOLO – sin troppo classici e, paradossalmente, rinunciando quasi del tutto alla parte lirica lo sono ancora più che in passato. Non credo lasceranno il segno pur ritenendoli comunque sopra la media in quanto a tecnica e classe.

BIG MAMA – all’esordio in gara porta un brano potente e convincente nelle liriche ma comunque commestibile per le masse, finendo forse per snaturarsi.

RICCHI E POVERI – capisco l’effetto nostalgia ma davvero Amadeus ha ascoltato 200 pezzi peggio di questa? E lo dico con tutto il rispetto possibile per un’istituzione della musica italiana quali sono i Ricchi e Poveri… (a questo punto capisco l’ostinazione dei Jalisse nel voler riprovarci ogni anno).

EMMA – brano che non mi pare molto adatto a lei, che apprezzo in particolare per la grinta e l’intensità interpretativa: qui invece tutto rimane un po’ piatto senza che si imprima una svolta che pensavo arrivasse almeno in fase di ritornello.

RENGA NEK – i due figaccioni del pop italiano non sbracano tornando a livelli consoni al Festival dopo qualche caduta a vuoto. La canzone non è male ma nemmeno memorabile, credo rimarranno a metà del guado in fase di posizione finale.

MR. RAIN – difficile per lui riconfermarsi dopo l’exploit della scorsa edizione ma tutto sommato non sfigura portando un brano che ne certifica la sensibilità musicale e la nomea di rapper “buono”.

BNKR44 – mi hanno fatto un po’ tenerezza: la loro partecipazione certifica che uno dei pochi errori di Amadeus in questi anni sia stato quello di eliminare la categoria delle Nuove Proposte. I ragazzi portano una canzoncina senza infamia e senza lode, davvero non avevano niente di meglio in repertorio?

GAZZELLE – ammetto di apprezzarlo, lo considero tra i più bravi della sua generazione. Non ha rischiato molto e penso sia giusto così, in fondo pur famosissimo nel mondo indie non è conosciuto al grande pubblico sanremese. La sua è una ballata pop-rock che cresce pian piano fino al bel ritornello. Peccato per l’esecuzione vocale non immune da sbavature ma chi lo conosce sa che questa è un po’ una sua peculiarità, quasi una cifra stilistica.

DARGEN D’AMICO – mi è parso essere lì più che altro per riconoscenza. A questo punto reciproca tra lui e Amadeus ma mi era bastata “Dove si balla”, di pezzi pacchiani ne faccio a meno.

ROSE VILLAIN – un po’ come successo a Mara Sattei lo scorso anno, era attesa dopo l’exploit estivo e un altro bel singolo ma Sanremo è un’altra cosa. Bella vocalità, bella presenza ma la canzone non trasmette granché.

SANTI FRANCESI – raffinati ed eleganti, e questo lo si sapeva, fanno la loro bella figura, resta da capire che posticino potranno occupare nel panorama musicale italiano, visto che non sembrano ne’ troppo mainstream ne’ troppo alternativi.

FRED DE PALMA – a questo punto era meglio se portava un pezzo reggaeton, per quanto non digerisca molto il genere ma almeno lì era riconoscibile, con un proprio status; invece ha portato un pezzo sicuramente orecchiabile e vibrante ma forse più nelle corde di un Lazza. Insomma, fa il suo e il pezzo lo porta a casa ma non saprei garantire sull’autenticità.

MANINNI – risarcito dalla mancata qualificazione dell’anno scorso tra i Big porta una piacevole canzone pop, non molto innovativa a livello di sound ma che proprio per questo in fondo si fa distinguere tra i tanti brani di stampo dance sentiti in precedenza.

ALFA – il ragazzo mi è simpatico e ha una faccia pulita ma forse sarebbe stato più in linea vederlo a The Voice Junior. Battute a parte la canzone pur connotata da un’aura pop risulta sin troppo confusionaria e leggera, nonostante gli riconosca una certa originalità.

IL TRE – altro esponente della galassia rap/trap convertito anzitempo a sonorità vicine alla disco, porta un brano piuttosto debole e scarsamente ispirato a livello di testo. Papabile ultimo nella graduatoria finale.

Alla fine della prima tornata di voti i giornalisti in Sala Stampa premiano Loredana Bertè, seguita da Angelina Mango, Annalisa, Diodato e Mahmood ma il tutto ovviamente è molto parziale e immagino che tante posizioni siano in realtà separate da pochi punti.

Dopo un primo ascolto quindi le mie canzoni preferite sono quelle di Diodato, Fiorella Mannoia e Negramaro, seguiti da Gazzelle, Mahmood e Irama, mentre il pronostico per la vittoria finale va ad Angelina Mango, che però potrebbe essere insediata da Annalisa o da una Alessandra Amoroso, che percepisco come poco accreditata ma che potrebbe risultare una pericolosa outsider. Insomma, credo proprio che il 2024 vedrà premiata un’esponente femminile dopo un po’ di tempo e la cosa onestamente mi farebbe molto piacere, visto che in questi anni stanno emergendo diverse cantanti talentuose.

Aspettando il 2024… auguri di cuore a tutti voi!

Con questo post mi ritrovo a congedarmi dall’anno in corso traendo il consueto bilancio personale e soprattutto colgo l’occasione per guardare avanti con gli auguri per il nuovo che verrà.
Devo ammettere di trovarmi un po’ condizionato dallo scrivere proprio oggi, dato che da una settimana a questa parte in pratica io, mia moglie Maria Teresa e nostro figlio Luigi Maria siamo alle prese con una brutta influenza. Dirò di più, la più brutta dai tempi nefasti che poi portarono il sottoscritto a combattere contro una brutta malattia.
Ma non voglio (e non ha senso) far brutti pensieri al riguardo o allarmare voi lettori più fedeli che probabilmente sapete bene a cosa mi riferisco, avendone scritto al tempo nel dettaglio proprio in questo blog.
Sì, l’allusione è a quanto superai ormai più di dieci anni fa: la terribile sindrome di Lyell; e no, confermo, niente di tutto questo grazie a Dio, solo un’influenza che si sta trascinando nonostante si stiano facendo le cure possibili e il fatto che da giorni siamo tutti e tre rintanati a casa.

