Roberto Mancini, a detta di tutti, guida una squadra da sogno, in teoria dalle risorse economiche illimitate (poi, vuoi mettere mai che il fair play finanziario venga messo sul serio in atto?), e ogni estate può sedersi tranquillamente al tavolino del club per discutere se sia meglio sganciare soldi per prendere, chessò, Cavani o Falcao?
Eppure, dati alla mano, presenta ancora un curriculum modesto, rosa alla mano: una FA Cup nella vittoria di due anni contro lo Stoke City e una Premier vinta al photofinish nella passata stagione contro i rivali dello United, battuti solo per differenza reti. Lasciamo perdere la Champions, dove, nonostante l’apporto di campioni quali Tevez, Aguero, Dzeko, Silva, Tourè (mi fermo per questioni di… spazio), da due anni consecutivi non riesce a superare la fase a gironi.
Quest’anno,poi, oltre appunto al fatto di essere stati già eliminati precocemente dalla massima competizione europea, anche in campionato le cose non vanno benissimo: sono ben 12 i punti che separano il City del Mancio dal “solito” United di Ferguson.
Insomma, ci sarebbero tutti i requisiti, se Mancini allenasse in Italia, per far scattare l’allarme – tradotto “l’esonero” – invece in Inghilterra Roberto è considerato alla stregua di un Mito dai suoi tifosi, che gli riconoscono di aver portato quei successi che solo fino a un lustro fa sembravano utopia (ok, non c’erano ancora gli sceicchi, diranno i maligni).
Da più di 30 anni il Man City veleggiava nell’anonimato più assoluto, niente coppe, niente exploit particolari contro le storiche rivali, niente campioni tra le sue fila. Mancini ha portato una caratura internazionale tutta nuova, e con lui i tifosi si sono ritrovati a condividere un sogno, quello di primeggiare contro i cugini plurimedagliati dei Red Devils. Sarebbe come se il Toro, da anni nell’oblio del grande giro calcistico italiano e europeo, si ritrovasse come per magia a primeggiare sul mercato, a vincere in Patria, rinnovando antichi splendori. Utopia, sogno, appunto, e poi i tifosi granata sono ben inchiodati con i piedi per terra per anche solo immaginare un futuro così roseo.
Ma la storia del City e di Mancini deve far riflettere ancora una volta sulle notevoli differenze tra il calcio italiano e quello inglese. Da noi esistono presidenti come Cellino, Preziosi, Zamparini o Camilli (ieri l’ennesimo esonero per il patron del Grosseto) che fanno e disfano, in Inghilterra c’è chi spende milioni e milioni di sterline per vincere (almeno finora) relativamente poco, eppure il tecnico è considerato un Grande, un Intoccabile. La cultura calcistica di un Paese la si vede anche da queste cose. Poi lasciamo stare che i massimi campionati europei (Inghilterra, Germania e Spagna) siano già in pratica decisi a metà stagione (con gli attuali distacchi abissali delle rispettive capolista Manchester Utd, Bayern e Barcellona sul resto del gruppo) e che invece da noi sia bello e avvincente lottare per scudetto, terzo posto e salvezza. Purtroppo le cose che spesso fanno la differenza sono il comportamento, il fair play (di presidenti, di giocatori, di tifosi) e tutto ciò è ancora piuttosto carente sui nostri campi di gioco.