Commenti, pronostici e confessioni sui finalisti delle Targhe Tenco 2021

Sono usciti un paio di giorni fa i nomi dei finalisti in lizza per aggiudicarsi le prestigiose Targhe Tenco, il maggior riconoscimento della Canzone d’Autore italiana.

Da giurato e da appassionato di musica ogni anno do’ il mio contributo fatto di approfonditi ascolti (tanti!), valutazioni attente e scelte che, irrimediabilmente, contengono in se’ ogni volta un che’ di soggettivo, nonostante sia necessario approcciarsi al contesto con il giusto occhio critico, visto quanto siano significativi in un percorso artistico determinati attestati.

Prima di passare in rassegna con dei commenti specifici i vari nomi candidati ai premi finali, e prima di avventurarmi in pronostici (sapendo che, come accaduto in passato, è molto difficile che tutti i lavori per cui ho speso la preferenza arrivino poi a ricevere le rispettive Targhe), riporto anche qui delle brevi riflessioni che, a caldo, avevo condiviso sui miei profili social, e che riguardavano non il valore di uno specifico autore o del relativo album ma bensì il senso stesso di una candidatura che, almeno sulla carta, mi pare stridere con la storia di questa rassegna.

Discorsi già sentiti, mi diranno i più “vecchi” e seguaci appassionati del Premio Tenco e che in teoria si possono allargare a tanti differenti ambiti artistici (in fondo, anche nel “classicissimo” Festival di Sanremo le contaminazioni musicali recenti hanno rinnovato il roster dei partecipanti, contribuendo nella fattispecie a rilanciarne un appeal che, specie per i più giovani, sembrava perduto).

E allora in fondo perchè stupirsi di certi nomi in lizza quest’anno, quando in passato hanno vinto già una volta Caparezza (che a quanto pare ha le carte in regola adesso per riprovarci), la rockstar nostrana per eccellenza Vasco Rossi (nel 1998) o, caso recentissimo, Dario Brunori nel 2020 col suo album più pop?

Scrissi questo su Facebook non appena letto la lista dei finalisti (condivido un estratto):

Sugli album di esordienti in molti illustri giornalisti si stanno esponendo e devo dire che sono d’accordo con certe perplessità (che avevo già manifestato in tempi non sospetti, le stesse che ebbi lo scorso anno quando ad aggiudicarsi quella Targa fu Paolo Jannacci). Non sto ovviamente dicendo che devono vincere i miei “preferiti”, non sono così “infantile” però mi pare che certi nomi siano sorretti dal cosiddetto hype (che sicuramente ha investito anche illustri firme)… alludo alle candidature di Madame e di Iosonouncane.. non sto a sindacare sul valore dei due artisti e delle loro opere (anzi, molto probabilmente il disco di Iosonouncane a fine anno campeggerà molto in alto nella mia classifica in fase di bilancio), dico però che non li vedo adatti al contesto… La musica d’autore potrà (anzi, è necessario in un certo senso che accada) rinnovarsi e mutare forma, ma i significati, le parole, i testi devono mantenere la loro suprema rilevanza e un album come Ira (dal mio punto di vista notevole sul piano artistico) essendo ai confini con lo sperimentalismo, di suono così come di linguaggio espressivo, lo percepisco come distante dal contesto del Premio Tenco“.

Detto ciò, ecco finalmente l’elenco completo dei finalisti per il 2021:

DISCO IN ASSOLUTO

Presenti due dei tre titoli che avevo indicato alla prima tornata di voti, vale a dire Samuele Bersani e Pino Marino, i quali rappresentano l’ala più vicina alla canzone d’autore propriamente detta, almeno per i miei canoni. La loro proposta musicale è erede dei grandi cantautori che hanno fatto la storia della musica italiana, e se Samuele in passato ha già più volte ottenuto una Targa, per l’artista romano sarebbe un giusto riconoscimento – non alla carriera, non è ancora il momento – a un’opera di sicuro meritevole, al solito ottima sul profilo letterario ma che, a differenza di suoi dischi passati, non disdegna arrangiamenti più “moderni”, concedetemi il termine spiccio.