Passerà, spero presto, e allora ecco che nel guardarmi indietro non posso fare altro invece che ringraziare, perché il 2023 è stato un anno positivo su più fronti: personale, famigliare (soprattutto) ma anche professionale.

Inizio da quest’ultimo punto, che reputo positivo perché ho consolidato il lavoro “nuovo”, sempre come educatore ma non più come nei quasi vent’anni precedenti nel mondo della disabilità, visto che ora opero all’interno dei servizi sociali, nel contrasto alla povertà.
Un lavoro non facile, anzi, e che ha visto un crescendo di situazioni limite da affrontare e gestire, con la consapevolezza, maturata magari tardi, che non tutto dipenda da me e dai miei sforzi.
Ovvio, mi impegnerò al massimo fin dove posso ma è importante sapere che ho dei referenti anche qui con cui gestire, programmare, intervenire e a cui riportare anche le situazioni più complesse, che poi saranno eventualmente di competenza altrui.

Riguardo la scrittura, sono soddisfatto di aver mantenuto bene in vita questo prezioso spazio personale che è “Pelle e Calamaio” che, avrete capito, non curo come fosse una testata giornalistica (d’altronde non è mai stata quella la mia mission) ma che da sempre mi da’ modo di esprimermi in piena libertà e di divagare, affrontando argomenti e materie che più mi interessano, ragion per cui mi fanno piacere i parecchi riscontri ottenuti dai più recenti articoli qui pubblicati, e detto ciò un ringraziamento gigante va in primis ai miei lettori!

Ho terminato poi la stesura di un nuovo libro, scritto anche questo su commissione (come nel caso del mio titolo più recente, “Simon sono io”, su idea della Fondazione Franchin Simon Onlus di Montagnana, che tante soddisfazioni ci ha regalato): stavolta a rivolgersi a me è stato un amico d’infanzia, desideroso di portare alla luce una storia molto intima e toccante.
Si è trattato per me di un lungo viaggio, anche doloroso per certi versi visto il tema dell’opera, ma spero davvero ne sia valsa la pena, e che questa storia così importante per i protagonisti in gioco, e così intensa e difficile dal punto di vista emotivo per il sottoscritto, possa emozionare i lettori.

Il manoscritto è stato consegnato a chi di dovere e, se il cerchio si stringe, dovremmo con i primi mesi del 2024 essere pronti per la pubblicazione. Poi chissà se avrò il tempo e le modalità giuste per inoltrarmi in un nuovo romanzo, stavolta di pura narrativa dopo le ultime esperienze (importanti) legate appunto a due biografie.

A livello di scrittura in questo 2023 sono stato molto impegnato sia con la rivista “Vinile” che con il sito di “Indie for Bunnies”. Ed è chiaro che il mio proposito sia quello di continuare queste bellissime collaborazioni, magari con l’opportunità di partecipare ancora ad alcune belle iniziative, come ad esempio il mastodontico Dizionario sui Cantautori e Cantautrici del nuovo millennio a cura di Michele Neri, il direttore di “Vinile” a cui sarò sempre molto grato, lo stesso che mi ha coinvolto pure in un libro collettivo su Lucio Battisti, pubblicato in occasione degli 80 anni del grande artista reatino.

Dicevo però che le cose più belle, emozionanti e intense di questo 2023 vanno ricercate nella sfera personale e familiare, il perché è presto detto: oltre al fatto di non aver subito perdite affettive (e non è scontato se penso invece a cosa scrivevo nei resoconti degli anni recenti), ciò che mi ha riempito il cuore è stato vedere la crescita felice attorno a me dei nipoti, constatare lo stato di salute di chi è più in là con gli anni (sappiamo bene che poter abbracciare e passare del tempo assieme ai propri genitori non è privilegio di tutti), e soprattutto vivere la mia quotidianità attorniato dall’amore della mia famiglia: Mary che, oltre alle qualità che mi hanno fatto innamorare di lei – e nel 2024 festeggeremo dieci anni di matrimonio! – come immaginavo si sta rivelando anche una madre splendida, e Luigi che cresce alla grande, riuscendo a stupirci e riempirci di meraviglia ogni giorno!

Certo, quanto io posso essere tranquillo nei miei confronti, forse anche troppo, tanto invece tendo ad essere apprensivo quando si tratta di lui, del mio piccolo, e non so se c’entri il fatto che è il primo figlio, credo sia piuttosto un fattore naturale quello che mi porta a preoccuparmi tanto per chi mi sta attorno, per gli affetti più vicini.

Ma detto questo, mi ritengo un uomo fortunato e ho buoni motivi per essere felice, perché Luigi sta bene, ha quasi due anni e sta imparando già un sacco di cose, soprattutto è un bimbo buono, sempre allegro, col suo bel sorriso; si è ambientato bene anche al Nido, peccato che come tanti altri bimbi spesso sia assente appunto per problemini di salute che nella maggior parte dei casi si trasmettono l’un l’altro.

Non so se è perché sto invecchiando… o meglio, dentro di me so di avere ancora quell’entusiasmo per la vita, per le cose che mi circondano, ma è indubbio che la carta d’identità non tradisce e nel 2024 saranno 47 le candeline da soffiare; fatto sta che, a maggior ragione, ritengo sia proprio questa dimensione familiare che mi da’ la motivazione più grande, lo sprono principale ad andare avanti, guardando comunque all’orizzonte con fiducia!

Credo veramente che stare bene con le persone che si amano sia la più grande ricchezza che la vita possa offrirci. Quindi io auguro a tutti voi per il 2024 proprio questo: di stare vicino alle persone che amate, godendo insieme anche delle piccole cose!

Dobbiamo essere fiduciosi, nonostante nel mondo tante cose non sembrano proprio andare per il verso giusto. So che corro il rischio di inondare questo post di tanta retorica (e magari per alcuni in effetti è così) e non sono così ingenuo da pensare che tutto migliorerà all’istante, però mi auguro che in un futuro non troppo lontano non staremo sempre a parlare di guerre, femminicidi, terrorismo e povertà, temi che hanno purtroppo inondato le cronache di tutti i giorni e continuano a farlo.

