Il Verona torna in serie A dopo un solo anno di purgatorio. Lo ha fatto strappando con i denti quel punticino che gli mancava nella trasferta di Cesena, città che 27 anni prima aveva sancito una dolorosa retrocessione in serie B e soprattutto la fine del ciclo leggendario di Bagnoli alla guida della squadra. Una promozione sì sofferta ma assolutamente meritata per i valori e la forza dei singoli giocatori, che si sono fatti “gruppo” nel momento più delicato della stagione.
La festa si è propagata a lungo (giustamente) sugli spalti del Manuzzi, dove erano presenti tantissimi “butei” gialloblu, e fuori dallo stadio, in città dove si erano radunati in migliaia per seguire da maxischermo l’ultima fatica dei propri beniamini. Già, è stata una fatica! Quella che apparentemente sembrava poter essere una cavalcata trionfale verso la riconquista della serie A appena perduta inopinatamente, si è rivelata in corso d’opera una travagliata corsa a ostacoli, più spesso disseminati dagli stessi protagonisti in campo. Sembrava infatti che ci si dovesse complicare per forza di cose una situazione che fino a novembre almeno si era fatta assai propizia. Squadra primissima, fautrice di un gioco spettacolare come non si vedeva da tempo, vittorie in serie, gol a grappoli e gli elogi incondizionati dei media e degli appassionati sportivi. Poi, inaspettatamente qualcosa si è incrinato, e le cause non saranno mai del tutto definite. A un certo punto tutto e tutti sembravano poter essere messi in discussione, società in primis, nelle figure di Setti e Fusco, l’allenatore Pecchia, inviso a una parte del tifo sin da tempi non sospetti, i giocatori, anche quelli simbolo, rei di non giocare con la massima determinazione e di non essere attaccati alla maglia.
Ciò che conta è che nel momento più critico, o comunque in quello cruciale della stagione, il mister e i giocatori si siano ricompattati (e in questo è stata abile la società a non voler mai dichiaratamente destabilizzare l’ambiente) e di conseguenza anche i tifosi, da sempre arma in più per i risultati della squadra, si sono calorosamente riavvicinati per un grande obiettivo comune.
Pecchia, pur coi suoi limiti dettati principalmente dall’inesperienza a questi livelli e forse anche in difficoltà a convivere in prima persona con la pressione di “dover” vincere il campionato, ha mostrato sulla lunga distanza nervi saldi e la capacità in corsa di rivedere schemi collaudati (e a un certo punto anche di rinunciare a elementi sino a quel momento imprescindibili per il suo gioco, in funzione del raggiungimento del risultato). Alla fine, ha condotto il Verona in serie A che, per quanto scontato alla vigilia, sappiamo bene che con i soli nomi non si vincono i campionati. Certo, non dobbiamo nascondere la testa nella sabbia: a un certo punto siamo stati agevolati anche dall’inatteso crollo del Frosinone, nostro principale antagonista – escludendo la sorpresa Spal – e sia benedetto quell’incontro del girone d’andata, chiuso con la nostra vittoria, altrimenti staremmo raccontando un epilogo diverso. Proprio quel vantaggio nello scontro diretto ha fatto sì che, a parità di punteggio, fossimo noi a salire in serie A, evitando le mille insidie dei playoff.
Preferisco però qui sottolineare i meriti dei nostri ragazzi, che pur dilapidando il vantaggio e non essendo stati più in grado di replicare il gioco spumeggiante dei primi 3 mesi di campionato, hanno saputo raddrizzare la barca con l’orgoglio, gli attributi (più volte invocati a gran voce dai tifosi e dalla stampa locale), la grinta e, non ultima, la qualità dei singoli, sempre determinanti nei momenti salienti. Pensiamo ad esempio a Romulo, giocatore che più volte ha fatto arrabbiare i tifosi per la sua indolenza, la voglia di strafare, la sua anarchia tattica. Il periodo di massima flessione dell’Hellas guarda caso è coinciso con il suo scadimento di forma, la sua abulia. Ma quel gol all’ultimo respiro nel derby col Vicenza è stata la chiave di volta per ripartire. La sua volée alla sinistra del portiere vicentino ha riscritto i destini del Verona e dello sconfitto Vicenza che da quel momento non ha più saputo riprendersi psicologicamente fino alla retrocessione in Lega Pro, sancita ieri sera.
Il Verona invece d’un tratto ritrovava vigore, convinzione, entusiasmo e la forza dei suoi uomini migliori, come Bessa, gran cecchino negli ultimi mesi con le sue fucilate da fuori area. L’italo brasiliano, autentica rivelazione del torneo, ha spesso rappresentato quel quid in più di qualità in mezzo al campo ma col passare dei mesi, ha smesso i panni del validissimo palleggiatore per indossare quelli del leader, abile come sempre a giostrare la palla, ma pure a rinculare sugli avversari, correre su e giù per il campo, lottare fino all’ultimo e diventando più concreto sotto porta. In A potrebbe davvero esplodere in tutto il suo talento.