Sottolineati i giusti meriti di entrambi, occorre però evidenziare come ci sia un titolo fra i cinque che può davvero sbaragliare la concorrenza e creare un precedente “positivo” per chi sostiene che la rassegna si sia fin troppo aperta al mainstream: alludo a “Ira” di Iosonouncane, un disco dai confini indefinibili, affascinante, profondo, sfuggente e in grado di inchiodarti all’ascolto.

Un album che non può lasciare indifferenti e che ho già candidamente ammesso figurerà nelle mie consuete classifiche di fine anno, oltretutto molto in alto, perchè il suo valore intrinseco è notevole.

Un disco che mi sta mettendo in difficoltà per i motivi che ho provato a spiegare nel mio precedente post sui social, però mi chiedo: può un album che è già tra i miei preferiti in assoluto di questa prima parte dell’anno non vincere il Premio Tenco? Lascio staccati i vari ambiti oppure il suo valore è tale che va premiato, dal mio punto di vista, anche in una rassegna che ha mantenuto nei decenni determinati valori e stilemi?

Ho ancora qualche giorno per sciogliere le riserve – e la cosa vale per tutte le categorie, anche se in alcuni casi le idee sono molto più chiare.

Tornando ai dischi candidati nella principale categoria, vedo più defilati i nomi di Caparezza e Motta, che non erano nemmeno nei miei personali “ballottaggi” nella prima fase della votazione, perchè reputo che entrambi abbiano realizzato in passato album migliori di questi.

Mi va in questa sede anche di segnalare (e confido di dedicare in alcuni casi un articolo dettagliato in futuro) altri album secondo me molto interessanti che avrebbero avuto i requisiti per ambire, non dico a vincere la Targa, ma quanto meno ad arrivare tra i primi cinque: “Mannaggia a me” di Piero Brega, ispirato e istrionico come ai tempi migliori; “Cuore nero” di Olden, che ha replicato per qualità un disco come il suo precedente “Prima che sia tardi”, nonostante una diversità di suoni e atmosfere; “Ristrutturazioni” di Agnese Valle, una delle cantautrici più talentuose in circolazione e soprattutto “Paesaggio dopo la battaglia” di Vasco Brondi, il primo album di inediti a suo nome (di cui ho scritto una più che lusinghiera recensione sulla rivista “Vinile”) dopo la fruttuosa esperienza come Le luci della centrale elettrica. Per me era proprio il suo il disco che doveva vincere la Targa come migliore in assoluto, sebbene da regolamento fosse candidabile tra le Opere Prime (fattore che ha aperto un’autostrada di preferenze ai navigati Francesco Bianconi e Cristiano Godano).

Assolutamente degni di nota anche “Un sogno di Maila” di Amerigo Verardi, dalle sonorità psichedeliche e sognanti; “Sulla terra”, lavoro intimista con cui Davide Tosches si è messo a nudo; “La natura e la pazienza”, pieno di grazia e di buone vibrazioni, di Chiara Raggi, impegnata anche nel progetto “Musica di Seta”( proprio a sostegno della migliore musica d’autore), e l’oscuro e magnetico “Testimone di passaggio” di Flavio Ferri.

ALBUM IN DIALETTO

Qui ammetto di essere molto soddisfatto della cinquina finale, nonostante manchi il nome di una band che avevo votato al primo turno, i lucani Renanera, autori con “Terra da cammenà” di un album dove antico e moderno viaggiano a braccetto: peccato per loro ma avrò modo di dedicare spazio nel mio blog a questo progetto. Lodevole e di forte impatto sociale l’album “Nebros – Storie e Antichi Echi, Vol.1” del cantautore siciliano Marco Corrao, già noto su queste pagine.