La strada è lunghissima per poter cambiare davvero volto alla società, ricordandoci di quanta umanità abbiamo bisogno, ma per quello che può dipendere da noi dobbiamo essere pronti a fare tutti la nostra parte.

Sì, anche noi, nel nostro piccolo, proviamo almeno a comportarci bene col prossimo, a darci dei piccoli obiettivi di felicità, a fare del bene: non è poco credetemi.

In tutta sincerità ci tengo a mandarvi un abbraccio grande e augurare di cuore un buon 2024 a tutti voi!

A presto!

Gianni

Top 20 Album Internazionali del 2023

Ammetto di essermi trovato un po’ in difficoltà nello stilare questa classifica dei migliori album internazionali pubblicati nel 2023, tanta è stata la varietà di proposte interessanti di assoluto mio gradimento.
In particolare per quanto riguarda le prime due posizioni, trattandosi oltretutto di due artisti che amo e seguo con passione dagli inizi delle rispettive carriere, è stato alla fine un testa a testa.
Alla fine è chiaro che non corra tanta differenza nelle mie preferenze, specie per quanto concerne i primi cinque-sei posti ma ci sono anche album fuori dalla top ten che avrebbero potuto tranquillamente figurarci.

L’articolo, per quanto riguarda le prime dieci posizioni, è stato proposto come di consueto per l’annuale consuntivo del sito Indie for Bunnies, dove collaboro con piacere da ormai un bel po’ di anni.
In questo spazio personale che è il blog Pelle e Calamaio ho voluto andare oltre, indicando fino alle ventesima posizione, aggiungendo inoltre altri dieci titoli in ordine sparso che ho trovato molto piacevoli e meritevoli quantomeno di una citazione. 

1 PJ HARVEY – I Inside the Old Year Dying

A un’artista sublime come PJ Harvey puoi concedere di prendersi tutto il tempo che vuole per dare alle stampe un nuovo capitolo della sua storia musicale, perchè sei consapevole che poi l’attesa verrà assolutamente ripagata. E che, nonostante abbia già pubblicato in passato alcuni dischi che ti porteresti nell’ipotetica isola deserta (titoli come “Let England Shake” o “To Bring You My Love”) sai benissimo che sarà in grado ancora una volta di stupirti ed emozionarti, fino anche a farti commuovere. “I Inside the Old Year Dying” è l’ennesima grande raccolta di canzoni che sanno toccare le corde più profonde dell’anima.

2 SIGUR RÓS – Átta

Sul secondo gradino del podio, in lizza fino all’ultimo per aggiudicarsi il platonico titolo di mio album dell’anno, compare “Átta” degli islandesi Sigur Rós e, a prescindere che la band di Jónsi Birgisson mi sia sempre piaciuta, non era poi così scontato visto che, prima di una lunga pausa discografica durata dieci anni, non è che avessero lasciato ai posteri un album degno dei loro migliori momenti (mi riferisco a “Kveikur” del 2013). Invece sono bastate poche note per capire che la magia, quella più pura, autentica, che seppero trasmettere in larga profusione in passato, era rimasta intatta! Questo nuovo episodio, che vede il ritorno in organico (decisivo, secondo me) di Kjartan Sveinsson ti trasporta letteralmente altrove, ti avvolge, ti culla e ti protegge, lasciando un grande senso di pace interiore.

3 THE MURDER CAPITAL – Gigi’s Recovery

So che può sembrare estremamente sciocco, ma ho fatto fatica ad ammettere quanto amassi questo disco degli irlandesi Murder Capital. Non avevo niente di personale contro di loro, però sapete a volte ci si lascia abbagliare dalle prime impressioni e, nella fattispecie, non mi era piaciuto il loro disco d’esordio, non ero riuscito a entrarci dentro. Così ero partito piuttosto diffidente nei confronti di “Gigi’s Recovery”, anche perché non riuscivo a presagire chissà quali sbocchi per la band di James McGovern. Invece è accaduto il contrario ed è venuto tutto da se’, cosicché nel modo più naturale possibile queste canzoni mi hanno letteralmente rapito, stordito e convinto dell’immenso valore del progetto. Dirò di più, sono quasi sicuro che sia proprio questo l’album che ho ascoltato di più nel 2023.

4 GAZ COOMBES – Turn the Car Around

“Turn the Car Around”, ultima fatica in ordine di tempo di Gaz Coombes, era uscito il 13 gennaio, eppure già presupponevo che sarebbe finito molto in alto nel mio personale consuntivo della stagione musicale del 2023. I nove brani che lo compongono infatti brillano di luce propria, nobilitando il concetto di pop “adulto” (se mi passate il termine), e impongono il quarantasettenne di Oxford tra i migliori cantautori della sua generazione, ormai del tutto smarcato dalla pur pregevole esperienza alla guida dei Supergrass.

5 BAR ITALIA – Tracey Denim

Il 2023 si può considerare a tutti gli effetti l’anno chiave per i bar italia, che hanno dato alle stampe addirittura due full-lenght a testimoniare un autentico stato di grazia dal punto di vista artistico. Pur avendo il più recente “The Twits” confermato la bontà della loro proposta, non discostandosi dal sound del precedente “Tracey Denim”, è con quest’ultimo, pubblicato nel mese di maggio, che i tre londinesi mi hanno conquistato. Forte di quindici brani dalla struttura apparentemente semplice ma capaci di prendere direzioni diverse ancorché sorprendenti, il disco fa emergere il gruppo in tutta la sua personalità, al di là della “comoda” etichetta post-punk.

6 NATION OF LANGUAGE – Strange Disciple

“Strange Disciple”, terzo disco in quattro anni per i Nation of Language, è uno di quei lavori in grado di entrarti sottopelle insinuandosi pian piano, fino a catturarti grazie a canzoni dotate di irresistibile fascino. Il trio di Brooklyn capitanato da Ian Richard Devaney, che i detrattori potranno facilmente bollare come passatista o derivativo, a mio modo di vedere invece riesce nell’impresa di ricreare fedelmente un immaginario legato agli anni ’80, facendolo sembrare attuale, grazie a brani intensi, vivi, pulsanti, in un’atmosfera ora briosa ora decadente.

