Commenti, pronostici e confessioni sui finalisti delle Targhe Tenco 2021

Sono usciti un paio di giorni fa i nomi dei finalisti in lizza per aggiudicarsi le prestigiose Targhe Tenco, il maggior riconoscimento della Canzone d’Autore italiana.

Da giurato e da appassionato di musica ogni anno do’ il mio contributo fatto di approfonditi ascolti (tanti!), valutazioni attente e scelte che, irrimediabilmente, contengono in se’ ogni volta un che’ di soggettivo, nonostante sia necessario approcciarsi al contesto con il giusto occhio critico, visto quanto siano significativi in un percorso artistico determinati attestati.

Prima di passare in rassegna con dei commenti specifici i vari nomi candidati ai premi finali, e prima di avventurarmi in pronostici (sapendo che, come accaduto in passato, è molto difficile che tutti i lavori per cui ho speso la preferenza arrivino poi a ricevere le rispettive Targhe), riporto anche qui delle brevi riflessioni che, a caldo, avevo condiviso sui miei profili social, e che riguardavano non il valore di uno specifico autore o del relativo album ma bensì il senso stesso di una candidatura che, almeno sulla carta, mi pare stridere con la storia di questa rassegna.

Discorsi già sentiti, mi diranno i più “vecchi” e seguaci appassionati del Premio Tenco e che in teoria si possono allargare a tanti differenti ambiti artistici (in fondo, anche nel “classicissimo” Festival di Sanremo le contaminazioni musicali recenti hanno rinnovato il roster dei partecipanti, contribuendo nella fattispecie a rilanciarne un appeal che, specie per i più giovani, sembrava perduto).

E allora in fondo perchè stupirsi di certi nomi in lizza quest’anno, quando in passato hanno vinto già una volta Caparezza (che a quanto pare ha le carte in regola adesso per riprovarci), la rockstar nostrana per eccellenza Vasco Rossi (nel 1998) o, caso recentissimo, Dario Brunori nel 2020 col suo album più pop?

Scrissi questo su Facebook non appena letto la lista dei finalisti (condivido un estratto):

Sugli album di esordienti in molti illustri giornalisti si stanno esponendo e devo dire che sono d’accordo con certe perplessità (che avevo già manifestato in tempi non sospetti, le stesse che ebbi lo scorso anno quando ad aggiudicarsi quella Targa fu Paolo Jannacci). Non sto ovviamente dicendo che devono vincere i miei “preferiti”, non sono così “infantile” però mi pare che certi nomi siano sorretti dal cosiddetto hype (che sicuramente ha investito anche illustri firme)… alludo alle candidature di Madame e di Iosonouncane.. non sto a sindacare sul valore dei due artisti e delle loro opere (anzi, molto probabilmente il disco di Iosonouncane a fine anno campeggerà molto in alto nella mia classifica in fase di bilancio), dico però che non li vedo adatti al contesto… La musica d’autore potrà (anzi, è necessario in un certo senso che accada) rinnovarsi e mutare forma, ma i significati, le parole, i testi devono mantenere la loro suprema rilevanza e un album come Ira (dal mio punto di vista notevole sul piano artistico) essendo ai confini con lo sperimentalismo, di suono così come di linguaggio espressivo, lo percepisco come distante dal contesto del Premio Tenco“.

Detto ciò, ecco finalmente l’elenco completo dei finalisti per il 2021:

DISCO IN ASSOLUTO

Presenti due dei tre titoli che avevo indicato alla prima tornata di voti, vale a dire Samuele Bersani e Pino Marino, i quali rappresentano l’ala più vicina alla canzone d’autore propriamente detta, almeno per i miei canoni. La loro proposta musicale è erede dei grandi cantautori che hanno fatto la storia della musica italiana, e se Samuele in passato ha già più volte ottenuto una Targa, per l’artista romano sarebbe un giusto riconoscimento – non alla carriera, non è ancora il momento – a un’opera di sicuro meritevole, al solito ottima sul profilo letterario ma che, a differenza di suoi dischi passati, non disdegna arrangiamenti più “moderni”, concedetemi il termine spiccio.