Era difficile in effetti trovare posto in mezzo a titoli davvero importanti e con tutte le carte in regola (allo stesso modo) per vincere la Targa: dai siciliani Fratelli Mancuso (di cui giù avevo scritto con entusiasmo fra queste pagine quando fu pubblicato il loro stupendo “Manzamà”) ai loro corregionali Lautari, tornati in grande spolvero con “Fora Tempu”, all’artista di razza Patrizio Trampetti con l’intenso e viscerale “‘O Sud è fesso”, si potrebbe consegnare il Premio a occhi chiusi, sicuri di non sbagliare.

Se la giocano anche Setak e Stefano Saletti con la Banda Ikona ma credo che, nonostante non manchino certo motivi di interesse, un loro expoit sia poco probabile.

La categoria degli album in dialetto è da sempre quella che mi da’ più spunti di interesse, perchè non solo il nostro patrimonio artistico in tal senso è inestimabile ma, cosa più importante, anche il presente è più ricco e vivo che mai.

OPERA PRIMA

Si è in pratica avverata una profezia che feci appena uscirono gli album solisti di Bianconi e Godano (sul cui valore assoluto non discuto), quando dissi che per la successiva edizione del Premio Tenco due nomi tra i migliori debutti sarebbero in pratica giù stati assegnati. Difficile però pensare a due mostri sacri della canzone italiana (perchè quelli sono i Baustelle e i Marlene Kuntz, gruppi di cui i nostri sono affermati e carismatici leader) come esordienti ma tant’è: il regolamento dice questo e d’altronde anche lo scorso anno si aggiudicò la Targa in questa categoria il buon Paolo Jannacci, non certo un novellino; immaginavo pertanto che ai “veri” esordienti sarebbero rimaste le briciole in fase di responsi.

Gente come il raffinato cantautore Carlo Pinchetti, a cui ho dato tra l’altro la preferenza nella prima tornata di voti, la brillante Vea (Valeria Angelotti), autrice dell’ottimo “Sei chi non sei” o Francesco Maestro Pellegrini, già negli Zen Circus, che ho intervistato su “Indie For Bunnies”, il quale ha debuttato con un album autentico e delicato come “Fragile” (donandogli nuova vita in una recente ed emozionante versione a due per pianoforte e voce con il padre Andrea), meritavano a mio avviso più fortuna in questa sede ma sono sicuro che riusciranno a far parlare di se’ per i loro indubbi meriti.

Non è detto tuttavia che ci sia già un vincitore annunciato, poichè la concorrenza femminile mai come in questa sezione è agguerritissima e possiede efficaci armi come il talento, la qualità e lo spessore: dalla versatile Emma Nolde alla più classica ChiaraBlue, che tiene sospesi e ammaliati tra atmosfere jazzate, fino ad arrivare all’astro nascente Madame che ha stupito tutti al Festival di Sanremo, in egual modo appaiono seriamente in grado di insidiare i due big “in incognito”.

INTERPRETE DI CANZONE

I tre titoli da me indicati al primo step di votazioni sono arrivati in finale, quindi oltre a essere felice per loro, mi vien da dire che obiettivamente avessero qualità evidenti per non lasciarsi sfuggire questa opportunità di incrementare la loro personale bacheca di successi. Già, perchè i nomi a cui mi riferisco sono la splendida Ginevra Di Marco, che qui si è cimentata egregiamente con l’opera di Luigi Tenco, insomma, è nel “posto giusto” direi per affermare la propria candidatura; la rediviva Ornella Vanoni che in quanto a classe interpretativa non ha eguali e il grande Peppe Voltarelli che definire cantautore suona assai riduttivo, vista la sua caratura di artista a 360 gradi. Se risultassero vincitori mi farebbe piacere, indistintamente, anche se ovviamente dovrò anche qui scegliere un solo nome per la votazione decisiva.

Avevo dovuto sacrificare in fase di preferenza l’album di Federico Poggipollini, che ho apprezzato ascoltandolo con gusto, e ora me lo ritrovo nella cinquina di finalisti, quindi benissimo così; mi sorprende invece il nome della brava Miriam Foresti, con un progetto ambizioso di non facilissima fruizione.