7 THE CLIENTELE – I Am Not There Anymore

Che sia proprio questo il miglior album in assoluto dei Clientele? Vero è che il gruppo di Alasdair MacLean nel corso di un’ormai trentennale carriera hanno disseminato perle pop di gran livello, e che tra gli appassionati il precedente “Music for the Age of Miracles” gode di un forte credito, eppure “I Am Not There Anymore” a mio avviso rappresenta un ulteriore passo in avanti dal punto di vista qualitativo, grazie a una cura maniacale degli arrangiamenti, che non va però mai a intaccare la purezza delle melodie. Sono canzoni che, in definitiva, elevano il pop ai suoi piani più alti.

8 BOYGENIUS – The Record

Julien Baker, Phoebe Bridgers e Lucy Dacus, le tre magnifiche ragazze dell’indie a stelle strisce, con “The Record” hanno dimostrato, se mai ce ne fosse davvero bisogno, che come Boygenius fanno sul serio. Se ai tempi del loro emozionante esordio, infatti, il progetto poteva sembrare estemporaneo, frutto della loro sincera amicizia, dopo cinque anni ormai pare chiaro che, unendosi, sono in grado di ricreare quella magia per cui riescono a riflettere in tutto il loro talento individuale, mettendosi le une al servizio delle altre.

9 BOMBINO – Sahel

“Sahel” rappresenta il grande ritorno sulle scene di Bombino, a distanza di cinque anni dall’ultima volta. In questo album l’artista Tuareg manifesta a chiare lettere il suo pensiero, connotando ogni aspetto di quell’aura desertica da cui proprio non può prescindere. Pur in un riuscitissimo e coinvolgente mix di suoni e atmosfere, è al solito la sua straordinaria chitarra a emergere chiara nei dieci brani, tra cui va citato almeno “Tazidert” che apre le danze con un ritmo ipnotico e incalzante.

10 ALGIERS – Shook

Gli Algiers si confermano un nome da tenere assolutamente in considerazione, sfoderando nel nuovo “Shook” grande forza e compattezza, ma soprattutto una rinnovata ispirazione nel fondere istanze e stili diversi, senza mai perdere di vista l’efficacia del messaggio. Che sia mediante un sound elettronico, o più tendente al soul e al rock alternativo, con la matrice rap sempre attuale, il marchio di Franklin James Fisher e compagni è ormai del tutto riconoscibile.

11 SPARKLEHORSE – Bird Machine
12 JONATHAN WILSON – Eat the Worm
13 BLONDE REDHEAD – Sit Down for Dinner
14 DAUGHTER – Stereo Mind Game
15 MITSKI – The Land Is Inhospitable and So Are We
16 SLOWDIVE – Everything Is Alive
17 LANKUM – False Lankum
18 CAT POWER – Cat Power Sings Dylan: The 1966 Royal Albert Hall Concert (Live)
19 SQUID – O Monolith
20 BLACK PUMAS – Chronicles of a Diamond

ALTRI DIECI ALBUM MOLTO BELLI USCITI NEL 2023

ANDRÉ 3000 – New Blue Sun
ASIA MENOR – Enola Gay
BDRMM – I Don’t Know
BLEACH LAB – Lost in a Rush of Emptiness
CUT WORMS – Cut Worms
GRIAN CHATTEN – Chaos for the Fly
HELENA DELAND – Goodnight Summerland
PIA FRAUS – Evening Colours
THE MOUNTAIN GOATS – Jenny from Thebes
WILCO – Cousin

Gemelli emergenti del calcio italiano: da Edoardo e Niccolò Pierozzi a Cristian e Stiven Shpendi, a Lorenzo e Carlo Pirola (e tanti ancora)

Uno degli articoli più letti ancora oggi del mio blog, almeno rimanendo al tema sportivo, è quello che dedicai ormai diversi anni fa ai gemelli nel mondo del calcio e poiché negli ultimi tempi stanno emergendo altre coppie di gemelli nei nostri campionati avevo voglia di passarle in rassegna, dai più noti a quelli che stanno iniziando da poco il loro percorso.
Il riferimento va comunque a calciatori ancora ascrivibili all’area degli “emergenti” (che in Italia comprende una forbice piuttosto vasta rispetto ai parametri europei), ragion per cui non ho trattato ad esempio la storia dei gemelli Matteo e Federico Ricci (classe 1994), grandi talenti cresciuti nel vivaio della Roma e protagonisti in carriera di buoni se non ottimi picchi di rendimento ma la cui stella ha iniziato a declinare, visto che entrambi attualmente sono poco più che comprimari nei rispettivi club (Matteo nella Sampdoria in B, Federico addirittura finito in serie C al Perugia).

I gemelli Ricci ai tempi della bellissima esperienza condivisa nello Spezia – (foto dal sito ufficiale dello Spezia Calcio)

I GEMELLI PIEROZZI

Fatta questa doverosa premessa inizierei la panoramica con i gemelli Edoardo e Niccolò Pierozzi, classe 2001, nati a Firenze e cresciuti entrambi nella Fiorentina.
Nel vivaio viola si sono imposti facilmente garantendo sempre un buon rendimento, giostrando in una zona di campo simile, sulla fascia destra. Più difensivo forse Edoardo; capace di agire anche dalla metà campo in su invece Niccolò.

