Grosso passo indietro dell’Italia, uscita sconfitta senz’appello contro la Costa Rica

Ieri una persona con cui sono in contatto via facebook ha scritto che, stante tutto l’odio e il disprezzo che i calciatori azzurri subiscono dopo sconfitte come quelle contro la Costa Rica, ogni euro che guadagnano è legittimo. La persona in questione è molto arguta e stimata, e ho colto il senso della sua frase, anche se, intervenuto sulla sua bacheca, ho specificato che spesso il tifo e l’attaccamento portano a pensieri estremi. Chiaro, il post non era rivolto a me, io non riesco a provare quei sentimenti nemmeno con le persone che mi hanno fatto del male, e fatico a essere estremista anche davanti a casi conclamati di cronaca nera o dinnanzi a ruberie varie dei nostri politici. Figuriamoci per dei calciatori che hanno perso una partita, tanto che nei giorni scorsi ho più volte “difeso” Paletta, vittima a mio avviso di un “linciaggio” mediatico eccessivo, unito a un sarcasmo che prevaricava questioni tecniche (comunque, visto l’esito di ieri sera, non mi pare proprio il problema fosse rappresentato dalla sua presenza in campo, né dall’altro escluso Verratti). Venendo però alla partita, ai nostri non possiamo nemmeno dire “bravi”: hanno interpretato malissimo la partita, ed evitiamo subito – in quella che è stata la settimana “mondiale” del luogo comune (a cui non ho partecipato, evitandomi così milioni di notifiche!) – di dire che faceva caldo ecc.

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Eravamo tornati, dopo la fulgida apparizione contro l’Inghilterra, a un catenaccio d’antan, lo si è percepito dopo pochi minuti. E si giocava contro una squadra centramerica, non contro Brasile, Francia o Argentina, davanti c’era il talentuoso Campbell, uno dei nomi nuovi del panorama internazionale, ma non certo un Messi o un Neymar. Solo lanci per uno sfiancato Balotelli che almeno c’ha provato, pur sbagliando quel pallonetto a tu per tu con il loro acrobatico portiere. Troppo contratti, per nulla propositivi, non si spiega una prestazione così scialba. A livello tattico a mio avviso non ci siamo, così infoltiti di centrocampisti. Va bene la ragnatela a metà campo, ma gli interpreti devono allora essere più dinamici, non delle statue come Motta, impresentabile per una manifestazione del genere. E poi De Rossi, schermo protettivo di una difesa già di per sé contratta (i terzini non sono certo Cafù e Roberto Carlos). Siamo ingolfati in mezzo, nessuno ha l’assist in canna, rispetto alla prima partita non si sono mai visti nemmeno Marchisio – sacrificato eccessivamente a sinistra, dove proprio non ha il passo per giocarvi – e Candreva, che mai ha duettato con Abate. Quest’ultimo rappresentava un enigma per molti commentatori e addetti ai lavori. Reduce da un’annata disastrosa, come molti dei suoi compagni di club, non copre, non spinge più (la cosa che prima gli riusciva meglio), è in condizioni molto approssimative: non credo di sbagliarmi se affermo che vi erano una decina di difensori italiani che avrebbero meritato più di lui la convocazione. Riportato in mezzo Chiellini ha palesato limiti tecnici e di concentrazione notevoli. Nel suo club è spesso un califfo, marcatore duro e arcigno, che gioca soprattutto di fisico ma in Nazionale è evidente come non basti nel suo caso l’esperienza, il carisma e la personalità accumulati durante una lunga carriera.