CANZONE SINGOLA

Anche questa categoria è molto importante e, almeno da quando figuro in giuria, cioè dal 2016, è quella più imprevedibile in quanto a pronostici ed effettivi risultati.

Canzoni singole bellissime ce ne sono a iosa, dai più svariati cantanti, anche se a volte risulta difficile estrapolarle dal contesto di determinati dischi: insomma, deve essere un pezzo che funziona a se’ stante e che ha inevitabilmente quella marcia in più.

Nelle ultime tre edizioni non si è “faticato” poi molto a individuare il titolo giusto che ottenesse questa Targa, visto che dopo uno straordinario Mirkoeilcane nel 2018, sia Daniele Silvestri nel 2019 con “Argento vivo” che Tosca l’anno successivo con “Ho amato tutto” si erano già ottimamente distinti in gara al Festival di Sanremo: sono passati quindi dallo stesso palco dell’Ariston nel giro di poco tempo, come a dire che spesso la musica non ha confini, e che se un’opera merita viene a galla e brilla di luce propria anche quando viene proposta e giudicata in scenari differenti.

Che lo stesso destino quindi tocchi quest’anno alla già citata Madame, che a febbraio a Sanremo ottenne ben due riconoscimenti per la sua “Voce”, tra cui quello di miglior testo? Può essere in effetti ma attenzione a non sottovalutare la forza delle parole di un brano come “Zinda” di Francesca Incudine, o quelle intrise di pragmatico lirismo di “Ci stiamo preparando al meglio” di Canio Loguercio (con il prezioso contributo di Andrea Satta), unico tra i titoli da me votati ad essere giunto in finale in questa categoria. Ci sono poi autentici assi come Pino Marino, la cui “Calcutta” in effetti riusciva a spiccare nel suo magnifico “Tilt” e Iosonouncane con “Novembre”, in versione cantautore con la C maiuscola per quello che fu il suo singolo di ritorno dopo i fasti di un album come “Die” che cinque anni prima lo consacrò come il nome nuovo per antonomasia da seguire.

Mi piace però segnalare almeno quattro brani che non figurano tra i finalisti ma che hanno saputo regalarmi forti emozioni al loro ascolto: la struggente “I ricordi” di Giulio Wilson, che apre in modo sublime il suo “Storie vere tra alberi e gatti”; l’evocativa “Bar 90” di Marco Parente che invece ha il compito di chiudere “Life”; la poetica “Ovunque si nasconda” dei maestri Yo Yo Mundi che al solito ci hanno confezionato un lavoro senza punti deboli come “La rivoluzione del battito di ciglia” e quella meravigliosa perla che risponde al nome di “Peddi nova”, scritta da Cesare Basile e inclusa nel già citato “Fora Tempu” dei Lautari, i quali gareggiano con l’intero disco appunto tra le opere in dialetto.

ALBUM COLLETTIVO A PROGETTO

Tutti e tre i titoli da me votati sono arrivati in finale: “Ad esempio a noi piace Rino”, sulle canzoni del mai dimenticato Rino Gaetano, “Note di viaggio vol.2 – Non vi succederà niente”, sentito omaggio al grande Francesco Guccini e “Ritratti d’autore: Bindi, Bassignano & Friends”. Sono tre raccolte emozionanti, ben realizzate e meritevoli di questo riconoscimento… io credo che alla fine si aggiudicherà la Targa il disco dedicato al Guccio, le cui rivisitazioni sono indubbiamente autorevoli e rispettose (ma in realtà lo stesso giudizio è facilmente estendibile agli altri titoli candidati).

In finale inoltre due dischi assai interessanti come “Her Dem Amade Me- Siamo sempre pronte, siamo sempre pronti” e il progetto “Musica contro le Mafie: Sound Bocs Diary”, quest’ultimo con buone chances di contendere la Targa al mio favorito.

Tirando le conclusioni, ce n’è anche quest’anno per tutti i gusti: ci sono piatti serviti per le solite polemiche da quattro soldi, ci sono esclusioni eccellenti e ripescaggi graditissimi, c’è soprattutto tanta bella musica d’autore che ancora sa rinverdire certi fasti indimenticabili, nonostante siano cambiati tempi, epoche e scenari attorno a noi.