I gemelli Edoardo e Niccolò Pierozzi - (foto dalla pagina Instagram del Palermo Calcio)

Il primo è quello che ha lasciato la Primavera nei tempi corretti, iniziando il suo percorso da professionista a 19 anni nella stagione 2020/21 in Serie C alla Pistoiese. Edoardo non patì il salto, disputando il torneo da titolare, concluso con 31 presenze e 2 gol che gli sono valse la “promozione” l’anno successivo in serie B in una neopromossa gloriosa come l’Alessandria.
Al termine di un campionato concluso con la mesta retrocessione dei grigi piemontesi, Edoardo comunque non demerita mettendo insieme 21 presenze e 1 gol. Molto peggio va invece l’anno dopo, quando gli viene concessa la possibilità di cimentarsi ancora in cadetteria, ma stavolta le presenze tra Palermo e Como saranno soltanto 5 in tutto, motivo per cui alla vigilia della stagione in corso, matura la scelta di tornare in serie C in un’ ambiziosa compagine come il Cesena.
In Romagna Edoardo sta ritrovando lo smalto perduto e un ruolo di primo piano, stabilendosi principalmente nel ruolo di terzino destro in una difesa a 4 o all’occorrenza spostato di qualche metro più avanti, sulla linea dei centrocampisti.
Diversa la parabola del gemello Niccolò, rimasto un anno da fuoriquota in Primavera, ma avendo poi un impatto importante tra i professionisti in serie C nel campionato 2021/22 con la Pro Patria: furono infatti ben 36 le presenze condite da 8 gol e la sensazione che in quella categoria fosse solo di passaggio.
L’anno dopo il salto in B alla Reggina e un’altra stagione da incorniciare a livello personale ma non solo. Infatti fu titolare fisso da terzino destro (con doti offensive), mostrando grandi qualità tecniche alla corte di Filippo Inzaghi; inoltre ha esordito in Under 21 (in precedenza aveva già assaporato le maglie azzurre della Nazionale giovanile assieme a Edoardo) e avuto la possibilità concreta di rientrare alla base, con la Fiorentina consapevole di trovarsi in casa un giocatore pronto per certi palcoscenici.
Da lì però, e siamo alla vigilia del campionato in corso, l’improvviso stop dovuto in primis a problemi fisici e poi all’esplosione interna del più giovane prodotto locale Kayode, classe 2004 che con l’Italia Under 19 si è laureato Campione d’Europa scalzando di fatto dal ruolo originario di vice Dodò proprio Niccolò Pierozzi (che di fatto deve ancora debuttare in partite ufficiali con la prima squadra).
È molto probabile, quindi, che a questo punto con l’apertura del mercato invernale a gennaio possa cambiare maglia, andando via in prestito con mezza serie B pronta ad accoglierlo.

I GEMELLI SHPENDI

Sugli scudi vi è poi una coppia di gemelli composta da due attaccanti puri: si tratta degli albanesi (ma nati in Italia ad Ancona) Cristian e Stiven Shpendi, classe 2003, entrambi affermatisi a Cesena.

I gemelli Shpendi, affiatatissimi in campo e nella vita – (foto dal Corriere Romagna)


Sempre insieme, sempre a emergere sui compagni bruciando le tappe, hanno mosso i primi passi a Fano per poi approdare al San Marino fino alla chiamata del Cesena ai tempi dell’Under 17.
Un’intesa perfetta la loro, dentro e fuori dal campo e l’esplosione che arriva presto, al primo anno di Primavera 2 quando Cristian mette a referto 17 presenze e 15 reti (più 7 assist), mentre Stiven fa ancora meglio con addirittura 23 gol in 20 presenze (condite anch’egli da 7 assist).
Due portenti insomma, di cui si inizia a parlare insistentemente in ottica prima squadra.
È dalla stagione 2022/23 che i due, piuttosto difficili da distinguere di primo acchito in campo (nonostante Cristian sia più un centravanti puro da area di rigore, mentre Stiven è capace di muoversi su tutto il fronte dell’attacco), diventano pedine importanti del Cesena in un campionato che vede per i romagnoli sfumare per pochissimo il sogno della promozione in B mediante i (complicatissimi) playoff.
A livello personale Cristian denota qualche difficoltà iniziale in più, totalizzando nel 2021/22 le prime 5 presenze e trovando il primo gol (in 16 presenze) nel campionato passato. Meglio fece Stiven che dopo l’esordio da 2 presenze nel 2021/22 è esploso già nella stagione successiva, quella appena trascorsa, segnando 12 reti in 29 presenze, quasi tutte da titolare e fungendo da valore aggiunto.
Impossibile a quel punto restare indifferenti dinnanzi a un simile exploit, tanto che come previsto ci fu la corsa ad acquistarlo; alla fine la spuntò l’Empoli, con cui il giovane nazionale albanese sta giocando ora in serie A, e nonostante non sia titolare di fatto sta comunque mettendo insieme quelle presenze che fanno acquisire esperienza e la giusta conoscenza di una categoria così importante. D’altronde il doppio salto non è cosa da tutti i giorni, eppure Stiven ha già evidenziando una buona personalità e la capacità di giocare senza timori reverenziali al cospetto di forti e navigati difensori.
La realtà odierna dice che in compenso Cristian sta ripercorrendo eccome, a un anno di distanza, le orme del quotato gemello, dimostrando potenzialmente di fare pure meglio, visto che a dicembre si trova già in doppia cifra con lo splendido score di 10 reti in 14 presenze!
Insomma, arrivare in A per lui sembra solo una questione di tempo.

I GEMELLI MORETTI

Del 2002 sono invece i gemelli Lorenzo e Andrea Moretti, entrambi cresciuti nelle giovanili dell’Inter (con un passaggio al Novara), giocando più o meno nello stesso ruolo, quello di difensore centrale, anche se Lorenzo sin dalle giovanili si è mostrato capace di ben figurare anche da terzino.

Lorenzo Moretti con la Primavera dell’Inter – (foto dal sito Tutto Avellino)


Proprio Lorenzo, a lungo colonna di tutte le nazionali giovanili azzurre, è quello che è sempre parso più forte, oltre che più completo. E sinceramente mi sarei aspettato di vederlo già protagonista a livelli più alti di una pur dignitosa serie C.
Quello di quest’anno nella competitiva Triestina è il suo terzo campionato di fila in C dopo le precedenti esperienze sempre da titolare prima nella Pistoiese e poi nell’Avellino, e tutto lascia in fondo presupporre che, indipendentemente da come andrà a finire il torneo dei giuliani (comunque tra i favoriti per la promozione in serie B), per lui si possano spalancare le porte di una categoria superiore.
Andrea Moretti invece è rimasto un anno da fuoriquota in Primavera per esordire tra i professionisti nel torneo scorso alla Pro Sesto (18 le presenze in serie C).

Andrea Moretti ai tempi delle giovanili interiste – (dal sito FC Inter 1908)

Sta andando decisamente meglio per lui l’esperienza odierna, alla Pro Patria dove è titolare fisso in mezzo alla difesa, mostrandosi molto affidabile, avendo già eguagliato il numero di presenze della scorsa stagione, oltretutto con 3 reti messe a referto.