Sottolineati i giusti meriti di entrambi, occorre però evidenziare come ci sia un titolo fra i cinque che può davvero sbaragliare la concorrenza e creare un precedente “positivo” per chi sostiene che la rassegna si sia fin troppo aperta al mainstream: alludo a “Ira” di Iosonouncane, un disco dai confini indefinibili, affascinante, profondo, sfuggente e in grado di inchiodarti all’ascolto.

Un album che non può lasciare indifferenti e che ho già candidamente ammesso figurerà nelle mie consuete classifiche di fine anno, oltretutto molto in alto, perchè il suo valore intrinseco è notevole.

Un disco che mi sta mettendo in difficoltà per i motivi che ho provato a spiegare nel mio precedente post sui social, però mi chiedo: può un album che è già tra i miei preferiti in assoluto di questa prima parte dell’anno non vincere il Premio Tenco? Lascio staccati i vari ambiti oppure il suo valore è tale che va premiato, dal mio punto di vista, anche in una rassegna che ha mantenuto nei decenni determinati valori e stilemi?

Ho ancora qualche giorno per sciogliere le riserve – e la cosa vale per tutte le categorie, anche se in alcuni casi le idee sono molto più chiare.

Tornando ai dischi candidati nella principale categoria, vedo più defilati i nomi di Caparezza e Motta, che non erano nemmeno nei miei personali “ballottaggi” nella prima fase della votazione, perchè reputo che entrambi abbiano realizzato in passato album migliori di questi.

Mi va in questa sede anche di segnalare (e confido di dedicare in alcuni casi un articolo dettagliato in futuro) altri album secondo me molto interessanti che avrebbero avuto i requisiti per ambire, non dico a vincere la Targa, ma quanto meno ad arrivare tra i primi cinque: “Mannaggia a me” di Piero Brega, ispirato e istrionico come ai tempi migliori; “Cuore nero” di Olden, che ha replicato per qualità un disco come il suo precedente “Prima che sia tardi”, nonostante una diversità di suoni e atmosfere; “Ristrutturazioni” di Agnese Valle, una delle cantautrici più talentuose in circolazione e soprattutto “Paesaggio dopo la battaglia” di Vasco Brondi, il primo album di inediti a suo nome (di cui ho scritto una più che lusinghiera recensione sulla rivista “Vinile”) dopo la fruttuosa esperienza come Le luci della centrale elettrica. Per me era proprio il suo il disco che doveva vincere la Targa come migliore in assoluto, sebbene da regolamento fosse candidabile tra le Opere Prime (fattore che ha aperto un’autostrada di preferenze ai navigati Francesco Bianconi e Cristiano Godano).

Assolutamente degni di nota anche “Un sogno di Maila” di Amerigo Verardi, dalle sonorità psichedeliche e sognanti; “Sulla terra”, lavoro intimista con cui Davide Tosches si è messo a nudo; “La natura e la pazienza”, pieno di grazia e di buone vibrazioni, di Chiara Raggi, impegnata anche nel progetto “Musica di Seta”( proprio a sostegno della migliore musica d’autore), e l’oscuro e magnetico “Testimone di passaggio” di Flavio Ferri.

ALBUM IN DIALETTO

Qui ammetto di essere molto soddisfatto della cinquina finale, nonostante manchi il nome di una band che avevo votato al primo turno, i lucani Renanera, autori con “Terra da cammenà” di un album dove antico e moderno viaggiano a braccetto: peccato per loro ma avrò modo di dedicare spazio nel mio blog a questo progetto. Lodevole e di forte impatto sociale l’album “Nebros – Storie e Antichi Echi, Vol.1” del cantautore siciliano Marco Corrao, già noto su queste pagine.