Basta cercarla – e i canali per farlo non mancano di certo – e soprattutto avere buone orecchie predisposte e attente.

Top 20 Migliori Album Italiani del 2020

Il 2020 ci ha lasciato in dote molti dischi italiani meritevoli di attenzione e ad alto tasso qualitativo ed emozionale.

Mediante questo blog, oppure tramite il sito di Indie For Bunnies o la rivista Vinile, ho avuto modo di scrivere nel dettaglio di quasi tutti i titoli che vedrete scorrere in questa mia graduatoria.

In ogni caso, in fase di ripasso, vi consiglio davvero un ascolto di quelli che sono per me i migliori album pubblicati in questo anno, così nefasto per i motivi che ben conosciamo, giunto ormai in dirittura d’arrivo.

1 – OLDEN – Prima che sia tardi

Davide Sellari in arte Olden riporta in auge il cantautorato nostrano, con un concept dai significati profondi. Lasciatevi condurre in questo viaggio catartico

2 – ALESSANDRO ROCCA – Transiti

Quanta intensità nelle parole (soprattutto) e nelle musiche di questo disco ad opera di Alessandro Rocca: un’autentica rivelazione

3 – HUMPTY DUMPTY – Lie/Ability

Alessandro Calzavara, deus ex machina dell’ormai longevo progetto Humpty Dumpty, non smette di stupire: in questo disco sono frullate egregiamente tantissime suggestioni musicali

4 – YO YO MUNDI – La rivoluzione del battito di ciglia

La band capitanata da Paolo Enrico Archetti Maestri è ormai un nome storico della musica italiana e proprio sul filo di lana ci consegna uno dei più bei dischi dell’anno, intriso di poesia e passione

5 – BRUNORI SAS – Cip!

La felice, perfetta, commistione di pop e musica d’autore consente a Dario Brunori di sbaragliare tutti nell’ultima edizione del Tenco, dove si aggiudica la Targa per il Miglior Album dell’Anno

6 – ELEONORA BORDONARO – Moviti ferma

Di recente gradita ospite fra queste pagine con una ricca intervista, l’artista siciliana non può mancare in questa graduatoria, forte di un album ispirato, viscerale e contaminato

7 – PAOLO BENVEGNU’ – Dell’odio dell’innocenza

Paolo Benvegnù: un nome, una garanzia sin dai tempi degli Scisma. Da quell’esperienza lontana (ma mai dimenticata) ad oggi, il Nostro continua un percorso fatto di ottima qualità e cura per ogni particolare, narrativo e musicale

8 – ROSSELLA SENO – Pura come una bestemmia

Rossella Seno è un’artista a tutto tondo, intensa e raffinata, che riesce con le sue interpretazioni a farci vivere quelle stesse emozioni emanate senza filtri in queste canzoni

9 – DIODATO – Che vita meravigliosa

Il 2020 è stato l’anno della piena affermazione di Diodato, iniziato con la splendida affermazione sanremese cui ha fatto seguito un album fresco e godibile, ottimamente scritto e prodotto.

10 – SARA MARINI – Torrendeadomo

Un altro nome, al pari della Bordonaro, salito in auge grazie al Tenco fra le Migliori Opere in Dialetto, è quello di Sara Marini che in questo disco ha saputo sprigionare tutto l’amore per la Sardegna e l’Umbria, le due Terre dove si trovano le sue radici

11 – FLAVIO FERRI – Testimone di passaggio

Flavio Ferri in questo accidentato 2020 è stato attivissimo su più versanti musicali ma a un certo punto ha voluto mettersi in proprio, sciorinando un album assai intenso, cupo, particolarmente attinente ai giorni nostri.