I GEMELLI PIROLA

I gemelli Pirola, Lorenzo con la maglia della Salernitana e Carlo con quella della Giana Erminio – (foto dal sito Lecco News)

Un caso ancora diverso è quello dei gemelli Pirola, Lorenzo e Carlo, il primo già affermato difensore in serie A (attualmente alla Salernitana), il secondo un portiere che gioca quest’anno in C alla Giana Erminio, anche se non da titolare (e con anzi uno score sinora da dimenticare, avendo incassato 8 reti in 2 partite).
Lorenzo è sempre stato considerato un predestinato, colonna delle giovanili nerazzurre dell’Inter e di tutte le selezioni azzurre della Nazionale, avendo tra l’altro disputato da titolare e leader un Mondiale Under 17 (dove tra i convocati c’era anche il già citato Lorenzo Moretti, all’epoca suo compagno nell’Inter), mentre ora è il capitano dell’Italia Under 21, monitorato pure dal ct Spalletti.
Anche da professionista sta bruciando le tappe, essendo passato in prestito una prima volta nel forte Monza di Berlusconi e Galliani in B e poi diventando pedina importante della Salernitana nella massima serie, sin dall’anno scorso, in un torneo concluso con un’ esaltante salvezza alla quale lui ha ben contribuito.
In questo momento tuttavia la squadra è in difficoltà, trovandosi ultima ma lui non sta certo demeritando: si tratta insomma a conti fatti di un grande prospetto del nostro calcio.
Il gemello Carlo sin dalle giovanili ha avuto un percorso meno lineare, passando dall’Atalanta al Torino senza mai essere protagonista di rilievo. Già nel 2020/21 però la prima esperienza tra i grandi, alla Casatese in serie D, dove rimane due stagioni acquisendo sicurezza e mostrandosi affidabile, fino alla chiamata della Giana Erminio per la stagione 2022/23 che la vedeva seria candidata alla promozione in serie C.
Detto fatto, per la squadra di Gorgonzola si è trattata di una cavalcata trionfale, coronata col ritorno tra i professionisti dopo un solo anno di purgatorio nei Dilettanti.
Carlo invero ha contribuito alla grande a questo risultando disputando da titolare ben 36 partite ma quest’anno come detto l’approccio non è stato positivo, e ora si trova scavalcato nel ruolo dal più giovane (e bisogna ammetterlo più talentuoso) Gioele Zacchi, classe 2003 proveniente dal Sassuolo e da sempre nel giro delle nazionali Under dell’Italia. Ciononostante il tempo è tutto dalla sua parte per dimostrare che può costruirsi una carriera da professionista.

I GEMELLI D’ALESSIO

Sono nati nel 2004 invece i fratelli Leonardo e Francesco D’Alessio, cresciuti nel fortissimo vivaio della Roma.

I gemelli D’Alessio ai tempi della comune militanza nelle giovanili della Roma – (foto da Gazzetta Regionale)

Proprio il ciclo dei 2004 è uno dei più forti visti in anni recenti a Trigoria, con diversi protagonisti già saliti agli onori delle cronache, considerati da Mourinho per la prima squadra e in alcuni casi con già all’attivo delle presenze tra i grandi (tra serie A ed Europa League).
Anche Francesco, polivalente giocatore in grado di destreggiarsi da centrocampista come da difensore esterno, ha assaggiato l’aria della prima squadra esordendo in Europa League allo stadio Olimpico, coronando così il suo sogno di bambino, come era successo prima di lui ai compagni Missori, Faticanti, Pagano e Pisilli.
In carriera vanta anche uno scudetto con la formazione giallorossa in Under 17, mentre quest’anno è pedina fissa dello scacchiere di mister Guidi nella Primavera (dove sta giocando da fuori quota).
Fino a due anni fa il percorso del gemello Leonardo era stato pressoché identico al suo; diverso il ruolo, considerando che lui è un terzino destro puro ma stessa esperienza e stesso attaccamento ai colori giallorossi.
Eppure a un certo punto ha scelto di lasciare la casa madre per cimentarsi altrove, forse perché cominciava a pesargli la concorrenza in casa nel ruolo del forte Missori, ora al Sassuolo e capitano della spedizione Under 19 azzurra che si è aggiudicata uno splendido Europeo di categoria (dove figuravano anche Pisilli e gli ex giallorossi Mastrantonio e Faticanti). Fatto sta che Leonardo è passato al Milan per disputare l’anno scorso il campionato Primavera, se non che alla fine ha collezionato solo scampoli di partite (in tutto 8 presenze), condizionato da un problema all’occhio che lo ha tenuto lontano dai campi per ben sei mesi.
Ora sta meglio ma la società rossonera ha deciso di mandarlo in prestito alla Pro Sesto dove tuttavia sta faticando non poco a trovare spazio.

I GEMELLI PLAIA

Rimanendo in casa Roma, uno dei prospetti più interessanti del 2006 è sicuramente il difensore centrale Matteo Giuseppe Plaia, marcantonio di 1 metro e 94 (nato a Bruxelles) e giunto nella Capitale a 16 anni dopo i trascorsi nelle giovanili dello Spezia.

Matteo Plaia in maglia giallorossa – (foto da Gazzetta Regionale)

Proprio nella società ligure gioca ancora il fratello gemello Francesco Saverio (portiere e punto fermo anche delle nazionali Under dell’Italia), attualmente impegnato con la Primavera.
Per entrambi si può auspicare una carriera da professionisti a buoni livelli, visto che Matteo giocando sempre da sotto età si sta ben disimpegnando ed è già affidabile pedina della Primavera di Federico Guidi, mentre Francesco è da tempo tenuto in considerazione dai vari selezionatori azzurri.

Francesco Plaia, portiere della Primavera dello Spezia – (foto dal sito Spezia 1906)

Matteo oltretutto è stato già convocato da Mourinho per la gara di Europa League contro lo Sheriff, dove ha esordito il coetaneo Mannini anch’egli prelevato a suo tempo dallo Spezia, ma a mio avviso sarà proprio il gemello Francesco a debuttare per primo tra i professionisti, magari già al termine di questo campionato.