Era difficile in effetti trovare posto in mezzo a titoli davvero importanti e con tutte le carte in regola (allo stesso modo) per vincere la Targa: dai siciliani Fratelli Mancuso (di cui giù avevo scritto con entusiasmo fra queste pagine quando fu pubblicato il loro stupendo “Manzamà”) ai loro corregionali Lautari, tornati in grande spolvero con “Fora Tempu”, all’artista di razza Patrizio Trampetti con l’intenso e viscerale “‘O Sud è fesso”, si potrebbe consegnare il Premio a occhi chiusi, sicuri di non sbagliare.

Se la giocano anche Setak e Stefano Saletti con la Banda Ikona ma credo che, nonostante non manchino certo motivi di interesse, un loro expoit sia poco probabile.

La categoria degli album in dialetto è da sempre quella che mi da’ più spunti di interesse, perchè non solo il nostro patrimonio artistico in tal senso è inestimabile ma, cosa più importante, anche il presente è più ricco e vivo che mai.

OPERA PRIMA

Si è in pratica avverata una profezia che feci appena uscirono gli album solisti di Bianconi e Godano (sul cui valore assoluto non discuto), quando dissi che per la successiva edizione del Premio Tenco due nomi tra i migliori debutti sarebbero in pratica giù stati assegnati. Difficile però pensare a due mostri sacri della canzone italiana (perchè quelli sono i Baustelle e i Marlene Kuntz, gruppi di cui i nostri sono affermati e carismatici leader) come esordienti ma tant’è: il regolamento dice questo e d’altronde anche lo scorso anno si aggiudicò la Targa in questa categoria il buon Paolo Jannacci, non certo un novellino; immaginavo pertanto che ai “veri” esordienti sarebbero rimaste le briciole in fase di responsi.

Gente come il raffinato cantautore Carlo Pinchetti, a cui ho dato tra l’altro la preferenza nella prima tornata di voti, la brillante Vea (Valeria Angelotti), autrice dell’ottimo “Sei chi non sei” o Francesco Maestro Pellegrini, già negli Zen Circus, che ho intervistato su “Indie For Bunnies”, il quale ha debuttato con un album autentico e delicato come “Fragile” (donandogli nuova vita in una recente ed emozionante versione a due per pianoforte e voce con il padre Andrea), meritavano a mio avviso più fortuna in questa sede ma sono sicuro che riusciranno a far parlare di se’ per i loro indubbi meriti.

Non è detto tuttavia che ci sia già un vincitore annunciato, poichè la concorrenza femminile mai come in questa sezione è agguerritissima e possiede efficaci armi come il talento, la qualità e lo spessore: dalla versatile Emma Nolde alla più classica ChiaraBlue, che tiene sospesi e ammaliati tra atmosfere jazzate, fino ad arrivare all’astro nascente Madame che ha stupito tutti al Festival di Sanremo, in egual modo appaiono seriamente in grado di insidiare i due big “in incognito”.

INTERPRETE DI CANZONE

I tre titoli da me indicati al primo step di votazioni sono arrivati in finale, quindi oltre a essere felice per loro, mi vien da dire che obiettivamente avessero qualità evidenti per non lasciarsi sfuggire questa opportunità di incrementare la loro personale bacheca di successi. Già, perchè i nomi a cui mi riferisco sono la splendida Ginevra Di Marco, che qui si è cimentata egregiamente con l’opera di Luigi Tenco, insomma, è nel “posto giusto” direi per affermare la propria candidatura; la rediviva Ornella Vanoni che in quanto a classe interpretativa non ha eguali e il grande Peppe Voltarelli che definire cantautore suona assai riduttivo, vista la sua caratura di artista a 360 gradi. Se risultassero vincitori mi farebbe piacere, indistintamente, anche se ovviamente dovrò anche qui scegliere un solo nome per la votazione decisiva.

