Consigli musicali di fine 2020: segnatevi i nomi di Agnese Valle, Clemente e Leda!

Mai come nel 2020 mi rendo conto di essermi speso così tanto a favore delle (tante) produzioni italiane – il più delle volte indipendenti – che hanno affollato un mercato discografico asfittico se guardiamo probabilmente alle mere vendite o ai freddi numeri, ma particolarmente vivace e meritevole di attenzione se fissiamo lo sguardo un po’ più nel profondo.

Qualità ne ho trovata a iosa, infatti, in diversi lavori cui ho voluto dedicare quello spazio che solitamente nei grossi media è loro inviso; i nomi sono tanti e facilmente rintracciabili qui dentro, anticipando comunque che sarà mia premura prossimamente fare un piccolo resoconto de “il meglio di”, riferito in particolare proprio alle pubblicazioni tricolori uscite in questo accidentato 2020.

In extremis però mi ritrovo, quasi “obbligato” moralmente, a segnalare altri lavori che non possono passare inosservati, visto il valore che si portano dietro con sè e che necessita di essere scoperto ai più, per lo meno a chi mi legge abitualmente.

Si tratta di tre lavori diversissimi fra loro ma accomunati dalla grande ricchezza di suggestioni e di qualità.

Il primo si chiama “I confini del giorno” e porta la firma del cantautore Antonio Clemente, artista a tutto tondo, essendo anche poeta e pittore. Nel suo nuovo album, uscito pochi mesi fa, ha voluto condensare in 15 tracce (comprensive di una intro e di una ghost-track come conclusione del disco) ogni sfaccettatura del tema amoroso, il tutto rifuggendo luoghi comuni ma al contrario scandagliando con buon gusto, raffinatezza poetica e note coinvolgenti quello che è il sentimento più discusso (e cantato) per eccellenza.

L’afflato musicale è quello di una deliziosa canzone d’autore, abile a destreggiarsi in territori jazzati, molto nelle corde del Nostro; così come la maestria nel tratteggiare dolci affreschi nelle situazioni della vita di tutti i giorni, sembra essere il suo vero registro narrativo. Colpiscono in particolare la profondità del brano “Lontani”, l’ammaliante “I confini del mondo” in cui assistiamo a un mirabile duetto in cui le voci si rincorrono e si cercano lungo una strada comune; oppure un brano come “Canzone a metà”, dal testo particolarmente interessante. Voci pulite, suoni ricercati ma che arrivano dritti al cuore dell’ascoltatore, sono gli ingredienti principali di questo lavoro che trova a mio avviso i suoi vertici creativi in “L’ora magica”, in una “Amaranto” dagli ottimi spunti cantautorali (conditi oltretutto da riuscite venature folk) e in primis quella “Cuore” che appare come il manifesto più credibile dell’intero album.

Veniamo poi a un nome che ai vari appassionati di musica d’autore, quella con la M maiuscola, deve necessariamente suonare familiare, perché ad ogni prova è in grado di dimostrare tutto il suo talento: sto parlando di Agnese Valle, giovane artista romana che si sta costruendo un solido percorso, senza tentare in alcun modo le comode scorciatoie. E’ già nota perché può vantare collaborazioni preziose con i grandi della nostra canzone, perché ha già ottenuto importanti riconoscimenti nelle rassegne dedicate alla musica d’autore e, soprattutto, grazie al fatto che le sue variegate qualità (di autrice e polistrumentista) le riesce a declinare meravigliosamente tra i solchi di canzoni che lasciano spesso e volentieri il segno.

Non è da meno questo nuovo “Ristrutturazioni”, le cui soluzioni musicali ne rivelano il buon eclettismo, oltre che un invidiabile equilibrio formale e sostanziale tra pop, rock e moderno cantautorato. Non ultimo, e non è assolutamente un aspetto da poco, Agnese dalla sua ha quel tocco di originalità che non la fa assomigliare a nessuna delle (tante) brave colleghe emerse nell’ultimo decennio.