12 – DAVIDE TOSCHES – Sulla terra

Il nuovo album di Davide Tosches è stato sorprendente fino a un certo punto, perchè già in passato aveva sfornato lavori deliziosi e genuini. Qui però ha raggiunto un equilibrio perfetto tra musica e parole, donando immediatezza alla sua arte

13 – PERTURBAZIONE – (dis)amore

Seguo si può dire da sempre i Perturbazione e ritrovarmeli così ispirati e con una rinnovata voglia di comunicare storie, è stata una gioia per il cuore. Sono tornati quelli dei giorni migliori

14 – UMBERTO PALAZZO – L’Eden dei lunatici

E a proposito di ritorni eccellenti, che dire di questo inaspettato nuovo album di Umberto Palazzo, uno che ha fatto la storia del rock indipendente con i suoi Santo Niente? Una gradita sorpresa in tempi di lockdown, qui esorcizzato con un sound solare, vivace, a tratti irresistibile

15 – BUVA – Quarantena

Buva (al secolo Valerio Buchicchio) è un cantautore pugliese che con un album dal titolo inconsapevolmente profetico, ha sfiorato la Targa al Premio Tenco, giungendo secondo tra gli esordienti. Il giusto mix tra testi profondi e musica di stampo pop si è rivelato una carta vincente

16 – MAESTRO PELLEGRINI – Fragile

Un altro debutto assolutamente interessante porta la firma di Francesco Pellegrini, in libera uscita dagli Zen Circus e qui protagonista di brani immediati e sinceri, in cui si è messo a nudo, sapendo coinvolgere ed emozionare

17 – MARCO PARENTE – Life

Veterano della scena indipendente e mai sufficientemente reclamizzato, Marco Parente esplora nuova sonorità mantenendo inalterata la sua proposta d’autore, sempre raffinata e suggestiva

18 – AGNESE VALLE – Ristrutturazioni

Con questo nuovo lavoro Agnese Valle si conferma tra le cantautrici più promettenti dell’intera scena nazionale. Ormai è una fulgida realtà, in grado di maneggiare con maestria diversi stili senza perdere le sue peculiarità

19 – EDDA E MAROK – Noio; volevam suonar

Un duo d’eccezione, quello composto da Edda e Gianni Maroccolo: apparentemente agli antipodi riescono invece a integrarsi nel migliore dei modi, creando un mondo narrativo e sonoro dove confluiscono in egual modo le loro multiformi personalità artistiche

20 – JET SET ROGER – Un rifugio per la notte

Jet Set Roger (nome sotto cui si cela Roger Rossini) è un moderno cantastorie che è riuscito ancora una volta a tradurre in musica e parole una vicenda ricca di fascino e mistero: quella di Villon, già protagonista in un racconto di Robert L. Stevenson. Un progetto ambizioso il suo, curato nei minimi dettagli, che colpisce nel segno

Di seguito altri 12 album che quest’anno mi sono piaciuti tanto e che ad ogni ascolto sanno regalarmi molte emozioni.

  • FABRIZIO TAVERNELLI – Homo Distopiens
  • CARMELO PIPITONE – Segreto pubblico
  • MARCO CORRAO – Pietre su pietre
  • PINO MARINO – Tilt
  • FRATELLI MANCUSO – Manzamà
  • SAMUELE BERSANI – Cinema Samuele
  • FABIO CINTI – Al blu mi muovo
  • ROSGOS – Lost in the desert
  • CRISTIANO GODANO – Mi ero perso il cuore
  • CALIBRO 35 – Momentum
  • MORISCO – L’ultimo colpo
  • GULINO – Urlo gigante

Consigli musicali di fine 2020: segnatevi i nomi di Agnese Valle, Clemente e Leda!

Mai come nel 2020 mi rendo conto di essermi speso così tanto a favore delle (tante) produzioni italiane – il più delle volte indipendenti – che hanno affollato un mercato discografico asfittico se guardiamo probabilmente alle mere vendite o ai freddi numeri, ma particolarmente vivace e meritevole di attenzione se fissiamo lo sguardo un po’ più nel profondo.