Avevo dovuto sacrificare in fase di preferenza l’album di Federico Poggipollini, che ho apprezzato ascoltandolo con gusto, e ora me lo ritrovo nella cinquina di finalisti, quindi benissimo così; mi sorprende invece il nome della brava Miriam Foresti, con un progetto ambizioso di non facilissima fruizione.

CANZONE SINGOLA

Anche questa categoria è molto importante e, almeno da quando figuro in giuria, cioè dal 2016, è quella più imprevedibile in quanto a pronostici ed effettivi risultati.

Canzoni singole bellissime ce ne sono a iosa, dai più svariati cantanti, anche se a volte risulta difficile estrapolarle dal contesto di determinati dischi: insomma, deve essere un pezzo che funziona a se’ stante e che ha inevitabilmente quella marcia in più.

Nelle ultime tre edizioni non si è “faticato” poi molto a individuare il titolo giusto che ottenesse questa Targa, visto che dopo uno straordinario Mirkoeilcane nel 2018, sia Daniele Silvestri nel 2019 con “Argento vivo” che Tosca l’anno successivo con “Ho amato tutto” si erano già ottimamente distinti in gara al Festival di Sanremo: sono passati quindi dallo stesso palco dell’Ariston nel giro di poco tempo, come a dire che spesso la musica non ha confini, e che se un’opera merita viene a galla e brilla di luce propria anche quando viene proposta e giudicata in scenari differenti.

Che lo stesso destino quindi tocchi quest’anno alla già citata Madame, che a febbraio a Sanremo ottenne ben due riconoscimenti per la sua “Voce”, tra cui quello di miglior testo? Può essere in effetti ma attenzione a non sottovalutare la forza delle parole di un brano come “Zinda” di Francesca Incudine, o quelle intrise di pragmatico lirismo di “Ci stiamo preparando al meglio” di Canio Loguercio (con il prezioso contributo di Andrea Satta), unico tra i titoli da me votati ad essere giunto in finale in questa categoria. Ci sono poi autentici assi come Pino Marino, la cui “Calcutta” in effetti riusciva a spiccare nel suo magnifico “Tilt” e Iosonouncane con “Novembre”, in versione cantautore con la C maiuscola per quello che fu il suo singolo di ritorno dopo i fasti di un album come “Die” che cinque anni prima lo consacrò come il nome nuovo per antonomasia da seguire.

Mi piace però segnalare almeno quattro brani che non figurano tra i finalisti ma che hanno saputo regalarmi forti emozioni al loro ascolto: la struggente “I ricordi” di Giulio Wilson, che apre in modo sublime il suo “Storie vere tra alberi e gatti”; l’evocativa “Bar 90” di Marco Parente che invece ha il compito di chiudere “Life”; la poetica “Ovunque si nasconda” dei maestri Yo Yo Mundi che al solito ci hanno confezionato un lavoro senza punti deboli come “La rivoluzione del battito di ciglia” e quella meravigliosa perla che risponde al nome di “Peddi nova”, scritta da Cesare Basile e inclusa nel già citato “Fora Tempu” dei Lautari, i quali gareggiano con l’intero disco appunto tra le opere in dialetto.

ALBUM COLLETTIVO A PROGETTO

Tutti e tre i titoli da me votati sono arrivati in finale: “Ad esempio a noi piace Rino”, sulle canzoni del mai dimenticato Rino Gaetano, “Note di viaggio vol.2 – Non vi succederà niente”, sentito omaggio al grande Francesco Guccini e “Ritratti d’autore: Bindi, Bassignano & Friends”. Sono tre raccolte emozionanti, ben realizzate e meritevoli di questo riconoscimento… io credo che alla fine si aggiudicherà la Targa il disco dedicato al Guccio, le cui rivisitazioni sono indubbiamente autorevoli e rispettose (ma in realtà lo stesso giudizio è facilmente estendibile agli altri titoli candidati).