Ogni ascoltatore saprà poi di volta in volta, a seconda della propria indole, far pendere la bilancia sugli episodi più sbarazzini e diretti (come la vibrante “Cortocircuito”, la vivace “Cactus” o la più robusta “Fame d’aria”), oppure verso il lato più intimista e raccolto, ben esemplificato dalla toccante (e dai tratti poetici) “Come la punta del mio dito”, in duetto con il cantautore Pino Marino (a proposito di album interessanti, non perdete il suo recentissimo “Tilt”, che ne ha segnato un ritorno assolutamente fragoroso sulle scene), l’intensa e struggente “L’ultima lettera dell’astronauta” – per inciso la mia preferita del disco – o la delicata conclusione con “Scivola”. Ma sono pregevoli anche quegli episodi più particolari, in grado di staccarsi stilisticamente dai due “rami” principali dell’opera: un esempio è dato dall’ironica e ficcante “Il tonno”, un altro dall’orecchiabile “Ventilazione”, meravigliosa cover del brano di Ivano Fossati che ti cattura con la sua melodia e un arrangiamento coloratissimo. Menzione speciale va anche a “La terra sbatte”, in cui partecipa la Piccola Orchestra di Tor Pignattara, ispirata ai tragici fatti del Bataclan, con cui la Valle si è aggiudicata il Premio della critica Amnesty International sez. emergenti di Voci per la libertà. Insomma, l’avrete capito, non ci sono punti deboli in questo lavoro.

Agnese Valle è un’artista per la quale è difficile fare previsioni, nel senso che ha così tante potenzialità che non si capisce fin dove potrà arrivare… ma non sembra azzardato ipotizzarla tra i futuri nomi di punta dell’intero panorama musicale italiano.

Chiudiamo questo insolito articolo, chiamiamolo “riparativo” nei confronti di alcuni album che meritavano da prima una mia citazione, con un disco a cui debbo chiedere umilmente “scusa”, perché si tratta di un autentico gioiello – forse sin “troppo” nascosto – che avrebbe meritato ben altri consensi.

Il gruppo si chiama Leda, è composto da quattro forti personalità musicali già attive da tanti anni nella scena rock underground ma che unendo le forze e facendole confluire in un progetto comune, ha saputo raccogliere delle ottime idee mettendole al servizio di un grande album. “Memorie dal futuro” è uscito addirittura più di un anno fa, nel 2019, ma è sempre attualissimo. Sarà che possiede un magnetismo, un sound così avvolgente e onirico e dei testi così immaginifici e a tratti visionari, fatto sta che sembra “senza tempo”, con quell’attitudine così smaccatamente nineties ben inserita però in un contesto odierno, con tutte le contraddizioni e il senso di smarrimento che ne conseguono. I marchigiani Leda sono guidati dalla magnifica voce di Serena Abrami, autrice anche dei testi, artista che ha già alle spalle un curriculum di tutto rispetto ed escursioni felici in ambiti apparentemente antitetici (ma che finiscono per certificarne la grande varietà di talenti) e caratterizzati dalle chitarre ora ruggenti e taglienti, ora psichedeliche e ariose di Enrico Vitali, cui si sposa egregiamente una sezione ritmica poderosa ed eclettica, col basso sinuoso di Mirko Fermani e la batteria cangiante di Fabrizio Baioni.

L’inizio è stratosferico, con la trascinante e obliqua “Ho continuato”, capace di far convivere mondi in apparenza diversi come quelli di Marlene Kuntz e Scisma, seguito dalla più dilatata e fluida “Distanze”, cui si collegano, in un saliscendi emotivo fortissimo, episodi sempre centrati ma allo stesso tempo in grado di farti vagare con la mente, fino a stranirti, ipnotizzarti e rapirti, con il loro mix di atmosfere e rimandi. Dall’eterea “Pulviscolo” all’ondivaga “Nuovi simboli” e la sua coda rumorosa; da una “Tu esisti” che dall’incidere cadenzato si fa poi ritmica alla malinconica “Deriva”; dall’intensa “Icaro” fino a concludere con “Il sentiero” che può avvalersi della collaborazione del grande Marino Severini dei Gang, a creare un ponte con certa canzone impegnata, viene facile credere che a questi ragazzi non manchi proprio niente per salire di gradino e appostarsi fianco a fianco con le più grandi esperienze in merito di rock italiano.

Un esordio folgorante, che infatti sin dal primo ascolto mi ha lasciato senza fiato, e mi ha dato speranze che anche al giorno d’oggi si possa fare del rock in modo credibile, assolutamente autentico e ispirato.