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In generale, senza essere più disfattisti ancora, mi viene da sorridere quando sento più di un commentatore dire che “in fondo basta un pareggio”, gli stessi che a fine primo tempo dicevano che una sconfitta di queste dimensioni ci può stare! Ma stiamo scherzando? La verità è che ci sarà da sudare parecchio, l’Uruguay, al termine di un ciclo vincente, ha ancora gli assi Suarez e Cavani all’apice della carriera (hanno entrambi 27 anni), non è certo come la Spagna nonostante il ko all’esordio contro la Costa Rica (guarda caso) avesse fatto scattare dei campanelli d’allarme. Dovremo pensare a noi stessi, a vincere e basta. Ma la qualità generale nella nostra rosa latita, e i motivi sono da ricercare a  monte. Dopo il trionfo di 8 anni fa, si è vissuto troppo sugli allori, non dando modo a una generazione di esprimersi appieno. Siamo diventati anche noi un Paese d’esportazione ma se così facciamo, dobbiamo poi continuare a seguire i nostri gioielli. Altrimenti, nel nostro campionato non giocano, o per lo meno non ad alti livelli, cosicché ci ritroviamo in Nazionale atleti magari validi ma che arrivano a 27/28 anni senza esperienze internazionali, penso a gente come Candreva, Parolo, Cerci, anche Darmian, percepito ai più ancora come un ragazzino, quando in realtà ha 25 anni e a quell’età all’estero sei già un veterano, o hai già sfondato ad alti livelli, altrimenti hai la carriera segnata; da noi invece sei ancora nella fase “di studio”, della gavetta, fino a che non arrivano i club europei a darti una chance diversa. In ogni caso forza Azzurri sempre, non è ancora terminato il nostro cammino ma ieri sera abbiamo assistito increduli a un notevole passo indietro sotto tanti punti di vista.

 

Non solo Barcellona: è calcio spettacolo anche quello di Borussia Dortmund, Swansea e… Trapani!

Il Barcellona sta segnando un’epoca, grazie ai trionfi in serie, agli exploit dei suoi migliori interpreti (ovviamente su tutti Messi) e soprattutto alla qualità del suo gioco. Un ciclo vincente, composto da tanti giovani (oltre all’argentino, anche Piquè, Pedro e Fabregas sono dell’87, Busquets è un’88,così come Sanchez,  molti giovani “canterani” hanno già assaggiato con grande profitto la prima squadra): questo a significare che le basi sono solide. Replicare pedissequamente questo impianto di gioco sfavillante non ha senso, o meglio, non è proponibile. Anche il Grande Torino, la Grande Ungheria, l’Ajax di Cruyff e il Milan di Sacchi hanno trovato tanti imitatori, tanti emuli, ma la qualità non è semplicemente replicabile.

Allora, lasciamo perdere il famoso “tichi taca” e vediamo chi in Europa si sta guadagnando grandi attestati di stima e sorpresa grazie a un gioco che provoca meraviglia e stupore. Di Zeman si parla già molto (e giustamente, aggiungo io), così come ho già avuto modo di parlare della qualità corale di Udinese, Napoli o Hellas Verona.

La mia lente di ingrandimento stavolta fa un giro strano, spostandosi dapprima in Bundesliga dove da due anni spopola il Borussia Dortmund, dopo i fasti degli anni’90 (esemplificati dalla conquista della Champions nella finale ’96 ai danni della Juve di Lippi).

Una squadra che fino a un paio d’anni fa stazionava a metà classifica, anonima al cospetto di un super tifo (80.000 tifosi presenti per ogni gara casalinga al Signal Iduna Park!) fino a quando il tecnico Jurgen Klopp, da sempre preparatissimo sul piano tattico, ha trovato il bandolo della matassa, allestendo una rosa giovane, motivata e dalle indubbie, quanto nascoste qualità tecniche. Senza inventare nulla per carità (d’altronde in Germania quasi tutte le squadre giocano ormai a viso aperto), però un conto è avere Robben, Ribery, Muller e Gomez che ti possono vincere le gare da soli, un altro “inventarsi” una squadra vincente!

In pratica nel Borussia, solo tre giocatori sono addetti alla fase difensiva totale, i due centrali, gli assortiti Subotic e il nazionale tedesco Hummels, nome emergente del calcio europeo, e il mediano Bender, gemello del più famoso pari ruolo che gioca a Leverkusen.

Talvolta, dopo che l’enfant prodige Sahin (gran direttore d’orchestra l’anno scorso) se n’è andato alla corte di Mourinho, ad affiancare Bender sta l’esperto Kehl, autentica bandiera giallonera, ma l’idea alla base di gioco è che ci sia con l’incontrista un vero regista, trovato quest’anno nelle sembianze di Ilkay Gundogan che, così a colpo d’occhio, ricorda in tutto e per tutto Sahin. Deve ancora modellarsi un po’ ma le qualità tecniche e la visione di gioco sono notevoli.