In finale inoltre due dischi assai interessanti come “Her Dem Amade Me- Siamo sempre pronte, siamo sempre pronti” e il progetto “Musica contro le Mafie: Sound Bocs Diary”, quest’ultimo con buone chances di contendere la Targa al mio favorito.

Tirando le conclusioni, ce n’è anche quest’anno per tutti i gusti: ci sono piatti serviti per le solite polemiche da quattro soldi, ci sono esclusioni eccellenti e ripescaggi graditissimi, c’è soprattutto tanta bella musica d’autore che ancora sa rinverdire certi fasti indimenticabili, nonostante siano cambiati tempi, epoche e scenari attorno a noi.

Basta cercarla – e i canali per farlo non mancano di certo – e soprattutto avere buone orecchie predisposte e attente.

“Lassociazione”: ecco un gruppo folk da seguire assolutamente!

E’ un po’ che nel mio lettore cd, o in auto, mi riscopro ad ascoltare un disco che si è insinuato piano piano tra le mie preferenze: quello dell’ensemble emiliano “Lassociazione”, che con “A strapiombo” ha esordito nel 2012, sotto egida Edel (“Peones/edel/Bollettino).

Un album nell’essenza folk, come ne ascolto tanti, e difatti ho messo un po’ prima di metterlo a fuoco e comprendere che si tratta di un lavoro superiore alla media di quelli in cui mi imbatto.

lasso

Solitamente chi si accosta alla musica folk, o perlomeno dai forti e pregnanti connotati popolari, colpisce l’orecchio per la genuinità, la spavalderia, la passione, ma non tutti miscelano poi egregiamente – come invece è riuscito a Lassociazione – con testi dai richiami profondi ed evocativi, con poesia, come è solita fare ad esempio una band storica come “La casa del Vento”.

Ne Lassocisazione trovano spazio molti elementi: il recupero della memoria, il dialetto a colorire storie fortemente connotate nel territorio reggiano/modenese, una voce calda e intensa, melodie efficaci e ricche di atmosfere, suggestioni che variano dal malinconico al romantico, all’epico, e infine, ma elemento non trascurabile, una produzione quanto mai superba, frutto della mano sagace dell’esperto Gigi Cavalli Cocchi, già noto per la sua trentennale esperienza al cospetto di Ligabue, Clandestino e Csi, giusto per citare i suoi progetti più conosciuti.

Artefici principali del gruppo, composto da 8 validissimi elementi, tutti con alle spalle esperienze varie e significative sono soprattutto il giovane e talentuoso cantante e chitarrista Marco Mattia Cilloni, a cui si devono gran parte delle composizioni musicali del disco; l’armonicista Giorgio Riccardo Galassi, poeta del gruppo e all’occasione voce recitante e appunto Gigi Cavalli Cocchi: i tre si sono occupati anche della produzione artistica ed esecutiva.

Completano il quadro Francesco Ottani, chitarrista e voce, Enzo Frassi a basso e contrabbasso, Massimo Guidetti ai fiati (tromba, filicorno), Marcello Ghirri al banjo e chitarra e Filippo Chieli a impreziosire il tutto con la sua viola, essendo poi pure il responsabile dell’arrangiamento di archi: un grande contributo quello del valido ex Modena City Ramblers.

Nella fattispecie catturano l’attenzione la vispa e spigliata, e assai riflessiva a livello contenutistico “Santa Maria”, posta in apertura, l’avvolgente e sognante “Vorrei cantare la vita”, le dialettali “Zichin” e “In cimbali”, dall’arrangiamento interessante e composito. Spiccano inoltre nel lotto la countryeggiante “Me i sun c’me sun”, dal sapore antico e la riuscitissima cover di un classico della musica italiana “alternativa”, quella “Fuochi nella notte (di San Giovanni)”, immortalata quasi vent’anni prima dalla ieratica voce del maestro Giovanni Lindo Ferretti, e a loro molto vicina, sia a livello geografico che concettuale. Un brano che rivestito da suoni acustici, armoniche e doppie voci riesce a ricreare la stessa magia dell’originale, eguagliandolo in magnetismo. 