Qualità ne ho trovata a iosa, infatti, in diversi lavori cui ho voluto dedicare quello spazio che solitamente nei grossi media è loro inviso; i nomi sono tanti e facilmente rintracciabili qui dentro, anticipando comunque che sarà mia premura prossimamente fare un piccolo resoconto de “il meglio di”, riferito in particolare proprio alle pubblicazioni tricolori uscite in questo accidentato 2020.

In extremis però mi ritrovo, quasi “obbligato” moralmente, a segnalare altri lavori che non possono passare inosservati, visto il valore che si portano dietro con sè e che necessita di essere scoperto ai più, per lo meno a chi mi legge abitualmente.

Si tratta di tre lavori diversissimi fra loro ma accomunati dalla grande ricchezza di suggestioni e di qualità.

Il primo si chiama “I confini del giorno” e porta la firma del cantautore Antonio Clemente, artista a tutto tondo, essendo anche poeta e pittore. Nel suo nuovo album, uscito pochi mesi fa, ha voluto condensare in 15 tracce (comprensive di una intro e di una ghost-track come conclusione del disco) ogni sfaccettatura del tema amoroso, il tutto rifuggendo luoghi comuni ma al contrario scandagliando con buon gusto, raffinatezza poetica e note coinvolgenti quello che è il sentimento più discusso (e cantato) per eccellenza.

L’afflato musicale è quello di una deliziosa canzone d’autore, abile a destreggiarsi in territori jazzati, molto nelle corde del Nostro; così come la maestria nel tratteggiare dolci affreschi nelle situazioni della vita di tutti i giorni, sembra essere il suo vero registro narrativo. Colpiscono in particolare la profondità del brano “Lontani”, l’ammaliante “I confini del mondo” in cui assistiamo a un mirabile duetto in cui le voci si rincorrono e si cercano lungo una strada comune; oppure un brano come “Canzone a metà”, dal testo particolarmente interessante. Voci pulite, suoni ricercati ma che arrivano dritti al cuore dell’ascoltatore, sono gli ingredienti principali di questo lavoro che trova a mio avviso i suoi vertici creativi in “L’ora magica”, in una “Amaranto” dagli ottimi spunti cantautorali (conditi oltretutto da riuscite venature folk) e in primis quella “Cuore” che appare come il manifesto più credibile dell’intero album.

Veniamo poi a un nome che ai vari appassionati di musica d’autore, quella con la M maiuscola, deve necessariamente suonare familiare, perché ad ogni prova è in grado di dimostrare tutto il suo talento: sto parlando di Agnese Valle, giovane artista romana che si sta costruendo un solido percorso, senza tentare in alcun modo le comode scorciatoie. E’ già nota perché può vantare collaborazioni preziose con i grandi della nostra canzone, perché ha già ottenuto importanti riconoscimenti nelle rassegne dedicate alla musica d’autore e, soprattutto, grazie al fatto che le sue variegate qualità (di autrice e polistrumentista) le riesce a declinare meravigliosamente tra i solchi di canzoni che lasciano spesso e volentieri il segno.

Non è da meno questo nuovo “Ristrutturazioni”, le cui soluzioni musicali ne rivelano il buon eclettismo, oltre che un invidiabile equilibrio formale e sostanziale tra pop, rock e moderno cantautorato. Non ultimo, e non è assolutamente un aspetto da poco, Agnese dalla sua ha quel tocco di originalità che non la fa assomigliare a nessuna delle (tante) brave colleghe emerse nell’ultimo decennio.

