Giovani cresciuti nell’Hellas: la storia di Paolo Piubelli

Non sono molti i calciatori cresciuti nella centenaria storia dell’Hellas ad aver avuto poi uno sbocco solido come professionisti. Certo, non mancano clamorose eccezioni, come Beniamino Vignola, Bonatti o Damiano Tommasi, per non parlare del grande Tavellin, ma in anni recenti il vivaio gialloblu non ha fornito molti campioncini ai tornei italiani. In serie A attualmente brilla la stella di Riccardo Meggiorini, da Tarmassia, ma l’attaccante del Torino ha vestito da giovane la maglia dell’Inter prima di iniziare il suo prestigioso percorso da professionista.

C’è stato però un periodo piuttosto fulgido per quanto riguarda atleti locali assurti poi agli onori della cronaca, precisamente tra la fine degli 80 e l’inizio dei 90, quando giunsero nelle fila della prima squadra giocatori come Lamacchi, Ghirardello, Sturba, Stefano Tommasi, Fattori o Guerra. Ma probabilmente il migliore di quella nidiata (72/73) era Paolo Piubelli, elegante centrocampista centrale che ebbe una carriera simile a quella di una cometa, spentasi cioè sin troppo presto, a causa di un persistente infortunio.

Il giocatore di Cerea, ma nativo di Negrar, ha indossato anche la maglia prestigiosa (erano tempi in cui gli azzurrini vincevano europei di categoria a mano bassa) dell’Under 21 e più volte quella dell’Hellas, del quale sarebbe potuto diventare uomo simbolo, come poi successe al più giovane di due anni Damiano Tommasi. Come racconta il bel libro di Raffaele Tomelleri (“Figurine Gialloblu”) ma soprattutto per come posso ricordarlo benissimo anch’io, Paolo spiccava in campo per senso tattico, educazione, pulizia del tocco e un’esemplare correttezza. Meno arrembante e più geometrico del coetaneo Lamacchi (a mio avviso erano loro due i più forti di quell’annata), all’apparenza timido in campo, esordisce a 18 anni e ben presto sigla un decisivo gol. A 20 anni passa in prestito alla lanciatissima Juve Stabia, in c/1, dove gioca 15 gare da titolare assoluto, sempre nel cuore del gioco. I numeri erano dall’1 all’ 11 e lui poteva giocare col 4 o col 10, play davanti alla difesa come in Under 21 o regista vero e proprio.

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Nel 94 sembra l’anno buono per il suo lancio definitivo da titolare nel Verona, ma durante un’amichevole estiva in ritiro contro il Rimini si spezza una gamba – non era la prima volta che incappava in un terribile infortunio – e inizia il suo lungo calvario. Tuttavia, nessuno poteva dubitare su un suo recupero, magari lungo, ma possibile. E invece passano i mesi, un anno, l’operazione riesce, grazie a un vero luminare, ma i rischi di una ricaduta sono troppo elevati e così, realisticamente e malinconicamente, Paolo a soli 22 anni è costretto a lasciare sogni di gloria e il calcio professionistico. Esce mestamente dal mondo del calcio, che un po’ gli ha voltato le spalle nel momento del bisogno, e torna a insediarsi nell’azienda paterna che tuttora conduce con serietà e rigore, lo stesso dimostrato sempre nel rettangolo verde di gioco. Una promessa smarrita presto, ma rimane vivo il ricordo di un bravissimo calciatore.