Nell’album hanno collaborato in alcune tracce anche nomi prestigiosi come gli ex Csi Massimo Zamboni e Ginevra di Marco (sua la voce nell’aggraziata e dolce chiusura “Al ciel an’ghimporta”), Erik Montanari, Antonio Braidi, col suo violoncello in “Vorrei cantare la vita” e Gianfranco Fornaciari, che con i suoi tocchi al piano e all’organo ha conferito solennità ed eleganza a gran parte delle tracce registrate, quasi fosse un elemento aggiunto, occulto del gruppo.

Ultima considerazione riguarda lo splendido lavoro di “packaging”, creato e realizzato Max Cavalli Cocchi, in un’epoca sempre più digitalizzata, è ancora bello tener in mano un prodotto ben fatto, un cd corredato di un ottimo libretto, con testi, bellissime foto, e una cura e una raffinatezza delle immagini rare.

Un album da scoprire e da valorizzare!

http://www.youtube.com/watch?v=T5MQZpERm1I

Intervista ad Alessandra Gismondi dei Pitch, storica band anni ’90

PELLEeCALAMAIO è lietissimo di ospitare una vera voce rock italiana… Alessandra Gismondi dei Pitch, storica band anni ’90 tornata in pista cinque anni fa

Ciao Alessandra, ti ho seguita attentamente sin dagli anni ’90, epoca in cui esordivi con i tuoi Pitch. Un rock genuino, viscerale, poco incline ai compromessi e mi sembra legato agli anni eroici, come i ’70. Ma al di là del rock delle origini, pure all’epoca del vostro debutto discografico girava ottima musica. Quali erano le tue maggiori influenze?

Ho sempre ascoltato tantissima musica fin da bambina: dalla musica classica che rimane al momento il mio ascolto preferito,  al post punk degli anni ’80 alla new wave sia inglese che americana.

Un cantato rock femminile in Italia è sempre particolare, e so che molti furono colpiti dalla tua attitudine sul palco e dai testi sinceri e diretti. In qualche modo pensi di essere stata penalizzata nel confronto con i tuoi colleghi rocker maschili o si era già in una fase di transizione, verso una cultura musicale che avrebbe poi lanciato fior di artiste internazionali?

Non ho mai pensato di essere penalizzata in nulla anzi al contrario a me  è stata data una possibilità bellissima quella pubblicare 2 album con Vox Pop e BMG.  Di gruppi ce n’erano a palate ma  noi proponevamo  un alternative rock molto “naif”  e spontaneo che ci  dato modo di distinguerci dalla massa dandoci la  possibilità’ di cavalcare un’onda musicale ed un periodo fantastico.

Chiudendo con questo argomento, all’epoca apprezzavo tantissimo anche Soon, Scisma, Divine o Mira Spinosa, tutti gruppi a forte tinte rosa, ma pure i Csi associavano l’angelica voce di Ginevra di Marco a quella cavernosa di GL Ferretti. Che ricordi hai di queste band?

Ricordi bellissimi, perché erano anche i gruppi italiani che prediligevo e partecipando ai festivals ho avuto la possibilità’ di conoscerli tutti personalmente.

La collaborazione con gli Afterhours, dopo l’album uscito su Vox Pop e le dritte di Manuel Agnelli ha portato anche a una canzone tra le più applaudite dai fan della band milanese: “Lasciami leccare l’adrenalina”, dove la tua impronta è evidente. Lì in molti nell’ambiente (all’epoca collaboravo a RadioPopolareVerona) auspicavano un decollo dei Pitch, sull’orma ad esempio dei Prozac +.. so che non esiste una formula magica per il successo, ma nel vostro caso mi sembra che gli ingredienti dosati al punto giusto ci fossero tutti, a partire dalle belle canzoni. Invece dopo soli due album e un hit alternativa come “Nei Young” (con ottima Selen, mi sento di precisare) addirittura lo scioglimento. Ti va di riavvolgere per i lettori del mio blog il nastro della memoria?