Ogni ascoltatore saprà poi di volta in volta, a seconda della propria indole, far pendere la bilancia sugli episodi più sbarazzini e diretti (come la vibrante “Cortocircuito”, la vivace “Cactus” o la più robusta “Fame d’aria”), oppure verso il lato più intimista e raccolto, ben esemplificato dalla toccante (e dai tratti poetici) “Come la punta del mio dito”, in duetto con il cantautore Pino Marino (a proposito di album interessanti, non perdete il suo recentissimo “Tilt”, che ne ha segnato un ritorno assolutamente fragoroso sulle scene), l’intensa e struggente “L’ultima lettera dell’astronauta” – per inciso la mia preferita del disco – o la delicata conclusione con “Scivola”. Ma sono pregevoli anche quegli episodi più particolari, in grado di staccarsi stilisticamente dai due “rami” principali dell’opera: un esempio è dato dall’ironica e ficcante “Il tonno”, un altro dall’orecchiabile “Ventilazione”, meravigliosa cover del brano di Ivano Fossati che ti cattura con la sua melodia e un arrangiamento coloratissimo. Menzione speciale va anche a “La terra sbatte”, in cui partecipa la Piccola Orchestra di Tor Pignattara, ispirata ai tragici fatti del Bataclan, con cui la Valle si è aggiudicata il Premio della critica Amnesty International sez. emergenti di Voci per la libertà. Insomma, l’avrete capito, non ci sono punti deboli in questo lavoro.

Agnese Valle è un’artista per la quale è difficile fare previsioni, nel senso che ha così tante potenzialità che non si capisce fin dove potrà arrivare… ma non sembra azzardato ipotizzarla tra i futuri nomi di punta dell’intero panorama musicale italiano.

Chiudiamo questo insolito articolo, chiamiamolo “riparativo” nei confronti di alcuni album che meritavano da prima una mia citazione, con un disco a cui debbo chiedere umilmente “scusa”, perché si tratta di un autentico gioiello – forse sin “troppo” nascosto – che avrebbe meritato ben altri consensi.

Il gruppo si chiama Leda, è composto da quattro forti personalità musicali già attive da tanti anni nella scena rock underground ma che unendo le forze e facendole confluire in un progetto comune, ha saputo raccogliere delle ottime idee mettendole al servizio di un grande album. “Memorie dal futuro” è uscito addirittura più di un anno fa, nel 2019, ma è sempre attualissimo. Sarà che possiede un magnetismo, un sound così avvolgente e onirico e dei testi così immaginifici e a tratti visionari, fatto sta che sembra “senza tempo”, con quell’attitudine così smaccatamente nineties ben inserita però in un contesto odierno, con tutte le contraddizioni e il senso di smarrimento che ne conseguono. I marchigiani Leda sono guidati dalla magnifica voce di Serena Abrami, autrice anche dei testi, artista che ha già alle spalle un curriculum di tutto rispetto ed escursioni felici in ambiti apparentemente antitetici (ma che finiscono per certificarne la grande varietà di talenti) e caratterizzati dalle chitarre ora ruggenti e taglienti, ora psichedeliche e ariose di Enrico Vitali, cui si sposa egregiamente una sezione ritmica poderosa ed eclettica, col basso sinuoso di Mirko Fermani e la batteria cangiante di Fabrizio Baioni.

L’inizio è stratosferico, con la trascinante e obliqua “Ho continuato”, capace di far convivere mondi in apparenza diversi come quelli di Marlene Kuntz e Scisma, seguito dalla più dilatata e fluida “Distanze”, cui si collegano, in un saliscendi emotivo fortissimo, episodi sempre centrati ma allo stesso tempo in grado di farti vagare con la mente, fino a stranirti, ipnotizzarti e rapirti, con il loro mix di atmosfere e rimandi. Dall’eterea “Pulviscolo” all’ondivaga “Nuovi simboli” e la sua coda rumorosa; da una “Tu esisti” che dall’incidere cadenzato si fa poi ritmica alla malinconica “Deriva”; dall’intensa “Icaro” fino a concludere con “Il sentiero” che può avvalersi della collaborazione del grande Marino Severini dei Gang, a creare un ponte con certa canzone impegnata, viene facile credere che a questi ragazzi non manchi proprio niente per salire di gradino e appostarsi fianco a fianco con le più grandi esperienze in merito di rock italiano.

Un esordio folgorante, che infatti sin dal primo ascolto mi ha lasciato senza fiato, e mi ha dato speranze che anche al giorno d’oggi si possa fare del rock in modo credibile, assolutamente autentico e ispirato.