Un disco da riscoprire assolutamente: “Lost spring songs” di Grand Drifter

Dietro il nome Grand Drifter si cela il piemontese Andrea Calvo, artefice con “Lost spring songs” di un album d’esordio che merita di essere scoperto e di emergere per poter splendere in tutta la sua bellezza.

Avevo il contatto dell’artista di Acqui Terme su Facebook e quando mi propose di ascoltare la sua musica lo fece in modo molto educato, lontano da tanti altri suoi colleghi che a volte nemmeno si presentano e ti piazzano subito il link al loro progetto in cambio di un like in più. Sembra scontato approcciarsi in maniera gentile ma non è affatto così e, al di là di questo, il suo background musicale e il suo mondo di riferimento si sposavano piuttosto bene col mio spettro di interessi, cosicché mi ripromisi di dargli un attento ascolto.

Amo la musica e mi piace molto occuparmene, anche se talvolta mi lamento di quanta ne venga proposta; tutti giustamente ambiscono e sgomitano per farsi notare, ascoltare, giudicare, ed io pur non essendo certo una prima firma di un quotidiano nazionale o un volto noto della tv, vengo lo stesso “sommerso” da richieste.  Occorre fare delle scelte e inevitabilmente selezionare gli artisti cui dedicare il giusto spazio.

Foto di Ivano A. Antonazzo

Fatta questa premessa, devo dire che le mie sensazioni in merito all’album di Andrea non erano certo sbagliate, anzi. Ammetto che, essendo io un grande estimatore degli Yo Yo Mundi, valente gruppo folk rock di casa nostra sin dai mitici anni ’90, e del leader Paolo Enrico Archetti Maestri in particolare, il fatto che dietro questa raccolta di canzoni ci fosse il marchio “Sciopero Records” (l’etichetta fondata dalla band) mi dava un certificato di garanzia sulla bontà del prodotto. Proprio Maestri fra l’altro è qui presente in veste di produttore e musicista. Toccava adesso alle canzoni dire la loro, trasmettermi emozioni e farsi largo tra i miei variegati ascolti. E quando ti accorgi che, appena salito in macchina, fai ripartire lo stesso disco più volte, beh, direi che la missione di Grand Drifter è andata a buon fine: le sue sono canzoni davvero ispirate e di gran pregio.

Grand Drifter è stato scelto come pseudonimo per il significato più o meno velato che si porta dietro, vale a dire quello del viaggiatore vagabondo che si trova a spostarsi di luogo in luogo senza mettere su radici e lasciare particolari tracce. Diviene lui l’osservatore della realtà che lo circonda, il primo giudice che poi saprà valutare cosa portare con sè e cosa invece lasciarsi alle spalle, che siano insegnamenti preziosi o semplici ricordi. E’ un’espressione tratta dall’immaginario americano, che delinea il mood di diversi cantori, semplici menestrelli o raffinati cantautori. Andrea sembra appartenere di diritto alla seconda specie, qualitativamente parlando, e fra le sue canzoni è facile sentire echi della lezione di Elliott Smith – per il tratto gentile della chitarra e le atmosfere crepuscolari – e dei Fleet Foxes, per le musiche calde e ariose, ma possiede un’attitudine lo-fi, genuina, che me lo fa accostare appunto agli antichi musicisti che armeggiavano i loro strumenti intrattenendo e incantando.

In realtà nonostante il disco si muova su coordinate stilistiche facilmente interpretabili come indie-folk, tra le pieghe dei brani è possibile riscontrare tutta una serie di influenze che finiscono per definirne un aspetto peculiare, un suono tutto suo, reso egregiamente (giusto sottolinearlo) da una produzione discreta ma sicura che valorizza nel migliore dei modi idee e spunti, di per sè già degni di nota.

E’ così che in un episodio come “Circus Days” – che subito arriva a mutare l’atmosfera delineata dall’apripista “The Ballon’s Boy”, acustica e sognante -, un pianoforte scintillante e vivace caratterizzi il tutto dandogli una spruzzatina di Big Star, mentre la seguente traccia finisca per tirare in ballo addirittura i Beach Boys. Altrove i padrini putativi sembrano essere i miei amati R.E.M. (specie in”Flesh and Bones”, una delle mie preferite con i suoi freschi intarsi pop rock) e Iron & Wine; insomma, ovunque si peschi appare chiaro che siamo davanti a un musicista che è riuscito a declinare le sue ascendenze artistiche in un disco che diventa molto personale.

Foto di Ivano A. Antonazzo

Grand Drifter ha finito per realizzare un album classico da cantautore ma rivestendolo di arrangiamenti assolutamente particolari e gustosi – valga come esempio la quasi eponima “A lost spring song”, con i suoi toni autunnali resi magnificamente dagli interventi alla fisarmonica.

Pur essendo un progetto solista, con il Nostro abile a disimpegnarsi come polistrumentista, è ricco il parterre di collaboratori coinvolti (alcuni strettamente collegati agli stessi Yo Yo Mundi), tra cui mi piace ricordare l’interessante duo Cri + Sara Fou, che dà un apporto prezioso alla delicata e melodica “The Way She Knows”.

Uscito un anno e mezzo fa, mi rammarico di non averlo ascoltato all’epoca – si torna al discorso iniziale: escono veramente tanti album ogni anno ed è complicato riuscire a dare un ascolto a tutto, con il rischio che rimangano sommersi dei dischi di valore – ma dopotutto non è mai troppo tardi per recuperare la bella musica.

In fondo non si tratta di un campionato di calcio, non ci sono graduatorie e piazzamenti da stabilire. L’unico criterio è riuscire, per chi fa critica, a orientare l’ascoltatore e, se vi fidate di me, lasciatevi dire che “Lost spring songs” merita di essere conosciuto, per la varietà e la qualità dei singoli brani e per quel sapervi amabilmente cullare e rasserenare.

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