La scelta di sciogliere il gruppo solo dopo due album è stata dettata dal fatto che all’interno della band non c’era più la grinta e la sintonia perfetta per poter proseguire alla realizzazione di  un terzo album. A quel punto ho preso la decisione di  raggiungere mia madre che viveva in Australia e mi sono presa una bella vacanza. E’ stata una scelta coerente con la mia filosofia di “vita musicale” perché suono e canto per  passione e non ho mai auspicato a raggiungere successi sanremesi.  Tra l’altro anche i prozac + si sono sciolti dopo una manciata di dischi, la stessa storia che hanno vissuto tanti altri gruppi, proprio gli stessi che hai citato sopra.

Nuova line up e ritorno in pista, anche se sono cambiate diverse cose, a partire dall’utilizzo della lingua inglese e da un sound meno punk, per così dire.. ma nel 2007, anno d’uscita di “Violet dinner”, terza fatica discografica i tempi per la discografia paiono davvero cambiati.. sei una di quelle nostalgiche o pensi che sia meglio ora che grazie al supporto tecnologico e ai social network è facile far arrivare la propria musica ovunque?

Il primo ep dei Pitch autoprodotto era in lingua inglese, solo successivamente grazie alla vicinanza di Manuel sono stata incuriosita a cantare in italiano. Ho sempre vissuto tra Inghilterra, Stati Uniti e Australia (mia madre ci ha vissuto per un ventennio) per questo motivo mi riesce più facile esprimermi musicalmente in  lingua inglese. Non è stata una decisione forzata ma solo una scelta  stilistica e di gusto personale. A partire dall’uscita di “A violent dinner” del 2007 ad oggi sono successe tante cose e progetti musicali. Ho militato in 3 bands, Pitch in primis e poi Schonwald un progetto electro-wave con il quale ho  pubblicato nel 2008 un album che mi  ha dato la possibilità di intraprendere 4 tours europei  (entro il 2012 e’ prevista l’uscita del nuovo disco per Hozac Records di Chicago) mentre nel 2009 ho formato insieme a due membri dei Giardini di Mirò il progetto Vessel che mi ha dato la possibilità di spaziare in sonorità psichedelic folk e più’ soffici e con i quali ho suonato  fino a tutto il 2010.

Nel 2011 ho pubblicato il quarto album  Pitch “Comme un Flux” supportato dal tour che ha toccato i maggiori rock club e festivals  del nord e sud Italia.

Ho sempre prediletto  sia il vinile che il cd a scapito degli mp3 ma per quanto riguarda il supporto tecnologico è sicuramente una finestra sul mondo che da modo alla musica di essere fruita più velocemente avendo così un bacino più’ ampio di utenza ed insieme ai social networks creano una rete  che offre una buona visibilità ed ottimi riscontri soprattutto nell’ambito in cui una band si colloca.

Sei sempre in formissima e la tua passione pare davvero intaccata… ma è giusto che artisti che propongono musica come la tua abbiano così pochi spazi “ufficiali” per esprimersi?… Possibile che in Italia non si riesca a creare dei canali alternativi, delle radio o degli spazi giusti per band di qualità? Sentire i discografici ringraziare Amici e X Factor per aver risollevato le sorti della musica italiana mi mette molto tristezza!

Se per spazi ufficiali intendi quelli televisivi sono daccordo  con te e ti confermo che per “noi” non ce ne sono ma ritengo che per quanto riguarda la strada alternativa esistono radio soprattutto web, siti, blog sia italiani che esteri che supportano in maniera importante ed intelligente quello che è una proposta diversa da quello che è il “mondo di Amici”.

un caloroso saluto a una grande artista, piena di passione e talento. In bocca al lupo per i tanti progetti

(qui sotto  il video di uno storico brano dei Pitch)