Che aggiungere poi su Pazzini che già non si sia scritto ovunque? Giampaolo a 33 anni ha vissuto una seconda giovinezza, stabilendo il record di marcature personali (23), diventando capocannoniere (titolo mai messo in discussione dopo una partenza a razzo nel tabellino dei marcatori), insidiando Cacia che con 24 ancora rappresenta il massimo di reti per un giocatore gialloblu nella storia ultracentenaria del club, ma soprattutto fungendo da guida per i compagni. Il “Pazzo” si è calato totalmente nell’ambiente, in piena sintonia con città e tifosi, fino a diventarne simbolo. Si è rimesso in gioco, ha tenuto a galla la squadra anche nei momenti più bui non smettendo mai di timbrare il cartellino del gol. Un grande giocatore che, pieno di motivazioni, potrà dire ampiamente la sua anche in serie A.
Inutile infine fare finta di nulla, non sottolineando anche alcuni aspetti che si sono evidenziati in negativo nel corso della stagione, senza cercare necessariamente colpevoli. In fondo si vince o si perde tutti insieme ma certe carenze strutturali sono emerse abbastanza presto. In primis la mancanza di personalità in ruoli chiave, vale a dire quello del portiere e dei difensori. Senza nulla togliere a Nicolas, che in diverse circostanze, ci ha pure salvato la pelle, il brasiliano è parso poco sicuro alla guida di un reparto, talvolta sprovveduto, per non dire avventato in certe scelte di gioco.
La difesa, imperniata a lungo su Bianchetti, ha vacillato troppo spesso. E se all’inizio questo fatto veniva compensato dal grande apporto prodotto in chiave offensiva, poi gli alibi sono caduti, specie dopo l’innesto di giocatori come i fratelli Zuculini (spiace aver visto così poco all’opera Franco e le sue doti di innegabile trascinatore) che facevano scudo protettivo davanti alla terza linea. Il già citato Bianchetti, atteso da anni alla consacrazione, dopo i fasti dell’Under 21 con Mangia e le promesse interiste, ha mancato ancora una volta il salto, patendo spesso gli uno contro uno avversari, e girando a vuoto quando le azioni delle altre squadre si facevano arrembanti. Spesso insignito del ruolo di capitano, in assenza di Pazzini, ha finito col giocare meno sul finale di stagione, lasciando spazio al più duttile (e convincente) Ferrari e al più solido Caracciolo, difensore di categoria con pochi fronzoli. Pisano ha giocato a mezzo servizio ma raramente ha mostrato le doti messe in mostra in serie A. Souprayen è il giocatore che forse ha giocato con più continuità ma al di là di un’affidabilità emersa soprattutto nel girone di ritorno non ha mai e poi mai fatto la differenza. Un altro giocatore a lungo discusso e, a conti fatti, discontinuo, è stato Siligardi, per molta critica uno degli uomini più dell’intera serie B. La verità è che a Verona, il buon Luca solo a sprazzi ha mostrato il suo talento, perdendosi più spesso in giornate grigie, senza spunti di rilievo. Decisamente più a suo agio è parso nel ruolo a lui più congeniale di trequartista alle spalle delle punte, modulo tuttavia poco contemplato dal mister.
E’ piaciuto il fatto che abbiano dato il loro contributo, seppur a fasi alterne, giovani di buone speranze come Valoti e soprattutto Zaccagni, sorta di jolly nello scacchiere gialloblu. Hanno disputato tutto sommato una stagione positiva elementi come il vivace Luppi sulle fasce e il combattente Fossati in mezzo al campo, anche se quest’ultimo ha dato il meglio di sè soprattutto nella prima parte di campionato, quando a un certo punto pareva quasi un lusso per la categoria. Poi è rientrato un po’ nei ranghi ma non ha mai fatto mancare il suo apporto, sia in fase di costruzione che di ostruzione. Giudizio sospeso per Ganz, penalizzato oltremodo dal modulo di Pecchia che prevedeva un’unica punta centrale. Eppure il giovane attaccante, pur non mettendo mai in discussione la titolarità di Pazzini, ha saputo sfruttare le poche chances avute, mostrando indubbie qualità da bomber.
Probabilmente molti di questi giocatori non saranno funzionali al prossimo campionato da disputare in serie A, proprio per alcuni limiti emersi con chiarezza nei momenti di difficoltà vissuti quest’anno. Ma mi pare azzardato, quanto meno pessimistico, pronosticare una stagione a venire sulla falsariga del Pescara. Pecchia come Oddo, esordiente in serie A e amante del bel calcio? Ebbene sì, ma che significa? In fondo si potrebbe ricalcare anche l’esempio molto più confortante del Cagliari, squadra alla quale più volte siamo stati accostati, visto il cammino dei sardi percorso 12 mesi fa.
Ma poi alla fine sappiamo benissimo che la nostra squadra è unica, non assomiglia a nessun’ altra e quindi godiamoci questo risultato e auspichiamoci che sin da ora la società stia pensando a come affrontare in serenità la ritrovata (con pieno merito) massima serie.