Sulle fasce due veri terzini fluidificanti, come da anni non se ne vedevano: a destra il polacco Piszczek, a sinistra il giovane autoctono Schmelzer, possibile nuovo crack in nazionale. Due stantuffi, guardare per credere! Sulla trequarti brillano le stelle di Mario Gotze, un ’92 che da tre anni gioca come un veterano (a me ricorda Thomas Hassler) e il giapponese Shinji Kagawa, sorta di Holly Atton in carne e ossa. Rivelatosi l’anno scorso, autore di 8 gol nel girone di andata, prima del lungo stop per infortunio, si sta ripetendo alla grande quest’anno con la sua classe, la sua tecnica brasiliana, il suo senso dell’opportunismo in zona gol. Un campione vero, acquistato per un “sacchetto di patatine” dalla seconda serie giapponese, praticamente era un semi professionista.

Sulla trequarti anche Grosskreutz, un valido interprete offensivo, meno appariscente dei due talenti citati ma altrettanto efficaci. Spesso agisce subentrando a loro il polacco Blaszczikovski, solido e coriaceo. In avanti una sola punta di ruolo nel pieno di un vero tourbillon offensivo, il paraguaiano Barrios o Lewandowski. Una macchina perfetta, quella giallonera, che non a caso si sta riguadagnando con pieno merito il titolo di regina di Germania.

In Premier, la vera sorpresa giunge inaspettatamente dal Galles. Nell’infausta stagione delle due superbig di Manchester, pallide protagoniste in Champions, ecco che la matricola terribile Swansea  (nelle cui fila l’anno scorso si è ben disimpegnato il romanista Borini) sta deliziando ogni platea, uscendo sempre tra gli applausi dei propri tifosi e spesso e volentieri pure di quelli avversari.

Una favola, ben raccontata dal tecnico Brendan Rodgers, un altro di quelli che ha lavorato a fianco di Mourinho ai tempi del Chelsea, ma che ha dimostrato di aver appreso in fretta dal maestro. Squadra cortissima, possesso palla spaventoso (addirittura contro il Fulham per l’80% del tempo effettivo!) grazie soprattutto all’uomo nuovo del calcio inglese Leon Britton – addirittura meglio di Xavi secondo le statistiche europee sui passaggi fatti) e ficcanti escursioni offensive con gli esterni Dyer e Sinclair, talenti autentici che sembravano persi per il grande calcio. E poi una rivelazione come l’islandese Sigurdsson giunto dall’Hoffenheim e subito protagonista di splendidi gol in serie. Una squadra spettacolare!

Infine, è doveroso citare come esempio di squadra che gioca alla grande una rivelazione del nostro calcio di provincia: il Trapani!

Capace di passare in un batter d’occhio dalle infuocate categorie dilettantistiche al sogno della serie B, grazie a un tecnico (Roberto Boscaglia) che, oltre all’agonismo – indispensabile per vincere in Lega Pro – insegna a praticare un buon calcio, valorizzando le singole qualità tecniche nel contesto di un collettivo che fa la differenza.

Costruito sulla base dei giocatori che hanno conquistato la doppia promozione recente, la rosa è composta da giovani ed esperti su cui eccellono alcuni talenti indiscutibili. Su tutti, il tedesco Salvatore Gambino, di chiara origine italiana, un 28enne capace di segnare 5 gol in Bundesliga al Borussia Dortmund (dove è cresciuto calcisticamente) e che si è letteralmente reinventato in Sicilia, facendosi portatore di un sogno. A Trapani pure lo svizzero Giuseppe Perrone e Cristian Caccetta, l’anno scorso protagonista col Foggia di Zeman  mettono qualità, così come il centrocampista Dario Barraco. E che dire delle punte Mastrolilli e Abate, o dell’esterno tuttofare Madonia? Difficile in Lega Pro vedere all’opera giocatori del genere! E allora aggiungiamoci pure l’esperienza di capitan Filippi, del difensore Lo Monaco, insuperabile in area di rigore e il regista Giacomo Tedesco (ha forse bisogno di presentazione?) e capirete che quest’anno la B può davvero diventare realtà, in un girone in cui ci sono autentiche corazzate come Spezia, Cremonese, Frosinone e le tre fresche retrocesse Portogruaro, Piacenza e Triestina.