I GEMELLI RENAULT

Nell’ Atalanta sono cresciuti i gemelli Christophe e Guillaume Renault, classe 2002, tutti e due con caratteristiche simili, da esterni difensivi capaci di giocare anche a tutta fascia, a destra come a sinistra. Discendenti da una famiglia nobile francese stabilitasi in Italia, hanno passaporto italiano e francese ed entrambi sono stati nel giro delle Nazionali Under italiane.

Guillaume e Christophe Renault ai tempi delle giovanili dell’Atalanta – (foto da Gazzetta.it)

Provenienti dal Pavia, hanno poi completato l’iter giovanile nel vivaio della Dea, dividendosi una prima volta ai tempi della Primavera, con Christophe passato all’Olbia già nella stagione 2021/22, in cui aveva messo a segno 1 gol in 10 partite, patendo però un grave infortunio al crociato che lo ha condizionato molto in questa sua prima esperienza nel professionismo.
L’anno seguente era di nuovo in Sardegna con altre dieci presenze, poi un passaggio alla Viterbese solo sulla carta prima dell’approdo all’Alessandria a gennaio 2023 dove è riuscito a totalizzare solo 5 presenze in un campionato assai travagliato per i grigi.
All’inizio di questa stagione Christophe è rimasto svincolato ma dato per vicino a diverse squadre, tra cui la Pro Patria dove gioca attualmente anche Guillaume, più dotato dal punto di vista tecnico ma come detto simile per caratteristiche: anche quest’ultimo infatti può giocare su entrambe le fasce, pur prediligendo quella destra, a differenza di Christophe che agisce prevalentemente sulla sinistra.
Guillaume sta disputando una buona stagione dopo che nella scorsa è stato impegnato con alterne fortune tra Pro Vercelli fino a gennaio e poi Alessandria dove ha ritrovato così il gemello.

I GEMELLI DORATIOTTO

Per ultimi vado a citare i gemelli Riccardo e Fabio Doratiotto, classe 1999, stabilitesi entrambi da qualche stagione nei Dilettanti dopo le buone esperienze nelle giovanili del Cagliari.

Riccardo Doratiotto, quando era una grande promessa del Cagliari – (foto da TuttoCalciatori.Net)

Più considerato dagli esperti il primo, che nella Primavera era raffinato trequartista o punta centrale, ha all’attivo vari campionati tra i professionisti all’Olbia (sorta di succursale rossoblu) e al Montevarchi, con inoltre la grande soddisfazione di aver esordito in serie A con la squadra della sua città, tra l’altro ben figurando.
L’ultima occasione di rilievo per Riccardo a Montevarchi (nel 2021/22) tuttavia non è stata felice e così a gennaio scese nei Dilettanti in una società storica come l’Arezzo. Da lì sono giunte altre tappe sempre in D, lo scorso campionato nel Città di Castello e ora nella Cynthialbalonga.
Il fratello Fabio gioca invece da mediano e, sebbene non abbia mai esordito tra i professionisti (pur terminando l’iter giovanile nella Primavera del Lecce), ha d’altro canto accumulato molta esperienze nelle categorie inferiori, giocando in D dal 2019/20 ad oggi con le maglie di Chions, Sanremese, Carbonia, Arzachena e da ultima il Pont Donnaz Hone Arnad, squadra aostana.

Fabio Doratiotto con la maglia del Cagliari, società nel cui vivaio è cresciuto – (foto da TuttoCalciatori.Net)

I due gemelli Doratiotto, dopo i trascorsi giovanili insieme con il Cagliari, di fatto non si sono più incrociati in una partita di calcio e, a quanto pare, uno dei loro sogni più grandi è proprio quello di potersi ritrovare un giorno nello stesso rettangolo di gioco, visto anche il fortissimo rapporto che li lega fuori dal campo.

Top 20 Album Italiani del 2023

Sono stati molti i dischi italiani che mi sono piaciuti in questo 2023 che sta volgendo al termine.
In questo articolo passo in rassegna i primi dieci, corredandoli di un breve commento, continuando poi la graduatoria fino alle ventesima posizione; in aggiunta inoltre mi andava di segnalare altri dieci titoli che quest’anno ho ascoltato e apprezzato.

1 UMBERTO MARIA GIARDINI – Mondo e antimondo

Sul finire dell’anno giunge il nuovo album di Umberto Maria Giardini a sbaragliare la concorrenza. Un ritorno davvero importante il suo, in “Mondo e antimondo” sono presenti dieci episodi uno più splendente dell’altro.

2 DANIELA PES – Spira

La rivelazione del 2023 conquista tutti con il suo sound evocativo, misterioso, sfuggente, estremamente affascinante.

3 PAOLO SAPORITI – La mia falsa identità


Paolo Saporiti si fa portavoce di una canzone d’autore contaminata in questo nuovo lavoro, in due capitoli, che sorprende per la profondità e la ricchezza di suggestioni musicali.

4 THE NIRO – Un mondo perfetto

Davide Combusti (alias The Niro) si conferma artista di razza con “Un mondo perfetto”, che ne certifica appieno la sensibilità e la classe superiore.

5 SADE MANGIARACINA – Prayers

La pianista e compositrice siciliana si supera in questi due volumi, emergendo come nome di punta del jazz a livello internazionale.

6 GIOVANNI TRUPPI – Infinite possibilità per esseri finiti

Giovanni Truppi, dopo la ribalta sanremese, torna a proporre un disco dove traspare tutta la sua grandezza di autore, in grado di mescolare agevolmente lirismo, ironia e sentimenti. Una penna unica nel suo genere.

7 ARTISTI VARI – Nella notte ci guidano le stelle. Canti per la Resistenza

Una raccolta imperdibile di canzoni tutte assai significative. Giù il cappello e mano sul cuore!

8 ELISA RIDOLFI – Curami l’anima

Elisa Ridolfi, dopo aver molto contribuito a far conoscere il fado dalle nostre parti, mette in fila una serie di brani dove anima e corpo vanno a braccetto, coinvolgendo l’ascoltatore dall’inizio alla fine del viaggio.

9 GRAND DRIFTER – Paradise Window

Il cantautore piemontese Andrea Calvo continua a fare centro con la sua proposta gentile, soave, pop nel senso più nobile del termine.

10 ROPES OF SAND – Tonight

Un gruppo italiano (di Varese) che non sfigurerebbe al cospetto di artisti acclamati. I Ropes of Sand, con il disco “Tonight”, colpiscono il nostro immaginario grazie alla bellezza di trame musicali intessute in un’atmosfera magica e notturna.

11 C’MON TIGRE – Habitat
12 GIANCARLO FRIGIERI – Qualcuno si farà del male
13 ARTISTI VARI – Un sentito omaggio a Rodolfo Santandrea
14 ELLEN RIVER – Life
15 PEPPE VOLTARELLI – La grande corsa verso Lupionòpolis
16 BONO/BURATTINI – Suono in un tempo trasfigurato
17 BAUSTELLE – Elvis
18 ANDREA SATTA – Niente di nuovo tranne te
19 ROSSELLA SENO – La figlia di Dio
20 MARTA DEL GRANDI – Selva

ALTRI DIECI ALBUM MOLTO BELLI USCITI NEL 2023

AGUIRRE – Belle Epoque
CALCUTTA – Relax
COLAPESCE DIMARTINO – Lux Eterna Beach
EMMA TRICCA – Aspirin Sun
GABRIELE PRIOLO – L’amore giallo
KARMA – K3
LUCIO CORSI – La gente che sogna
MICHELE MINGRONE – La grande notte
NON VOGLIO CHE CLARA – MacKaye
PASE – Mondonovo


Dischi italiani da (ri)scoprire: “La grande corsa verso Lupionòpolis” – Peppe Voltarelli

Ci sono artisti che sai già che quando danno alle stampe un nuovo lavoro discografico ti ritroverai ad ascoltare qualcosa di unico, un nuovo importante tassello di un percorso dove ogni capitolo è necessario.
E l’attendi con la giusta dose di curiosità, perché sai che ogni cosa faccia, quell’autore riuscirà ancora a sorprenderti.

Nella fattispecie mi capita ad esempio con Peppe Voltarelli, vulcanico cantautore calabrese che sin dai tempi de Il Parto delle Nuvole Pesanti ci offre dischi “solidi”, ricchi di suggestioni, coinvolgenti e profondi.

Tutte caratteristiche che si sono se vogliamo amplificate da quando il Nostro è impegnato in veste solista. Il suo nome, almeno per chi bazzica la musica d’autore, insomma è sinonimo di garanzia di qualità.

Può bastargli un pianoforte ad accompagnare la sua voce profonda, “cinematografica”, ad arrivare al cuore delle persone, ma il più delle volte è mettendo in scena opere variopinte e ricercate musicalmente che sa declinare al meglio i suoi messaggi.

Dopo gli exploit di “Voltarelli canta Profazio” e “Planetario”, entrambi insigniti di meritate Targhe Tenco, il ritorno a un disco di inediti coincide con la voglia tangibile di rimettersi in viaggio, verso questa meta lontana, agognata, sognata, forse irraggiungibile che è Lupionòpolis.

Il ché da’ la misura della ricerca che continua, non si ferma, a confermare quindi la natura ondivaga dell’artista.

Interpretato quasi interamente in lingua calabrese, e registrato a New York, “La grande corsa verso Lupionòpolis” offre una miriade di spunti, sa farci riflettere con ingredienti quali poesia e ironia, ma soprattutto sa trascinarci, conducendoci nelle varie tappe, al ritmo talora forsennato talora lento di un folk blues tzigano e cangiante, vedi la caratteristica “Mozza” o una “Bon bon bon” dalle magnifiche atmosfere retrò, non lesinando momenti toccanti (l’iniziale “Mareniro”, la dolce “Fiore” o fermate particolarmente rigeneranti (“Au Cinema” e la conclusiva “Carizzi”).

Questo album, l’avrete capito, è un autentico scrigno di meraviglie, e gustato da cima a fondo sarà in grado di sorprenderci ad ogni ascolto.

Dischi italiani da (ri)scoprire: “Concerto d’amore” – Marco Rovelli & Paolo Monti

Giunge nell’ultima parte del 2023 il nuovo lavoro di Marco Rovelli, cantautore che amo definire “storico della musica e dei sentimenti”.

Ogni sua prova è ammantata da un lavoro certosino di ricerca e cura per ogni dettaglio, giunta felicemente a compimento, attenendoci ai tempi più recenti, con la straordinaria raccolta (da lui ideata e assemblata) “Nella notte ci guidano le stelle. Canti per la Resistenza”, con cui si è aggiudicato una meritatissima Targa Tenco.

Coadiuvato in questo nuovo, importante, progetto, dal valente musicista Paolo Monti ancora una volta si è andati in profondità, alle radici, riesumando brani dove il tema amoroso fosse in prima linea, declinato in ogni sua sfumatura, passaggi temporali e narrativi compresi.

Lo hanno fatto coinvolgendo nomi prestigiosi del panorama cantautorale femminile (da Angela Baraldi a Mara Redeghieri, dalla grande Fausta Vetere della Nuova Compagna di Canto Popolare a Erica Boschiero e altre ancora) offrendo una nuova convincente veste ad episodi anche assai lontani.

Sono in tutto quindici brani di assoluto spessore e notevole rilevanza, da ascoltare con attenzione e trasporto; in particolare mi hanno del tutto rapito episodi come “Ritorno dalla transumanza“, che vede la presenza di Serena Altavilla e Rocco Marchi; la fascinosa e nostalgica “Beddha ci stai luntanu”, con la partecipazione di Angela Baraldi, il violoncello di Lara Vecoli e la chitarra di Lee Ranaldo dei Sonic Youth; l’intensa “Cu ti lu dissi” con ospite d’eccezione Cesare Basile; e una struggente “Sei bella negli occhi” che si avvale anche del sax di Nicola Alesini.

“Concerto d’amore” rappresenta un connubio assai riuscito di tradizione, elemento che da sempre anima i cuori dei due, e contemporaneità, per un progetto di elevata caratura artistica: un album, questo sì, indubbiamente da scoprire.